Come un bambino in preda a un accesso di collera, lei restava impigliata nel suono delle proprie urla. Urlava perché stava urlando, urlando, urlando, come se costruisse una stanzetta di rabbia, con se stessa al centro. Era tutta sua. Comandava lei. Io non ero ammesso. I suoi occhi e i suoi denti sfolgoravano, neri e bianchi, ogni particolare esagerato e contorto come il maelstrom che le si agitava dentro. Non c’era niente di erotico in quell’immagine, eppure a volte passavamo dalle urla al sesso. Non era richiesto passaporto. Non c’era neppure un confine. Il tempo era frammentato, causa ed effetto non esistevano, e neanche si poteva dire che una cosa portasse verso l’altra. Come in una metafora, una cosa era l’altra.
Sylvia, L. Michaels