Il mulo (1413)
Ieri sera aperitivo con la mia amica Carla. A un certo punto le racconto la storia di Ignazio di Loyola, che ho letto non so più dove. Le dico che un giorno, mentre sta andando in groppa al suo mulo, incontra un moro. I due si mettono a discutere di questioni teologiche e il moro contesta la verginità della Santa Vergine. Dice che può accettare l'idea che la Santa Vergine abbia concepito senza uomo, ma non che sia rimasta vergine anche dopo il parto. Ignazio cerca allora di convincere il moro ma non ci riesce, e il moro se ne va rapidamente per la propria strada. Ignazio resta lì, dispiaciuto e addolorato per non aver saputo difendere l’onore della Santa Vergine, e medita sull'eventualità di inseguire il moro e ucciderlo, si tormenta con questo dubbio e alla fine, stanco di esaminare cosa sia bene fare, decide di fare così: lascerà andare il mulo a briglia sciolta fino al bivio delle due strade: se il mulo prenderà la strada del moro, allora Ignazio lo inseguirà e lo ucciderà; se invece il mulo continuerà sulla strada maestra, lo lascerà vivere». «E com'è andata a finire?» mi chiede Carla. «Che il mulo ha continuato sulla strada maestra, Ignazio non ha ucciso il moro ma è andato avanti con la sua vita e, poi, lo hanno fatto santo». Carla alza un sopracciglio: «Be'... dice». E io: «Cosa?». E lei: «Avrebbero dovuto fare santo il mulo».
15.4.25
L'idraulico (1412)
Il mese scorso mi sono accorto di una macchiolina di umidità sul muro del corridoio, in corrispondenza del bagno.
Per queste faccende ho un metodo consolidato che consiste nel promuovere la Nuova situazione problematica a Nuova situazione normale, il che mi permette di ignorare il problema, per tornare poi a occuparmene solo se peggiora al punto da richiedere un’ulteriore promozione, un procedimento che posso ripetere più e più volte, cosa che mi ha portato spesso a vivere in situazioni dove la normalità era: non aprire una finestra per settimane; urinare stando appollaiato sul wc; cucinare al buio. Quando il problema non è più differibile, intervengo.
Nel caso della succitata macchiolina, ogni volta che la guardavo era un po’ più grande, presto è diventata una macchia, poi una bella macchia, ed è risultato chiaro che, se non fossi intervenuto, in breve tempo sarebbe diventata il muro stesso (poi, non so).
Così ho deciso di chiamare l'idraulico.
Per l’idraulico avevo tre scelte: il cugino Alex, il signor Mizzo e uno alla cieca. Come sempre ho valutato i pro e i contro di ciascuno, sono una persona giudiziosa, mi sono detto mentre scolavo la pasta facendomi luce con il flash del cellulare stretto tra i denti.
Il cugino Alex è un cugino, e questo è sia un pro (ha cura di te) sia un contro (devi aver cura di lui). Mi fa pagare meno, ma è anche vero che fino a due mesi fa faceva il deejay. Verrebbe subito, ma forse perché non lo chiama nessuno. Se chiamo il cugino Alex una volta, poi non posso non chiamarlo più, si offenderebbe, ma comunque è già un po' offeso perché non l’ho mai chiamato.
Il signor Mizzo è un professionista, fa l'idraulico da quando era bambino, sale sui tetti, ha diversi furgoncini con la scritta Impresa idraulica Mizzo. Però è caro, viene quando gli gira, se gli chiedi la fattura ti schiaffeggia e ti sfida a duello con le chiavi inglesi e invece di 150 euro ti fa 300, così impari.
Dell'idraulico alla cieca non so nulla, e si sa, le cose immaginate sono sempre le migliori, perciò pesco il primo che mi capita, un certo signor Lodigiano, e chiamo.
Non risponde subito, buon segno, sta lavorando. Ma comunque risponde, altro buon segno. Il primo rumore che sento è di una smerigliatrice. Se non sta segando una cassaforte, è un buon segno.
«Sì» mi dice senza punto di domanda con voce roca, probabilmente a causa di vino, sigarette e acido muriatico, tre vizi tipici degli idraulici di campagna. Ok, questo è un vero idraulico, penso.
«Buongiorno, signor Lodigiano, sono Eugenio Cigorin, la chiamo per una perdita».
Sento un sospiro, altro buon segno (significa che è una persona paziente e generosa. Dopo il sospiro segue sempre un sì, mai un no).
«Non posso prima di giovedì» dice Lodigiano.
«Giovedì va bene» dico.
«Indirizzo?».
Gli do l'indirizzo, non sento più niente.
«Arrivederci!» dico. «Grazie!» dico. Ma Lodigiano ha riattaccato.
Che professionista!, penso. Che temperamento! Altro che quel pirla di mio cugino.
Giovedì, verso le undici, il signor Lodigiano è in casa mia per il sopralluogo.
È un uomo imponente, di circa sessant'anni, il busto sembra uno scaldabagno, la pelle del viso terra secca, le mani due badili. Me lo immagino che, per divertire i nipoti, fa palloncini a forma di barboncino, ma coi tubi.
«Buongiorno» gli dico.
«Buongiorno» mi dice lui. «Dove?».
«Per di qua» dico, e gli faccio strada. Quando arriviamo al muro del corridoio, indico la macchia. Non che ce ne sia bisogno.
«Eccola».
Lodigiano non batte ciglio. Apre la porta del bagno. Entra, io lo seguo. Osserva le piastrelle che rivestono il muro in corrispondenza della macchia nel corridoio. A me sembrano normali piastrelle. Vorrei dirgli: sembra tutto a posto, può andare.
«Mmm» dice.
«Grave?».
Non mi risponde. Comincia ad annusare le piastrelle. Dà dei colpetti con il pugno, colpetti abbastanza forti. Pugni, in pratica. Una piastrella si stacca, cade.
«Vede?» mi fa.
Prende la piastrella e la sbriciola, la morde, la mastica, annusa il pezzo che ha in mano, me lo mette sotto il naso, vuole che lo faccia anch'io. Annuso per un millisecondo.
«Sente?» mi chiede.
«Piastrella» dico.
Lodigiano si sposta lungo il muro fino al box doccia. Apre la porta del box, entra, chiude la porta.
Resto lì così, senza dire niente, finché sento l’acqua scorrere. Il bagno si riempie in fretta di vapore, vedo una camicia a quadri far capolino dalla parte superiore del box. Poi una canottiera. Dei pantaloni. Sento canticchiare. Quindi l'acqua si ferma, i vestiti riscivolano dentro il box, Lodigiano esce esattamente com’era entrato, completamente asciutto.
«Problemi?» chiedo.
Alza un sopracciglio. Si dirige al lavandino e apre l’acqua, poi va ai sanitari, tira l’acqua del water, apre quella del bidè, apre la finestra, alza la zanzariera, si arrampica sul davanzale ed esce costeggiando il muro tipo Jason Bourne, fino a scomparire. Sento il traffico in strada, i clacson, gli uccelli. Qualche minuto più tardi, Lodigiano rientra. In mano ha una tegola (il mio appartamento è al primo piano di tre).
«Le tegole sono vecchie» dice, mostrandomi una crepa sulla tegola. «Vanno cambiate tutte».
«La perdita è causata dalle tegole?» chiedo.
«No» dice lui.
«E per quanto riguarda la perdita?».
«Potrebbe essere un tubo».
«Fatalità: lei è un idraulico» dico sorridendo. Sorriso non ricambiato.
«Ma io adesso non ho tempo di fare un lavoro così» mi dice.
«Ah» dico io, deluso. Lodigiano allora mi scruta.
«Senta,» mi dice, «prima ho notato che il wc sgocciola, è il galleggiante, se vuole glielo sistemo al volo».
Commosso dal primo moto di gentilezza di questo gigante buono, accetto l'intervento, quasi certamente gratuito, in quanto offerto. Forse, mi dico, dentro quel boiler batte un cuore vero. Il galleggiante…, penso poi, ma sì, forse potevo farlo persino io (no). Lo sgocciolio era da tempo archiviato nella categoria I water son così.
«Vado a prendere la cassetta» dice Lodigiano.
Oh, la mitica cassetta degli attrezzi dell'idraulico, penso, che bello!
«Vada, vada!» gli dico gioioso. Poi mi metto al computer a scrivere una lettera di encomio per la rivista Idraulici Oggi.
Mentre scrivo, vedo il signor Lodigiano tornare con una cassetta per wc. Ah, penso, quella cassetta, intendeva. Be', ci sta. Magari prende il galleggiante nuovo da lì. Quanto verrà, un galleggiante? È un pezzo di plastica. Tre euro? Tre centesimi? Forse me lo regala.
Dal bagno sento montare, smontare, smadonnare. Il signor Lodigiano periodicamente esce, va al furgoncino - mi viene da chiedergli se vuole portare il furgoncino in soggiorno, così non deve fare tutti quei viaggi - e a un certo punto torna con un tubo.
«Devo cambiare il tubo» mi fa. Io penso: be', se non lo cambia l'idraulico, un tubo, chi lo cambia?! E rido tra me e me. Dopo un po' Lodigiano esce ancora, tutto sudato, sbuffando. Passando dice: «La cassetta è un pelo più profonda della vecchia - vecchia?, penso - devo spostare il water di tre centimetri». Ma sì, penso, cosa vuoi che siano tre centimetri! Avesse detto tre metri, devo spostare il water tre metri, allora sì! Ma tre centimetri… E quanto costerà spostare il water di tre centimetri? Non molto, penso. Cinque o sei euro? Devo spostare il water di trenta metri. Quello sì! E dove me lo mette? E lui: sul tetto può andare? Altrimenti giù in strada, tra i tavolini del bar Roma. E io: benissimo, grazie!
Dopo due ore di lavoro, Lodigiano conclude.
«Fatto, l’intervento è perfettamente riuscito, ora il water sta dormendo» dice pulendosi le mani con uno straccio che, a una seconda occhiata, è uno dei miei asciugamani di cashmere.
Entro a vedere l’opera. Il water è, nel suo complesso, un po' diverso, ma è pur sempre un water. E poi: niente più sgocciolio.
«Ottimo,» gli dico, «quanto le devo?».
Lodigiano si fa pensieroso. No, vorrei dirgli, non si rabbui, sorrida!
«Dunque,» dice, «cassetta, tubo, guarnizione, spostamento tazza, sedile - sedile?, penso -, tende - mm? -, le ho fatto anche la ricarica dei saponi, cambiato le lampadine e tre tegole… sono 500 euro».
Sul momento non riesco a ribattere. E neanche dopo. Osservo il water e cerco di capire quale componente può aver fatto gonfiare il conto. La parte nuova sembra solo plastica. Plastica che ricopre un buco nel quale, vorrei ricordare al dottor Lodigiano, sono solito defecare. Ma forse c'è il galleggiante in oro. L'oro galleggia benissimo, mi direbbe Lodigiano. Adesso li fanno tutti così.
«Se mi dà i dati per la fattura…» dice.
«Sì,» dico, «certo. Ma, senta, pensavo…».
«Sì?».
«Così, per ipotesi… non ci sarebbe un modo per limare qualcosina?».
«Che modo?».
«Non so. Chiedevo. Se ci fosse un modo, dico. Non so se c'è. Ma, se ci fosse, magari a lei verrebbe in mente».
«In che senso?».
«Dico solo che, magari, se ci mettiamo qui io e lei, se uniamo le forze, e le nostre menti, se cerchiamo su internet, forse può essere che un modo per abbassare un po' la cifra lo troviamo».
«Non so a cosa si riferisce» dice Lodigiano. Poi aggiunge: «Ci sentiamo più avanti per la macchia. Appena mi libero».
«La macchia?» dico, spaventato. «Ma no, guardi, me la sistema mio cugino» .
«È idraulico?» mi chiede.
«Deejay» rispondo.
La settimana dopo viene il cugino Alex. Controlla la macchia con un cacciavite, scava un po’, toglie un pezzetto di muro, ne toglie un altro, ispeziona la nuova cavità, poi torna in posizione eretta, mi guarda e mi fa: «Boh».
«Ma non sei idraulico?» gli chiedo mentre si apre una delle mie birre. E lui: «Non più, adesso faccio il parrucchiere».
Finita la birra gli porgo 50 euro, ma così, come gesto simbolico. La sua battuta dovrebbe essere: “Ma no, ci mancherebbe, sei mio cugino!”.
Il cugino Alex risucchia la banconota come una slot machine, poi si dilegua.
(Lunedì viene il signor Mizzo).
Per queste faccende ho un metodo consolidato che consiste nel promuovere la Nuova situazione problematica a Nuova situazione normale, il che mi permette di ignorare il problema, per tornare poi a occuparmene solo se peggiora al punto da richiedere un’ulteriore promozione, un procedimento che posso ripetere più e più volte, cosa che mi ha portato spesso a vivere in situazioni dove la normalità era: non aprire una finestra per settimane; urinare stando appollaiato sul wc; cucinare al buio. Quando il problema non è più differibile, intervengo.
Nel caso della succitata macchiolina, ogni volta che la guardavo era un po’ più grande, presto è diventata una macchia, poi una bella macchia, ed è risultato chiaro che, se non fossi intervenuto, in breve tempo sarebbe diventata il muro stesso (poi, non so).
Così ho deciso di chiamare l'idraulico.
Per l’idraulico avevo tre scelte: il cugino Alex, il signor Mizzo e uno alla cieca. Come sempre ho valutato i pro e i contro di ciascuno, sono una persona giudiziosa, mi sono detto mentre scolavo la pasta facendomi luce con il flash del cellulare stretto tra i denti.
Il cugino Alex è un cugino, e questo è sia un pro (ha cura di te) sia un contro (devi aver cura di lui). Mi fa pagare meno, ma è anche vero che fino a due mesi fa faceva il deejay. Verrebbe subito, ma forse perché non lo chiama nessuno. Se chiamo il cugino Alex una volta, poi non posso non chiamarlo più, si offenderebbe, ma comunque è già un po' offeso perché non l’ho mai chiamato.
Il signor Mizzo è un professionista, fa l'idraulico da quando era bambino, sale sui tetti, ha diversi furgoncini con la scritta Impresa idraulica Mizzo. Però è caro, viene quando gli gira, se gli chiedi la fattura ti schiaffeggia e ti sfida a duello con le chiavi inglesi e invece di 150 euro ti fa 300, così impari.
Dell'idraulico alla cieca non so nulla, e si sa, le cose immaginate sono sempre le migliori, perciò pesco il primo che mi capita, un certo signor Lodigiano, e chiamo.
Non risponde subito, buon segno, sta lavorando. Ma comunque risponde, altro buon segno. Il primo rumore che sento è di una smerigliatrice. Se non sta segando una cassaforte, è un buon segno.
«Sì» mi dice senza punto di domanda con voce roca, probabilmente a causa di vino, sigarette e acido muriatico, tre vizi tipici degli idraulici di campagna. Ok, questo è un vero idraulico, penso.
«Buongiorno, signor Lodigiano, sono Eugenio Cigorin, la chiamo per una perdita».
Sento un sospiro, altro buon segno (significa che è una persona paziente e generosa. Dopo il sospiro segue sempre un sì, mai un no).
«Non posso prima di giovedì» dice Lodigiano.
«Giovedì va bene» dico.
«Indirizzo?».
Gli do l'indirizzo, non sento più niente.
«Arrivederci!» dico. «Grazie!» dico. Ma Lodigiano ha riattaccato.
Che professionista!, penso. Che temperamento! Altro che quel pirla di mio cugino.
Giovedì, verso le undici, il signor Lodigiano è in casa mia per il sopralluogo.
È un uomo imponente, di circa sessant'anni, il busto sembra uno scaldabagno, la pelle del viso terra secca, le mani due badili. Me lo immagino che, per divertire i nipoti, fa palloncini a forma di barboncino, ma coi tubi.
«Buongiorno» gli dico.
«Buongiorno» mi dice lui. «Dove?».
«Per di qua» dico, e gli faccio strada. Quando arriviamo al muro del corridoio, indico la macchia. Non che ce ne sia bisogno.
«Eccola».
Lodigiano non batte ciglio. Apre la porta del bagno. Entra, io lo seguo. Osserva le piastrelle che rivestono il muro in corrispondenza della macchia nel corridoio. A me sembrano normali piastrelle. Vorrei dirgli: sembra tutto a posto, può andare.
«Mmm» dice.
«Grave?».
Non mi risponde. Comincia ad annusare le piastrelle. Dà dei colpetti con il pugno, colpetti abbastanza forti. Pugni, in pratica. Una piastrella si stacca, cade.
«Vede?» mi fa.
Prende la piastrella e la sbriciola, la morde, la mastica, annusa il pezzo che ha in mano, me lo mette sotto il naso, vuole che lo faccia anch'io. Annuso per un millisecondo.
«Sente?» mi chiede.
«Piastrella» dico.
Lodigiano si sposta lungo il muro fino al box doccia. Apre la porta del box, entra, chiude la porta.
Resto lì così, senza dire niente, finché sento l’acqua scorrere. Il bagno si riempie in fretta di vapore, vedo una camicia a quadri far capolino dalla parte superiore del box. Poi una canottiera. Dei pantaloni. Sento canticchiare. Quindi l'acqua si ferma, i vestiti riscivolano dentro il box, Lodigiano esce esattamente com’era entrato, completamente asciutto.
«Problemi?» chiedo.
Alza un sopracciglio. Si dirige al lavandino e apre l’acqua, poi va ai sanitari, tira l’acqua del water, apre quella del bidè, apre la finestra, alza la zanzariera, si arrampica sul davanzale ed esce costeggiando il muro tipo Jason Bourne, fino a scomparire. Sento il traffico in strada, i clacson, gli uccelli. Qualche minuto più tardi, Lodigiano rientra. In mano ha una tegola (il mio appartamento è al primo piano di tre).
«Le tegole sono vecchie» dice, mostrandomi una crepa sulla tegola. «Vanno cambiate tutte».
«La perdita è causata dalle tegole?» chiedo.
«No» dice lui.
«E per quanto riguarda la perdita?».
«Potrebbe essere un tubo».
«Fatalità: lei è un idraulico» dico sorridendo. Sorriso non ricambiato.
«Ma io adesso non ho tempo di fare un lavoro così» mi dice.
«Ah» dico io, deluso. Lodigiano allora mi scruta.
«Senta,» mi dice, «prima ho notato che il wc sgocciola, è il galleggiante, se vuole glielo sistemo al volo».
Commosso dal primo moto di gentilezza di questo gigante buono, accetto l'intervento, quasi certamente gratuito, in quanto offerto. Forse, mi dico, dentro quel boiler batte un cuore vero. Il galleggiante…, penso poi, ma sì, forse potevo farlo persino io (no). Lo sgocciolio era da tempo archiviato nella categoria I water son così.
«Vado a prendere la cassetta» dice Lodigiano.
Oh, la mitica cassetta degli attrezzi dell'idraulico, penso, che bello!
«Vada, vada!» gli dico gioioso. Poi mi metto al computer a scrivere una lettera di encomio per la rivista Idraulici Oggi.
Mentre scrivo, vedo il signor Lodigiano tornare con una cassetta per wc. Ah, penso, quella cassetta, intendeva. Be', ci sta. Magari prende il galleggiante nuovo da lì. Quanto verrà, un galleggiante? È un pezzo di plastica. Tre euro? Tre centesimi? Forse me lo regala.
Dal bagno sento montare, smontare, smadonnare. Il signor Lodigiano periodicamente esce, va al furgoncino - mi viene da chiedergli se vuole portare il furgoncino in soggiorno, così non deve fare tutti quei viaggi - e a un certo punto torna con un tubo.
«Devo cambiare il tubo» mi fa. Io penso: be', se non lo cambia l'idraulico, un tubo, chi lo cambia?! E rido tra me e me. Dopo un po' Lodigiano esce ancora, tutto sudato, sbuffando. Passando dice: «La cassetta è un pelo più profonda della vecchia - vecchia?, penso - devo spostare il water di tre centimetri». Ma sì, penso, cosa vuoi che siano tre centimetri! Avesse detto tre metri, devo spostare il water tre metri, allora sì! Ma tre centimetri… E quanto costerà spostare il water di tre centimetri? Non molto, penso. Cinque o sei euro? Devo spostare il water di trenta metri. Quello sì! E dove me lo mette? E lui: sul tetto può andare? Altrimenti giù in strada, tra i tavolini del bar Roma. E io: benissimo, grazie!
Dopo due ore di lavoro, Lodigiano conclude.
«Fatto, l’intervento è perfettamente riuscito, ora il water sta dormendo» dice pulendosi le mani con uno straccio che, a una seconda occhiata, è uno dei miei asciugamani di cashmere.
Entro a vedere l’opera. Il water è, nel suo complesso, un po' diverso, ma è pur sempre un water. E poi: niente più sgocciolio.
«Ottimo,» gli dico, «quanto le devo?».
Lodigiano si fa pensieroso. No, vorrei dirgli, non si rabbui, sorrida!
«Dunque,» dice, «cassetta, tubo, guarnizione, spostamento tazza, sedile - sedile?, penso -, tende - mm? -, le ho fatto anche la ricarica dei saponi, cambiato le lampadine e tre tegole… sono 500 euro».
Sul momento non riesco a ribattere. E neanche dopo. Osservo il water e cerco di capire quale componente può aver fatto gonfiare il conto. La parte nuova sembra solo plastica. Plastica che ricopre un buco nel quale, vorrei ricordare al dottor Lodigiano, sono solito defecare. Ma forse c'è il galleggiante in oro. L'oro galleggia benissimo, mi direbbe Lodigiano. Adesso li fanno tutti così.
«Se mi dà i dati per la fattura…» dice.
«Sì,» dico, «certo. Ma, senta, pensavo…».
«Sì?».
«Così, per ipotesi… non ci sarebbe un modo per limare qualcosina?».
«Che modo?».
«Non so. Chiedevo. Se ci fosse un modo, dico. Non so se c'è. Ma, se ci fosse, magari a lei verrebbe in mente».
«In che senso?».
«Dico solo che, magari, se ci mettiamo qui io e lei, se uniamo le forze, e le nostre menti, se cerchiamo su internet, forse può essere che un modo per abbassare un po' la cifra lo troviamo».
«Non so a cosa si riferisce» dice Lodigiano. Poi aggiunge: «Ci sentiamo più avanti per la macchia. Appena mi libero».
«La macchia?» dico, spaventato. «Ma no, guardi, me la sistema mio cugino» .
«È idraulico?» mi chiede.
«Deejay» rispondo.
La settimana dopo viene il cugino Alex. Controlla la macchia con un cacciavite, scava un po’, toglie un pezzetto di muro, ne toglie un altro, ispeziona la nuova cavità, poi torna in posizione eretta, mi guarda e mi fa: «Boh».
«Ma non sei idraulico?» gli chiedo mentre si apre una delle mie birre. E lui: «Non più, adesso faccio il parrucchiere».
Finita la birra gli porgo 50 euro, ma così, come gesto simbolico. La sua battuta dovrebbe essere: “Ma no, ci mancherebbe, sei mio cugino!”.
Il cugino Alex risucchia la banconota come una slot machine, poi si dilegua.
(Lunedì viene il signor Mizzo).
13.4.25
Il commesso (1411)
Sono in libreria, in piedi vicino a uno scaffale, sto sfogliando un libro. Mi si avvicina un ragazzino che, molto timidamente, con estrema e quasi commovente educazione e una voce appena percettibile, cinguetta:
«Mi scusi. Sa dirmi dove posso trovare un libro che si intitola Il mondo capovolto?».
«Eh? No... mi dispiace» gli dico.
Il ragazzino sospira e, le mani sui fianchi, si mette a guardare lo scaffale come un alpinista che esamina la parete di un ghiacciaio.
«Ma è anche vero che io non lavoro qui» aggiungo, sorridendo.
Lui si volta, mi guarda e, impassibile, non prendendo in considerazione nemmeno per un istante l'ipotesi che io non sia un commesso della libreria, dice: «È un libro che parla della rivoluzione francese».
«No, mi dispiace» gli dico, un po' disorientato, ma poi mi rendo conto che io non lo so mica se il libro lo abbiamo o no, perché, in effetti, non lavoro lì. «Però potresti provare a chiedere alla mia collega» gli dico allora indicando una commessa lì vicino.
«Ah ok, grazie» mi dice lui senza particolare entusiasmo, e va a chiedere alla commessa.
«Di nulla,» gli dico, «siamo qui apposta».
(Poi il libro non c’era.)
«Mi scusi. Sa dirmi dove posso trovare un libro che si intitola Il mondo capovolto?».
«Eh? No... mi dispiace» gli dico.
Il ragazzino sospira e, le mani sui fianchi, si mette a guardare lo scaffale come un alpinista che esamina la parete di un ghiacciaio.
«Ma è anche vero che io non lavoro qui» aggiungo, sorridendo.
Lui si volta, mi guarda e, impassibile, non prendendo in considerazione nemmeno per un istante l'ipotesi che io non sia un commesso della libreria, dice: «È un libro che parla della rivoluzione francese».
«No, mi dispiace» gli dico, un po' disorientato, ma poi mi rendo conto che io non lo so mica se il libro lo abbiamo o no, perché, in effetti, non lavoro lì. «Però potresti provare a chiedere alla mia collega» gli dico allora indicando una commessa lì vicino.
«Ah ok, grazie» mi dice lui senza particolare entusiasmo, e va a chiedere alla commessa.
«Di nulla,» gli dico, «siamo qui apposta».
(Poi il libro non c’era.)
10.4.25
9.4.25
Intervista al Vitello Grasso (1409)
Buongiorno, Vitello Grasso, per prima cosa la ringrazio per averci concesso un'intervista, sappiamo che sono ore delicate, per lei.
Grazie a voi, spero che far sentire la mia storia possa essere d'aiuto. Se non a me, ad altri vitelli grassi nella mia situazione.
Ho molte cose da chiederle, comincerei con un semplice: come sta?
Può immaginare, credo.
In effetti sì. Le dà fastidio essere chiamato Vitello Grasso?
No, è il mio nome.
Cioè si chiama proprio così all'anagrafe?
Non c'è un'anagrafe per vitelli. Mi hanno sempre chiamato Vitello Grasso.
Anche quando era magro?
Non sono mai stato magro.
Ultimamente l'hanno chiamata Vitello Ingrassato. Lo preferisce?
Qual è la differenza?
Sposta l'attenzione sul fatto che lei è stato fatto ingrassare a forza.
A forza? Mi piace mangiare, sono una buona forchetta. Senta, non è questo il problema.
Vero. Il problema è che sta per essere ucciso.
Già.
Ma lei ha qualche obiezione, giusto?
Altroché. Per prima cosa il signorino…
Il figliol prodigo.
Lo abbiamo sempre chiamato signorino.
Ok, continui.
Il signorino non ha mai dato una mano in azienda. Sappiamo tutti che della famiglia è…
La pecora nera.
Per favore.
Ah, mi scusi.
Sappiamo tutti che è lo scansafatiche.
Scansafatiche, giusto. Non c'è bisogno di tirare in ballo le pecore.
Appunto. Un giorno che fa? Chiede al padre la sua parte di eredità per andarsene a gozzovigliare. Neanche per avviare un'attività in proprio, che l'avrei capito. Ma quale parte, dico io? Si è mai sentito?
Lei cosa avrebbe fatto?
Al posto del padre? Gli avrei detto: di quale parte vai blaterando, scimunito? Sono ancora vivo! Anzi visto che hai tanto tempo per fare dei progetti, prendi questo badile e vai a spalare la merda di cammello, sul retro.
Invece il padre gli ha dato i soldi.
Sì. Comunque eravamo tutti contenti che il signorino se ne andasse, creava solo scompiglio e chiedeva sempre di ammazzare dei capretti per fare festa. Questo lo fanno tutti e due i figli, devo dire.
Ma poi a un certo punto torna.
Sì. Senza un soldo. Le storie delle sue gesta erano arrivate fino a qui, comunque. Gioco d'azzardo, prostitute.
Cosa pensava accadesse?
Io?
Sì.
Fossi stato io al posto di suo padre, l'avrei messo a…
Merda di cammello.
Esatto. Ma sapevo che sarebbe stato perdonato. Conosco i miei polli. Ma tutto lì.
E poi che è successo?
È successo che sono venuti a prendermi per farmi fuori, per festeggiare, ecco cos'è successo.
Lo trova ingiusto.
Eccome!
Ha detto qualcosa al padre?
Certo che gli ho detto qualcosa. Gli ho detto: quello se ne va a puttane e tu come premio uccidi me?
E il padre?
Ha detto che era morto e ora è vivo.
E lei?
Ma che morto?!, gli ho detto. Quello se la spassava nei bordelli.
Che cosa ha risposto il padre?
Ha detto: Vitello Grasso, lo so, ma cerca di capire, credevo di averlo perso, e invece è tornato. Ho capito, gli ho detto io, facciamo pure una festa, ma c'è bisogno di uccidere il vitello migliore?
Che le ha risposto?
Non sei il migliore, ha detto, sei solo grasso.
C'è rimasto male?
Chiaro. Una vita a sentirsi dire guarda questo vitello, com'è bello grasso. Pensavo fosse un pregio.
Altrimenti si sarebbe messo a dieta?
No. Però avrei impostato diversamente la mia difesa con l'avvocato.
Siete rimasti con le armi spuntate.
Lo può ben dire.
Ma non presentiva che prima o dopo l'avrebbero fatta fuori per mangiarla?
No. C'era un solo Vitello Grasso. E dopo?
Si poteva far ingrassare un altro vitello.
Guardi che non è così semplice, eh, non basta mangiare.
Ah no? E che altro si deve fare?
Ok, basta mangiare. Fatto sta che in quel momento c'ero solo io.
Hanno già messo all'ingrasso un altro vitello, pare.
Ah sì?
Sì.
Ingrati. A saperlo sarei scappato, sarei andato a puttane e poi sarei tornato.
Pensa che avrebbero ammazzato il signorino, per festeggiare?
Penso proprio di sì.
O magari sempre lei.
Ammazzare me per festeggiare il mio ritorno?
Sì.
Ma che senso ha?
Lei è più saporito. Quali sono le sue conclusioni, dunque?
Ah. Dice che è questa la morale della parabola?
Io l'ho capita così.
Grazie a voi, spero che far sentire la mia storia possa essere d'aiuto. Se non a me, ad altri vitelli grassi nella mia situazione.
Ho molte cose da chiederle, comincerei con un semplice: come sta?
Può immaginare, credo.
In effetti sì. Le dà fastidio essere chiamato Vitello Grasso?
No, è il mio nome.
Cioè si chiama proprio così all'anagrafe?
Non c'è un'anagrafe per vitelli. Mi hanno sempre chiamato Vitello Grasso.
Anche quando era magro?
Non sono mai stato magro.
Ultimamente l'hanno chiamata Vitello Ingrassato. Lo preferisce?
Qual è la differenza?
Sposta l'attenzione sul fatto che lei è stato fatto ingrassare a forza.
A forza? Mi piace mangiare, sono una buona forchetta. Senta, non è questo il problema.
Vero. Il problema è che sta per essere ucciso.
Già.
Ma lei ha qualche obiezione, giusto?
Altroché. Per prima cosa il signorino…
Il figliol prodigo.
Lo abbiamo sempre chiamato signorino.
Ok, continui.
Il signorino non ha mai dato una mano in azienda. Sappiamo tutti che della famiglia è…
La pecora nera.
Per favore.
Ah, mi scusi.
Sappiamo tutti che è lo scansafatiche.
Scansafatiche, giusto. Non c'è bisogno di tirare in ballo le pecore.
Appunto. Un giorno che fa? Chiede al padre la sua parte di eredità per andarsene a gozzovigliare. Neanche per avviare un'attività in proprio, che l'avrei capito. Ma quale parte, dico io? Si è mai sentito?
Lei cosa avrebbe fatto?
Al posto del padre? Gli avrei detto: di quale parte vai blaterando, scimunito? Sono ancora vivo! Anzi visto che hai tanto tempo per fare dei progetti, prendi questo badile e vai a spalare la merda di cammello, sul retro.
Invece il padre gli ha dato i soldi.
Sì. Comunque eravamo tutti contenti che il signorino se ne andasse, creava solo scompiglio e chiedeva sempre di ammazzare dei capretti per fare festa. Questo lo fanno tutti e due i figli, devo dire.
Ma poi a un certo punto torna.
Sì. Senza un soldo. Le storie delle sue gesta erano arrivate fino a qui, comunque. Gioco d'azzardo, prostitute.
Cosa pensava accadesse?
Io?
Sì.
Fossi stato io al posto di suo padre, l'avrei messo a…
Merda di cammello.
Esatto. Ma sapevo che sarebbe stato perdonato. Conosco i miei polli. Ma tutto lì.
E poi che è successo?
È successo che sono venuti a prendermi per farmi fuori, per festeggiare, ecco cos'è successo.
Lo trova ingiusto.
Eccome!
Ha detto qualcosa al padre?
Certo che gli ho detto qualcosa. Gli ho detto: quello se ne va a puttane e tu come premio uccidi me?
E il padre?
Ha detto che era morto e ora è vivo.
E lei?
Ma che morto?!, gli ho detto. Quello se la spassava nei bordelli.
Che cosa ha risposto il padre?
Ha detto: Vitello Grasso, lo so, ma cerca di capire, credevo di averlo perso, e invece è tornato. Ho capito, gli ho detto io, facciamo pure una festa, ma c'è bisogno di uccidere il vitello migliore?
Che le ha risposto?
Non sei il migliore, ha detto, sei solo grasso.
C'è rimasto male?
Chiaro. Una vita a sentirsi dire guarda questo vitello, com'è bello grasso. Pensavo fosse un pregio.
Altrimenti si sarebbe messo a dieta?
No. Però avrei impostato diversamente la mia difesa con l'avvocato.
Siete rimasti con le armi spuntate.
Lo può ben dire.
Ma non presentiva che prima o dopo l'avrebbero fatta fuori per mangiarla?
No. C'era un solo Vitello Grasso. E dopo?
Si poteva far ingrassare un altro vitello.
Guardi che non è così semplice, eh, non basta mangiare.
Ah no? E che altro si deve fare?
Ok, basta mangiare. Fatto sta che in quel momento c'ero solo io.
Hanno già messo all'ingrasso un altro vitello, pare.
Ah sì?
Sì.
Ingrati. A saperlo sarei scappato, sarei andato a puttane e poi sarei tornato.
Pensa che avrebbero ammazzato il signorino, per festeggiare?
Penso proprio di sì.
O magari sempre lei.
Ammazzare me per festeggiare il mio ritorno?
Sì.
Ma che senso ha?
Lei è più saporito. Quali sono le sue conclusioni, dunque?
Che ogni scusa è buona per far festa.
Ah. Dice che è questa la morale della parabola?
Io l'ho capita così.
3.4.25
Una foto (1408)
Un camion si è ribaltato sotto casa della mia amica Paola mentre eravamo al telefono. «Un camion si è ribaltato qui sotto casa» ha detto Paola. «Ah sì?» ho detto io. «Ma un camion parcheggiato o in movimento?». «In movimento,» ha detto Paola, «faccio una foto. Te la mando?». «Certo, mandamela» ho detto io, «una foto di un camion ribaltato può sempre servire». Quindi, silenzio. Resto al telefono. Qualche istante dopo Paola torna e mi fa: «No, niente foto, mi vergogno». «Perché ti vergogni?» le ho chiesto. E lei: «C'è troppa gente. Sembro una che vuole fare una foto, se faccio la foto». «Giusto,» le ho detto io, «non ci avevo pensato».
1.4.25
I giovani (1407)
Ah, i giovani! Quando sei giovane non capisci certe cose, poi magari arriva un adulto (vecchio, secondo il giovane) che, ma guarda un po', è stato giovane come te e, come te, quando era giovane non capiva certe cose ma ora che è adulto o vecchio che dir si voglia le ha capite e ti vuole mettere in guardia, in realtà non per vera filantropia ma per farti pesare i difetti dell'essere giovani e godersi i pregi dell'essere vecchi, ma tu sei giovane e in quanto giovane non lo ascolti, perché, lo sappiamo, i giovani non ascoltano, devono farsi le loro esperienze, eccetera. E fino a qui tutto bene. Poi però che cosa succede? Il giovane diventa vecchio (adulto, secondo il giovane) e all'improvviso si sente saggio e si mette a spiegare ai giovani ma visto che c'è pure ai vecchi le mirabolanti lezioni di vita che ha appreso durante il suo unico e straordinario percorso di invecchiamento; lezioni che, giura adesso il giovane-vecchio, se quando era giovane-giovane qualcuno gliele avesse insegnate, gli avrebbe fatto un grandissimo favore e lui sarebbe stato pronto e attento ad accoglierle con gratitudine nelle proprie coclee, quando invece noi, essendo ancora più vecchi ed essendo già passati anche da lì dove sta passando lui ora per la prima volta come se fosse Umberto Nobile che sorvola il Polo Nord, quando invece è più come un giapponese che attraversa l'incrocio di Shibuya il lunedì mattina, noi, dicevo, sappiamo che in realtà se gli avessimo dato una qualsivoglia dritta, fosse stata anche "non leccare le lumache vive", avrebbe pensato "sciò, vecchio!" e non avrebbe ascoltato, o forse si sarebbe precipitato a cercare una lumaca, per dimostrare la propria giovanissima giovinezza. Quindi ora noi, mi chiedo, noi che rispetto a quel giovane siamo ancora e saremo per sempre dei vecchi anche se adesso è vecchio pure lui e noi un po' ci godiamo, che cosa faremo nel momento in cui viene - di solito su un social - e ci dà un consiglio? Penseremo "oh ma guardate quanto è saggio quel giovane vecchio, mica come noi che siamo stati giovani stolti prima e vecchi stolti poi" o penseremo "Gesù, eccone un altro…"?
31.3.25
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