Accusare il lockdown, volume due: mia madre oggi mi chiama perché vuole scaricare Skype sul computer. Le spiego come fare partendo da vai su Google e «scrivi esse cappa ipsilon pi di Palermo e di Empoli». A un certo punto comincia a dire che gliel’ha messo nella cartella «dambò». Non capisco cosa sia «dambò» ma mi dico che probabilmente è stato solo un brutto sogno e che non sentirò mai più quella parola. Poi però lei mi dice ancora che è in «dambò». Mm, penso, e spero che si possa completare il processo continuando a ignorare questo «dambò». Ma non si può. Nasce il solito diverbio in cui la persona che non sa la cosa pretende di spiegarla a chi la sa. Così devo per forza ancora una volta addentrarmi nelle anfrattuosità della sua psiche e alla fine ne riemergo con la nozione che «dambò» corrisponde a download. Le dico: cazzo, mi dici dambò dambò, che ne so che è download? E lei: scusa, ho settant’anni, non ho più tutti i neutroni.