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C’è un tizio che ha scritto un libro sulla droga e poi è finito all’ospedale per overdose, e tutti i giornali a sottolineare che «Aveva scritto un libro sulla droga e adesso è in overdose!». Ma quanta ingenuità, quanta tenerezza, giornalisti miei. Un libro è un libro, non va mica preso sul serio, uno ci scrive quello che gli gira di scriverci quel giorno lì, non è un contratto, una confessione, un diario o l’etichetta di un detersivo. Vi dico come farei io: io scriverei un libro sulla droga, anzi contro la droga e, con le royalties, mi comprerei la droga per drogarmi, poi andrei alle presentazioni a dire a tutti non drogatevi!, e poi direi scusate vado a fare pipì, e invece andrei a drogarmi, poi, drogato, tornerei a parlare della droga e a dire alla gente di non drogarsi, e che io lo so bene perché mi drogavo ma adesso sono completamente uscito dalla droga grazie alla mia forza di volontà e ad alcuni stratagemmi, direi proprio così, che ho messo nel libro, poi direi scusate vado in bagno a truccarmi, poi tornerei – truccato – e direi allora, dove eravamo rimasti? Ah sì, ok, ma possiamo mettere un po’ di musica? È un mortorio qui (la vita normale sembra un mortorio ai drogati, invece stare in coma su un materasso impregnato di piscio e vomito è un vero sballo). Poi, uscito dall’overdose eccetera, una giornalista verrebbe a intervistarmi nel mio salotto e mi direbbe: lei aveva scritto un libro contro la droga ma poi si è drogato! E io: e allora? Mi servivano i soldi per la droga, conosci un modo migliore di fare soldi? E lei: ma uno non dovrebbe scrivere solo quello che pensa realmente? Non è questa la vera letteratura? E metterci un messaggio edificante, anche, non è forse questa la vera arte? L’arte non serve a stabilire chi sono i buoni? Il vangelo non è forse arte? E io: Mm, non so, può darsi, ce l’hai una cartina? E lei: Sì, aspetta. E poi sapete come va a finire.

3.8.20