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Vengo spesso accusato di non fare niente, ma non è vero, io sto sempre facendo qualcosa. Prendiamo oggi: sono andato in cartoleria, ho fatto una passeggiata, ho sorseggiato champagne, ho letto un bellissimo romanzo, solo sei pagine, ma scommetto che anche le altre quattrocentocinquantadue, che non leggerò, sono altrettanto belle, ho preparato il pranzo, ho parlato con Gâteau, ho scritto ben nove righe, conversato amabilmente (sempre con Gâteau), eccetera. Quindi come si può vedere sono una persona estremamente impegnata, altroché! Eppure, tutti lì a dirmi che non faccio niente. Persino la mia anziana e, possiamo dirlo, molto meno sveglia di un giovane aquilotto, madre, mi chiama e attacca a parlarmi di qualunque cosa come se non stessi facendo niente. Le dico: scusa, una curiosità, ma tu come mi immagini? Qui in questa casa seduto su una sedia in mezzo a una stanza vuota? Ma non solo lei. Giorni fa per esempio ricevo la mail di una lettrice, Tabata (nome di fantasia, in realtà si chiama Simona), di Tivoli (città di fantasia, in realtà è di Castiglione della Pescaia), che mi fa: si batte la fiacca? Le ho risposto: Scusa, una curiosità, ma tu come mi immagini? Qui in questa casa… eccetera. Incredibilmente mi ha dato la stessa risposta di mia madre: ho fatto le lasagne, vieni a pranzo? Bizzarro. Be’, in realtà sto scrivendo un testo il cui titolo provvisorio è Il gatto Sponky o I dolori del giovane Spezzetti, non ho ancora deciso. Non è facile finirlo perché bisogna prima di tutto trovare la voglia, merce rara di questi tempi, e intendo i tempi trascorsi su questo pianeta. Ricordo che una volta, a una presentazione, una ragazza che definire avvenente è poco mi chiese: quanto tempo ci ha messo a scrivere il suo libro? Le risposi: è una domanda interessante e complessa, che ne dici se ne parliamo a cena davanti a una bottiglia di Chateau Margaux del 1964? Non bevo, rispose lei, il che mi fece tirare un sospiro di sollievo, visto che pagarla mi avrebbe dissanguato. Comunque, per rispondere alla tua domanda, le dissi, ci ho messo undici mesi. Lei sembrò impressionata e per un attimo rivalutò la proposta dell'invito a cena, facendomi tremare. In realtà ce ne avevo messi due, ma nove mi erano serviti per trovare la suddetta voglia, appunto. Quindi, non so.