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Poi ho guardato anche il finale di quel film, quello del ragazzo cinese. La cosa che mi ha colpito di più è che il ragazzo cinese sembrava depresso. Non dico il personaggio ma l’attore proprio, e questo rendeva molto credibile il personaggio. A volte mi domando se gli attori possano essere depressi. Crediamo che la loro vita sia favolosa ma non avranno anche loro i problemi che abbiamo noi? In fondo sono esseri umani e gli esseri umani, lo sapete, non sono mai felici. E quelli che sono felici è solo che non hanno capito di non avere motivi per esserlo, è tutto un fraintendimento, in realtà dovrebbero essere infelici. Ma di questo parleremo un’altra volta. Tornando al film, credo non ci sia bisogno del cosiddetto spoiler alert perché trattandosi di un canovaccio già vecchio ai tempi di Plauto sappiamo tutti che poteva finire in un solo modo e cioè: la bella ragazza americana si è poi resa conto di amare non il bel ragazzo americano, cioè l’esterno delle persone, ma il ragazzo cinese, cioè l’interno, e da tutto questo ha pure tratto una lezione: sii te stesso. Questo ci fa capire come sia tutto incredibilmente ciclico. Quand’ero un adolescente la morale dei film era: sii te stesso. Ora che morale hanno i film per adolescenti? Sii te stesso. Ma come, dico, non ha funzionato la prima volta, come può funzionare la seconda? Perché ripropinarlo? Ma evidentemente il modo in cui doveva funzionare non era in termini edonistici, o forse sì, ma per i produttori, non per gli spettatori. Comunque sia, la ragazza torna dunque dal ragazzo cinese e davanti a tutti i suoi familiari – genitori, nonni, eccetera – lo bacia e loro applaudono entusiasti, poi si spogliano – i due ragazzi, dico – e cominciano a fare sesso lì nel vialetto e i familiari sempre ad applaudire e a incitarli, e nel frattempo si sono spogliati anche loro ma giustamente non partecipano, sono una famiglia discreta, e in questo caso sono tutti felici (ma è finzione), però in questo modo naturalmente le cinquemila stelline se le sogna.

11.11.21