Siamo sordi (1060)

Passo a trovare i miei genitori, per vedere se assumono sufficiente vitamina D. Mio padre è sul divano, in meditazione. Mia madre è chissà dove, sempre in meditazione. Che siano in collegamento?, mi dico. Forse lui sta pensando: fammi un tè. E lei sta pensando: fattelo da solo. E lui sta pensando: scusa, non ho una buona ricezione forse a causa di un tuo debole stato meditativo, può succedere alle schiappe, niente di grave, ma giusto per sapere: hai detto per caso «te lo faccio al volo?». A quel punto le telefono.
«Tuo figlio è qui,» le dico «puoi venire in soggiorno?». Un istante dopo eccola arrivare.
«Il mio tè?» chiede mio padre.
Lei lo ignora e mi mette in mano un pulsossimetro. «L'ho comprato stamattina».
Subito ci infilo un dito e leggo i valori ad alta voce, «ossigenazione 98», «pulsazioni 80».
«80?!» dice mio padre ridacchiando. Mio padre prende tutto come una gara e le regole sono sempre forgiate in modo che lui ne esca vincitore. Nel caso delle pulsazioni vince, mi pare di aver capito, chi le ha più basse, anche se ne ha 6. E non importa se lui è seduto sul divano da tre giorni e se io invece sono arrivato a casa loro in canoa. Non importa se lui è cardiopatico e io no. Non importa se lui prende una pastiglia che gli abbassa i battiti. Io ho 80 e lui meno, ha vinto. Allora gli dico «vediamo i tuoi», e gli lancio il pulsossimetro. Lui non si muove, ma mia madre si tuffa e lo acchiappa, quindi si rimette in piedi dopo una capriola e glielo porge.
«Non deve agitarsi» mi spiega.
Mio padre prende il pulsossimetro e ci infila il dito e il pulsossimetro comincia subito a suonare. Come un allarme. Bi-bip, bi-bip, bi-bip, bi-bip. Mio padre mi osserva impassibile. Sorride. Anche mia madre mi osserva impassibile e sorride. Intanto il pulsossimetro suona. Bi-bip, bi-bip. Mi avvicino e do un'occhiata al display, dice che le pulsazioni sono 45. Suona (bi-bip) e lampeggia.
I miei: tranquilli.
«Non sono un po' basse?» chiedo.
«Prende la pastiglia» dice mia madre.
«Stamattina le avevo a 36» dice mio padre con orgoglio.
«Al pulsossimetro però non piace che le abbia così basse» dico.
«In che senso?» chiede lei.
«Eh,» dico «non senti come suona?».
I miei si scambiano un'occhiata dubbiosa.
«Suona chi, scusa?» dice mia madre mentre il pulsossimetro continua con il suo instancabile bi-bip, bi-bip, bi-bip.
«Non… non lo sentite?».
«Sta suonando?» chiede mio padre.
«Sì» dico.
Silenzio (bi-bip, bi-bip…).
Allora lo esamina, se lo porta all'orecchio, e intendo che lo preme contro l'orecchio e resta così per un po', come se ci volesse tempo per capire.
«Non lo senti?!» dico.
«No» dice lui.
«Ma adesso sta suonando?» chiede mia madre.
«Sì, che sta suonando!» dico io.
Mia madre prende la mano di mio padre e avvicina il pulsossimetro all'orecchio. Cioè, al casco di riccioli che le ricopre il cranio, ma in corrispondenza di un presunto orecchio.
«Non lo sento» conclude.
«State lì» dico io, e mi sposto di qualche metro. «Qui lo sento» dico. Poi mi allontano ancora. «Lo sento anche qui». Vado nell'altra stanza. «Lo sento!» Esco sul terrazzo. «Lo sento!». Vado in giardino e, a quel punto, mi sembra quasi di non sentirlo più, complici i pettirossi e le automobili, ma penso che di notte lo sentirei. La sensazione è che potrei sentirlo a cento metri di distanza. Potrei andare a casa mia, chiudere le finestre, andare sotto le coperte, chiamare i miei e dire: «Lo sento».
Torno dentro. Il pulsossimetro sta ancora suonando. I miei mi guardano. Anche il pulsossimetro mi guarda.
«Lo sentivo dal giardino» dico.
Mia madre guarda mio padre: «Siamo sordi?».
Mio padre la guarda, le sorride e le dice: «Al bergamotto».
Allora mia madre guarda me: «Siamo sordi».
Io, muovendo solo le labbra: sì.

28.4.22