Ginseng (1087)

Ieri mattina mi scrive l'assicuratore: oggi grandine, occhio. Non ho neanche capito cosa volesse dire. Occhio cosa? Tipo occhio metti la macchina al riparo? No. L'ho assicurata apposta perché tu mi risarcisca in caso di grandinata, quindi se c'è un giorno dell'anno in cui lascio la macchina all'aperto è questo, il giorno in cui tutto il mondo sa che grandinerà. Infatti poi mi chiama anche mia madre: sentito? Oggi grandina. E allora?, le rispondo. Subito mi pento. E allora vince un secondo messaggio. E infatti: plin! Seguono preoccupazioni tipo metti la sciarpa, però alla macchina. Non mi sarebbe dispiaciuto: esci con una pentola in testa, sei importante. A parte che una pentola in testa forse ti trasforma immediatamente in un parafulmine. Me la vedo, al funerale, che piange ma, insomma, non troppo. Si avvicina zia Mariuccia e le fa: certo che uscire di casa col temporale e una pentola in testa, che razza di idea. E mia madre: ma infatti. Da qui le lacrime contenute. Poi caffè con il mio amico Giorgio. Ieri, dico. E lui: oggi in arrivo grandinata epocale. Intanto una cameriera con tatuato sul braccio I don't care mi serve la colazione sbagliata. Mi avevi detto ginseng, vero? No. La brioche era vuota? Era fetta di torta. Il succo di mirtilli con ghiaccio? Era un toast. A Giorgio dico: va bene, mi avete convinto. Una volta a casa prendo la macchina e la metto in garage. Sono le undici del mattino. Chiudo tutte le imposte. Stacco gli elettrodomestici per gli sbalzi di tensione. Indosso scarpe con la suola in gomma e metto la gatta nel trasportino. Poi aspetto la grandinata del secolo. Grosse nuvole nere stazionano nel cielo come astronavi per tutto il giorno, non cade una goccia. La sera, alle 22, tutto calmo. Apro un'imposta e vedo bambini che giocano a calcio, gente che mangia e beve, macchine scintillanti parcheggiate ovunque, un tizio che surfa. Allora dico: basta. Esco. Arrivo al pub. Prendo una birra. Mi siedo. Davanti a me c'è un tizio con una caraffa da un litro e mezzo di gin tonic. Un dobermann mi gira intorno come uno squalo, o come un dobermann, in effetti. Dal collo penzola il guinzaglio. Quanti ne bevi di quelli?, chiedo al tizio. Cinque o sei, mi fa. Intanto arriva un'amica. Prende un amaro. Lo beve. Dice: sono sbronza. Quanto hai bevuto?, le chiedo. Un amaro, mi risponde. Quando ordino la seconda birra arriva la tempesta.

29.6.22