Acqua di scarico e miele (1135)
Vado dal nuovo medico. Perché un nuovo medico? Semplice: sono in corso le selezioni per trovare il mio nuovo medico. I candidati non lo sanno. Ma in fondo lo sanno. Intendo: non ci sentiamo un po' tutti sempre sotto esame? Prendete la persona che vi sembra la persona più sicura di sé del mondo. Ecco, quella persona, anche se non ci credete, si sente sempre sotto esame. Anzi oserei dire che più una persona sembra sicura di sé e più si sente sotto esame, perché ha una responsabilità verso la propria immagine di persona sicura di sé, ma la caduta è sempre dietro l'angolo. Cristiano Ronaldo, per dire. Io quando guardo Cristiano Ronaldo e vedo tutta quella sicurezza di sé, tutta quella spacconeria, penso: poverino, sembra terrorizzato. Da se stesso, intendo. E questo vale per tutte le persone sicure di sé, mi verrebbe voglia di farle sedere, mettere loro addosso una coperta (non ho freddo/certo, certo) e dire: adesso riposati, tranquillo, per cinque minuti puoi essere una merda anche tu. Ma torniamo al nuovo medico, alle selezioni. Il precedente candidato non ha superato l'esame, anzi diciamo pure che ha fallito dopo settantanove secondi, quasi un record. Come fallisce l'esame un candidato? Semplice. Sono in sala d'attesa con visita regolarmente prenotata presso il Ministero della Salute, arriva una tizia all'ultimo momento, si fa vedere dal medico attraverso il buco della serratura e lui la fa entrare prima di me. Io non batto ciglio, prendo il taccuino e segno un meno, anzi due, uno al medico e uno alla tizia (categoria: cittadini. Ora che ci penso dovrei mettere un doppio meno al medico: uno in quanto medico e uno in quanto cittadino, perché un cittadino che fa male il mestiere di medico non è solo un cattivo medico ma anche un cattivo cittadino). Poi entro, la tizia mi incrocia, mi sorride e si scusa (segno un meno: ipocrita). Il medico non indossa il camice (meno), non porta la mascherina (meno), è in sovrappeso (meno), puzza di sigaretta (meno), non si veste rispettando i dettami del cerchio di Itten (meno). Qui siamo a dieci secondi. Peggio poteva fare solo dandomi un cazzotto. Veniamo alla visita. Prima volta che mi presento, mi aspetto che ascolti tutto quello che dico anche se decido di partire da quando mia nonna si è curata una scottatura immergendo il dito nell'acqua di scarico della lavatrice (o bevendola, non ricordo). Ma il medico neanche mi guarda (meno) e giocando a campo minato sul pc (meno. Fossero stati scacchi: più) mi dice «dimmi» (non mi dà del lei: meno). Cioè, potrei avere un'accetta conficcata nel cranio. Potrei essere verde. Avere un occhio che mi penzola dall'orbita. Schiuma che mi esce dal naso. Non ci siamo. Segno svariati meno sul taccuino e poi spiego che cos'ho. Il medico effettua la sua diagnosi sulla base del mio racconto senza fare domande (meno), non mi visita (meno, e qui siamo a settantanove secondi), mi prescrive un farmaco (meno), mi parla dei cazzi suoi, della sua personalità, dei suoi progetti (meno, meno, meno) e alla fine mi congeda. Arrivederci!, mi dice. Certo, dico io, e intanto sul cellulare sono già collegato al fascicolo elettronico e sto cambiando medico. Così arriviamo a quello nuovo, testato ieri. Mi fa entrare senza nemmeno alzarsi per accogliermi, anche lui niente camice, niente mascherina, non mi guarda, intento com'è a giocare a campo minato. Faccio per dirgli cos'ho, ma lui alza una mano. No, dice, non me lo dire. Eh?, dico io. Non mi dire niente, mi fa, non voglio suggerimenti. Resto in silenzio. A quel punto mi osserva. Mm, fa. Tosse?, mi chiede. Sì, dico, e… No!, dice lui, non dire niente. Tosse, tosse, tosse… secca!, dice. Resto impassibile. Bravo, mi dice lui. Allora, pressione… pressione 130/90. Resto impassibile. Pulsazioni 90. Febbricola intermittente. Bronchite. Leggera. A quel punto dico: mi ausculta i polmoni? Lui prorompe in una fragorosa risata. Ti faccio un test per il Covid, dice poi. Oh, bene, penso. Mi fissa per trenta secondi, poi dice: negativo. Prendi queste, mi dice lanciandomi una scatolina. E queste, mi dice lanciandomi un'altra scatolina. E queste e queste, mi dice lanciandomi altre scatoline. Non muovo un dito, le scatoline mi finiscono addosso, poi sul pavimento. Alcune a stomaco vuoto, altre a stomaco pieno, vedi tu, dice mentre torna a giocare a campo minato. Tutto qui?, dico io. Ma lui è già completamente assorbito dal gioco. Altrimenti sai cosa?, dice lui mentre me ne sto andando, me sempre dandomi le spalle, senza smettere di giocare. Mi fermo, la mano sulla maniglia. Cosa?, dico. Meglio di tutto, il vecchio rimedio della nonna: latte e miele. Io: o latte e cognac. Lui: ancora meglio. Io: o solo cognac. Lui: ancora meglio. Anzi, dice prendendo da un cassetto due bicchierini e una bottiglia, cominciamo subito. Versa il cognac, poi mi guarda e mi fa un cenno con la testa. Torno a sedermi. Alla tua, dice porgendomi il bicchierino. Brindiamo. Beviamo. Versa altro cognac. Perché non indossa il camice?, chiedo al terzo giro. Lui sbuffa, ride: non me ne frega un cazzo. Rido. Quarto giro. Mi sento già meglio, dico. Lui sorride: ci credo. E versa ancora. Ha delle patatine?, chiedo, sa, per non bere a stomaco vuoto. Lui: non servono, prendi queste. E mi lancia una scatola di gastroprotettori. Comincio a sgranocchiare le compresse. Delle salse?, chiedo. Lui mi passa del gel disinfettante. Al limone, mi fa strizzando l'occhio. Sorrido mentre intingo le compresse nel gel. Lei gioca a scacchi, dottore?, gli chiedo al quinto giro mentre, collegato al fascicolo sanitario, cambio medico. Lui: no. Poi mi chiede: tu giochi a campo minato? Io: certo. E ci mettiamo a giocare, felici.