Quando prendo un aereo per tornare a casa passo tutto il tempo del volo ad ascoltare il rumore della fusoliera che fende l’aria e ho continuamente la tentazione di fermare una di quelle hostess sempre sorridenti e rassicuranti e chiedere «È normale? Questo rumore, dico. È normale?». O anche: «Perché ondeggiamo? È normale ondeggiare?». Oppure: «Può dire al passeggero davanti a me di smetterla di pasticciare la guarnizione del finestrino?».
Ma quando quel sibilo infernale si ferma è anche peggio, perché allora ho la netta sensazione di stare silenziosamente, delicatamente, irreversibilmente planando verso il fondale marino. Mi immagino i piloti, in cabina che, dopo essersi tolti le cuffie e i microfoni e dopo essersi alzati in piedi, si abbracciano e si danno grandi e affettuose pacche sulle spalle, gli occhi lucidi, con il comandante (trent’anni di servizio e centomila ore di volo, lascia una moglie e due figli, mi sussurra la hostess all'orecchio) che dice «signori, è stato un piacere volare con voi», come in Apollo 13. Ma poi mi guardo intorno e gli altri passeggeri sembrano tranquilli. Le hostess sembrano tranquille. E quella grossa, rassicurante nuvola sembra tranquilla, e rimane sempre alla stessa altezza. Ma la tranquillità dura un istante e subito dopo ci immagino tutti che precipitiamo di nuovo. La colpa è anche di certe premure non proprio necessarie, devo dire. Quanto è opportuno, mi chiedo, farci salire tutti quanti su un autobus con le ali che molto presto raggiungerà i novecento chilometri all’ora e poi, una volta che non possiamo più scendere, mostrarci come fare il nodo della cravatta del completo funebre? E che significa che la maschera dell’ossigeno funziona anche se non è attaccata? Come fa a funzionare, se non è attaccata? L’unica spiegazione è che sia finta. Oh, questo si che mi tranquillizza. Si avvisano i signori passeggeri che, quando precipiteremo, verrà distribuita a tutti una maschera dell’ossigeno finta. La maschera funziona anche se non è attaccata. Anche se non è indossata. Anche se inghiottita. La maschera funziona anche se non funziona. Ricordiamo inoltre che, dopo lo schianto sul fondale marino, i signori passeggeri sono pregati di nuotare ordinatamente fuori dal velivolo, dando la precedenza ai cadaveri più piccoli. Per farlo, è bene servirsi solo delle apposite uscite di emergenza formatesi qua e là nella carlinga in seguito alla caduta, oppure rimanete a bordo, chi se ne frega. Anche il puntuale messaggio del comandante non aiuta granché, devo dire. Penso che sarebbe meglio mantenere un clima omogeneo dalla partenza all’atterraggio, invece di rompere di tanto in tanto il silenzio con un rumore di antenna scollegata e poi sentire, scandito da interminabili pause
ssshhh gentili signori (interminabile pausa)
visto che nei quattro secondi tra gentili signori e qui è il comandante, durante i quali probabilmente il comandante sta solo deglutendo, il mio cervello prova miliardi di possibili annunci catastrofici per vedere come stanno: gentili signori
- ci si vede.
- è la fine.
- qualcuno ha una cloche?
- prima o poi doveva succedere.
- stiamo precipitando a una velocità di circa…
- ahhh mio dio! Mio dio! Noooo!!! Ahhhh!!!
- ora potete anche usare i vostri dispositivi elettronici
- il radar segnala un grosso pianeta in avvicinamento.
- dite a mia moglie che ssshhh
Ma alla fine atterri, scendi dal trabiccolo più in fretta che puoi, recuperi il bagaglio e ti lasci travolgere da una carica di dopamina caramellata. Com’è andato il viaggio? Fantastico. Ah, sì? Allora prenderai sempre l’aereo. Beh, certo: è un mezzo molto comodo.
In realtà, il mio desiderio di volare attraversa sempre le stesse dieci fasi:
Fase 1. Compro il biglietto e penso che volare sia molto comodo.
Fase 2. Aspetto di salire sull’aereo e penso che anche il treno è molto comodo, in fondo.
Fase 3. Ci fanno salire sull’aereo e io ci guardo, così stipati e così ignari, e lì realizzo che moriremo tutti.
Fase 4. Tra poco cominciamo la procedura di partenza e penso che voglio cominciare la procedura di scendermene e tornarmene a casa.
Fase 5. L’aereo sta andando a seicento all’ora su un fazzoletto di terra e io mi immagino quelle piccole rotelline di gomma che sfrigolano sull’asfalto e intanto l’aereo non decolla, dio mio, non decolla, stavolta so che non decolla e ci schiant…
Fase 6. L’aereo decolla. Capisco immediatamente che non è una cosa normale, che un autobus voli. Però intanto rido perché è bello. E penso che, se non muoio questa volta, col cazzo che lo rifaccio.
Fase 7. L’aereo sale, sale, sale (non potremmo volare a ottanta chilometri orari a dieci metri da terra, comandante?) e il mondo diventa minuscolo. Crisi mistica: siamo così piccoli di fronte all’universo. Sto andando in un posto migliore. Chiudo gli occhi. Li riapro. Li richiudo.
Fase 8. Volo lineare. Siamo sopra le nuvole, e siamo gli unici. Ho le unghie piantate nelle cosce, sono pallido e ho la tachicardia. Il mio cervello mi manda un telegramma.
Che. Cazzo. Ci faccio. Così. In alto. ?. Stop.
Mi si avvicina una hostess e mi chiede se voglio da bere. Apro la bocca ma mi esce un help a nuvoletta.
Fase 9. Si comincia a scendere e io tengo d’occhio il mio altimetro di probabilità di sopravvivere allo schianto. Eravamo così in alto, che a mille metri dal suolo mi sembra già di poter salutare tutti, aprire un portellone e scendere in corsa, atterrando soffice su quelle casette di marzapane. Poi mi ricordo di quel tale che è morto cadendo dalla bici.
Fase 10. L’aereo tocca la pista ma sta ancora andando a una velocità drammatica. Non freneremo mai. Freniamo. Scendo, entro in aeroporto, recupero il bagaglio. Com’è andato il viaggio? Fantastico.