Sei libero (1392)
Quand'ero al liceo, la prof di artistica mi scambiava sempre per un mio compagno, Lucentini. Non ha mai imparato il mio nome, era un po' svampita, ma anche molto severa, almeno con me, cioè volevo dire con Lucentini. E dire che Lucentini, quello vero, non parlava mai e, se parlava, aveva una voce flebile che a malapena lo si sentiva. Io, invece, parlavo sempre. «Basta, Lucentini!» mi sgridava allora la prof. «Scusi, prof,» dicevo io, «però il fatto è che…» e polemizzavo. Tanto la reputazione era di Lucentini, e anche i voti sul registro e, in definitiva, la vita. «Oggi mi hai proprio stufato, Lucentini!» gridava la prof. E io protestavo o, semplicemente, proseguivo. «Ti metto una nota?» gridava lei, «E me la metta! Me ne metta due!» dicevo io, mentre Lucentini sudava freddo. O altri commenti strani, se era in buona, del tipo: «Lucentini, ma cosa vorresti dire con quella faccia da intellettuale?». Eccetera. E il vero Lucentini? Troppo educato e timido per protestare e, se anche avesse protestato, nessuno l'avrebbe sentito. «Cos'è questo cigolio? Lo sentite anche voi?». «Non è niente, prof». Ogni tanto comunque Lucentini provava a rimettere ordine nella realtà, alzava timidamente un dito e abbozzava un: «Ma… ehm.. veramente…». E io, subito, sottovoce: «Zitto tu!». E lui rinunciava. Mi sono tenuto la sua identità per tutta la quinta. Alla fine dell'anno, a giochi fatti, sono andato dalla prof. «Che cosa vuoi, Lucentini?» mi ha detto lei. E io: «Mi chiamo Baruffa, prof». Lei ha sollevato la testa e, guardandomi come appena ridestata da un lungo sonno, mi ha chiesto, confusa: «E allora Lucentini chi è?». E io: «È quel tipo là in fondo, con la maglietta bianca». E lei, dopo averlo scrutato per un paio di secondi: «Mai visto». Poi, tornato al banco, mentre mettevo il libro nello zaino ho guardato Lucentini, che mi guardava a sua volta speranzoso, e gli ho detto: «Vai, sei libero».