Gabriela (1420)

Diversi anni fa mi piaceva moltissimo una ragazza di nome Gabriela.
Per me Gabriela era la più bella di tutta San Paco Llorente, anche se magari molti non sarebbero stati d'accordo, per esempio il mio amico Roberto, a lui Gabriela non diceva nulla, o almeno così dichiarava, e io sorridevo e pensavo: “Perfetto, meno uno”. A parte che non gli credevo, era molto più probabile che Gabriela piacesse moltissimo anche a lui, ma con me cercava di denigrarla per farmi abbassare la guardia o per quel discorso della volpe e dell’uva.
Comunque.
A un certo punto Gabriela comincia a frequentare il Cerveza Enojada, lo storico bar di San Paco dove vado sempre anch'io, oltre a Roberto e Giorgio, Paola, Carla e tutti quanti.
Io sono già felice così, perché posso guardarla da vicino (cioè, non che le vado a dieci centimetri e la fisso), senonché a un certo punto sulla ruota delle combinazioni cosmiche cominciano a uscire uno dopo l’altro tutti i miei numeri, e dunque non solo mi ritrovo a fare due chiacchiere con Gabriela, ma viene fuori che Gabriela è: alla mano, molto simpatica e ride praticamente a tutte le mie battute.
Ci piace così tanto fare due chiacchiere che prendiamo l'abitudine, il venerdì, di metterci a un tavolo con tutti gli altri e parlare però solo tra noi, tanto che gli altri poi a uno a uno se ne vanno e io e Gabriela restiamo lì fino alla chiusura, e Gabriela mi chiede se la porto a casa.
E così, per tre o quattro venerdì di seguito, quando il Cerveza chiude do un passaggio a Gabriela fino a casa, arriviamo proprio sotto casa sua, spero che mi dica “Vuoi che entriamo e ti faccio conoscere i miei genitori, così ci portiamo avanti?” e intanto diciamo ancora due cose, poi Gabriela mi fa «Allora io vado», apre lo sportello, scende e, effettivamente, se ne va.
La prima volta rimango estasiato. Mentre torno a casa sono così felice da non rendermi conto che, in pratica, non è successo niente. Mi ferma anche una pattuglia dei Carabinieri e io, mentre mi fanno la multa per un fanale spento, racconto al maresciallo della mia serata con Gabriela. Nel darmi il foglietto della contravvenzione, il maresciallo aggiunge pure un consiglio: «Aggiusta quel fanale, Baruffa, le donne non sembra ma ci guardano a queste cose». Io mi metto sull’attenti, gli faccio il saluto militare e gli dico «Ma è vera quella storia che, se ve lo chiedo, dovreste cambiarmi voi la lampadina del fanale?». E lui: «Va’ via, prima che ti sparo».
Una volta a casa mi infilo nel letto e lì viene fuori il Sobillatore che è in me, autore di sceneggiature catastrofistiche, profezie autoavveranti e continue richieste di tornare a casa a controllare se ho davvero chiuso la porta di ingresso, e dice: “Gabriela aveva solo bisogno di un passaggio, svegliati”. “Ma ce l'aveva il passaggio,” penso, “era la sua amica Flavia, che poi se n'è andata proprio perché Gabriela voleva continuare a parlare con me, ricordi?”. Il Sobillatore, lì, zitto.
La seconda volta che riporto a casa Gabriela sono ancora molto contento, specialmente pensando alla faccia delle sue amiche quando nell'andare via le hanno detto «Ma non vieni?!» e lei con un sorriso malizioso (“Una smorfia probabilmente dovuta a una colica”, secondo il Sobillatore) ha risposto: «No, resto qui con Joey». Lì, stavo già pensando: “La cameretta dei bambini potremmo farla gialla”.
La terza sera, però, mentre siamo al Cerveza Gabriela mi parla del Cholo.
Lì penso: “Ahi”. Il Sobillatore dice: “Finita”.
Il Cholo è stato l'ultimo ragazzo di Gabriela. Il Cholo, chiamato così perché somiglia a un calciatore argentino, è un tizio di San Paco: bello, ahimè, con una bella macchina, un bel modo di fare, un bel lavoro, un bel cane e, per logica o diretta conseguenza, tante belle donne. Il Cholo è il tipico latin lover sanpacollorentese: si presenta al Cerveza con una donna una sera, e sette giorni dopo già si presenta con un'altra. In più, che forse è il segreto del suo fascino, ha quell’aria indifferente come se tutte queste fortune lo annoiassero.
Allora, mentre Gabriela mi parla, il Sobillatore mi dice: “Capito? Gabriela ci sta usando come dama di compagnia nella speranza che si faccia vedere il Cholo”.
E stavolta sono io che non ribatto.
E una sera il Cholo si fa vedere sul serio. Entra come Clint Eastwood in un saloon, si appoggia al bancone, ordina qualcosa, dice una frase mitica a caso, non so, «Domani è un altro giorno», il barista ride, una donna sviene.
Gabriela dice soltanto «Ecco il Cholo», e il Cholo la vede (ci vede! Potrei andare a bere un whisky con lui e dirgli: “Allora, Cholo, che facciamo stasera? Andiamo in discoteca? Andiamo a fare una spericolata corsa di automobili? Andiamo a vederci Film Rosso di Kieślowski?”), fa un cenno – i tipi come il Cholo fanno cenni, mi pare di aver capito – e poi torna a farsi i fatti suoi con una tizia appena svoltolata dal cellofan.
Tutto questo però non sembra turbare Gabriela.
Quando il Cholo se ne va, io sto per dirle "Vuoi che con la mia auto pediniamo il Cholo? Vuoi che lo speroniamo e che lo catturiamo e lo portiamo da qualche parte e con le buone o con le cattive proviamo a convincerlo a tornare con te?", ma poi vedo che lei è tranquilla come tutte le altre sere, quindi lascio perdere. Ma così, giusto per scavare un po', su suggerimento del Sobillatore le chiedo di raccontarmi come sono andate le cose col Cholo.
Gabriela allora mi racconta, e di tutto quello che dice c'è un particolare che mi si scolpisce immediatamente nella testa: il modo in cui lei e il Cholo si sono messi insieme.
Dice che lei e il Cholo venivano al Cerveza a bere delle birre (din!), che poi il Cholo l'accompagnava a casa (din!), e dopo due parole di saluto lei apriva lo sportello e lo lasciava lì come uno stoccafisso (din!), al che una sera il Cholo, che non aveva mica del tempo da perdere, quando Gabriela apre lo sportello per andarsene si china verso di lei, allunga un braccio verso la maniglia dello sportello, richiude lo sportello e dice a Gabriela: «No, adesso tu resti qui», e Gabriela di fronte a questa mossa del Cholo si sente tutto un rimescolio dentro, mi racconta, e allora lo bacia appassionatamente e poi dopo averlo baciato gli dice «Rimetti in moto, che conosco un posticino», e il fidanzamento (di sette giorni circa, o forse in questo caso, trattandosi di Gabriela, quattordici) è sancito.
Quando il Cholo decide che è ora di cambiare fidanzata perché così impone l’articolo 8 del suo Patto col Diavolo, scarica Gabriela con un Sms.
Gabriela incassa con stile, perché anche Gabriela, va detto, di Choli ne trova quanti ne vuole, e lei lo sa. Però, insomma, l’impressione è che il Cholo le sia rimasto nel cuore, mi fa notare il Sobillatore sgranocchiando due patatine. “Vedi almeno di comprarti un bel cane” aggiunge.

Ed eccomi lì. Io che bello come il Cholo non sono, patti col diavolo neanche uno e per il gatto bellissimo dovrà passare del tempo, però c'ho la brillantezza, la battuta pronta, scrivo bei sonetti e sono bravo al giuoco degli scacchi (non avevo più niente da mettere nell'elenco).
Eccomi lì, dicevo, seduto a parlare con Gabriela, sera dopo sera, gli amici che rispettosamente osservano da lontano.
Barbara, la cameriera, mi porta una birra e mi dice all'orecchio: «Roberto dice di dirti che i bookmaker ti danno a 1.25». Io sorrido e penso: “Sì, sembra proprio che il mio sogno stia per avverarsi”. In più, con la storia dello sportello, sembra che Gabriela mi stia dicendo: “Hai capito che cosa devi fare quando mi porterai a casa, questa sera?”. E la risposta è: “Contaci, baby”. Ma senza baby, penso. Poi mi dico: “Se hai dei dubbi, cerca di chiederti: ‘Che cosa farebbe il Cholo?’”. Ovviamente non lo so. Ma neanche il Cholo lo sa: lui, le cose, le fa e basta.
E così arriva il momento di portare a casa Gabriela.
La prima sera decido di non fare niente. Abbiamo visto il Cholo, mi ha appena raccontato la storia dello sportello. Sarebbe ridicolo, penso. Facciamo passare una settimana.
Mi fermano ancora i Carabinieri. Il Maresciallo nota con soddisfazione che ho sistemato il fanale. «E la ragazza?» mi chiede. «Ci sto lavorando» gli dico. E il Sobillatore: “Stiamo cercando di conquistarla telepaticamente, maresciallo”. “Zitto” penso. E il maresciallo: «Come hai detto?». E io: «Zitto!». E mi fa la multa per oltraggio, poi mi lascia andare.
La settimana dopo penso: “Va bene, stasera lo faccio: quando Gabriela starà per filarsela mi allungherò, richiuderò lo sportello e le dirò: ‘No, tu stai qui’. E lei mi bacerà. Potrei dire: ‘No, come disse anche il Cholo, mio illustre predecessore, tu stai qui’. E lei mi bacerà. Ma forse citare il Cholo un secondo prima di baciarla non è una gran mossa. Pensa, Joey, pensa! Cosa farebbe Magnus Carlsen? Mm, la lascerebbe andare senza fare niente, per poi precipitarsi a casa a giocare a scacchi online. Non va bene. Dovrei trovare una frase originale. Cosa direbbe il Cholo? Se dovesse dire una seconda frase a effetto, intendo. O userà sempre la stessa con tutte, chiudendo sempre lo sportello? E se è già chiuso? Lo aprirà, lo chiuderà e dirà: ‘Tu stai qui’. E la donna: ‘Sei scemo? Mica stavo andando via’. E se le riaccompagna in moto? Forse usa un lazo. Lo lancia, l'acchiappa, la trascina a sé e le dice: ‘Tu stai qui’. E lei: ‘L'avevo intuito’”.
Così, nell’indecisione, anche la seconda opportunità sfuma. Noto un lampo di delusione negli occhi di Gabriela mentre sguscia fuori dall’abitacolo. O è una mia costruzione mentale? Forse ha pensato: “Certo che il Cholo era tutta un'altra cosa. Per esempio agiva. Questo qui è capace che mi fa diventare vecchia, nell’attesa”. La terza sera però ho finalmente deciso: richiuderò lo sportello. Perché la vita è una sola, mi dico. Perché cogli l'attimo, mi dico. Tempus fugit, mi dico. Veni, vidi, vici, mi dico (ah no, quello magari dopo). E perché non voglio ritrovarmi tra vent'anni a scrivere un racconto su come non ho baciato la ragazza più bella di San Paco, quando sembrava oggettivamente avere un debole per me. Un racconto su come non ci ho nemmeno provato. Il rimpianto mi perseguiterà per sempre, è questo che fanno i rimpianti, è il loro lavoro. Morirò e griderò: “Gabrieeeelaaaa...”.
Così arrivo al Cerveza, arriva anche Gabriela, mi vede, viene da me, cominciamo a chiacchierare come sempre, ci sediamo, verso mezzanotte la sua amica Flavia si presenta e le dice «Gabri, vieni con noi? Ci spostiamo» e io vorrei dirle “Flavia, ancora con questa storia? Ma non lo capite che ci amiamo?! E poi io stasera richiuderò lo sportello! Mi sono allenato con mia nonna Rachele:
‘Joey, mi accompagni alla Coop?’.
‘Ma certo che ti accompagno, sventola!’ le ho detto schioccandole un bacio sulla guancia, e poi quando ha cercato di aprire lo sportello mi sono allungato, l’ho richiuso e le ho detto: ‘Tu resti qui…’, e la nonna mi ha dato uno schiaffo alla mano, ha riaperto lo sportello e mi ha detto ‘Devo prendere le carote!’, ed è scesa”.
Perciò, insomma, penso guardando Gabriela, “glielo dico io o glielo dici tu alla tua amica?”. E, Gabriela, glielo dice lei, e precisamente le dice: «Sì, vengo». Poi si alza, mi saluta con un bel sorriso e vola via. Io resto lì col Sobillatore che mi dice: “Ed ecco qua”. Penso: “Strano. Be’, sarà per venerdì prossimo”. Ma il venerdì successivo Gabriela non si fa vedere, né quello dopo.

Quando rivedo Gabriela, un giorno per caso, sono passati degli anni.
Si è trasferita da tempo, è tornata a trovare i suoi genitori, è ancora molto bella, mi sorride come sempre, ha due bei bambini.
“Chissà di che colore sono le pareti della cameretta…” penso.
Mentre lei comincia a parlarmi di tutta la sua vita, il Sobillatore mi fa: “Joey, ma l’abbiamo chiusa la porta di casa?”.
“Sai una cosa, Soby?” gli dico, “In effetti penso proprio di no”.
E, dopo aver salutato Gabriela, me ne vado, fischiettando.

11.5.25