Scema & più scemo (1453)

I

Giorni fa noto che Gâteau, la mia gatta nonché compagna di vita, ha un piccolo problema corporeo (non scendo nei dettagli per rispettare la sua privacy).
Chiamo il veterinario e spero mi dica: “Puoi descrivermi questo ‘piccolo problema?’”. Anzi, senza virgolette. E poi spero che dopo la mia descrizione dica: “Ok, ho capito. Non è niente, non ti preoccupare: passa da solo. Magari per velocizzare la cosa beviti un paio di birre, ok? Sono 50 euro. Che io devo a te, intendo. Ti faccio subito il bonifico”.
Le cose però vanno diversamente.
«Portala domani alle 16» mi dice fissando un cosiddetto appuntamento.
«Grazie,» gli dico, «possiamo fare 16 e 04?».

II

Già è un’impresa mettere una gatta fifona e paranoica nel trasportino, figuriamoci pensare di decidere anche quando. Come cercare di acchiappare le mosche volanti con le bacchette. Per dare un’idea della difficoltà dell’operazione, considerata la collaboratività della mia gatta, immaginiamo di doverci infilare mia nonna, nel trasportino. O nella gatta. Lì sarebbe solo un problema di dimensioni, comunque, perché la nonna farebbe di tutto pur di accontentare il suo adorato nipote, mentre un gatto, si sa, per accontentarti non fa niente.
Così provo a guardare dei tutorial su YouTube dal titolo Come mettere il gatto nel trasportino in dieci secondi!.
Sembra proprio fare al caso mio, penso. Peccato che i gatti di questi video abbiano la vitalità di un cotechino, o sono narcotizzati, o di peluche.
Altra particolarità: nel video, insieme al tizio che spiega come svolgere questa semplice operazione, ci sono altre quattro persone che lo aiutano: una che tiene il trasportino, una che tiene il gatto, una che tiene la gabbietta aperta e una che suona la cetra.
Alcuni prendono il gatto per la collottola e il gatto penzola placido come uno straccio bagnato e li guarda comprensivo come a dire: “È molto piacevole, continua”. Detto che non prenderei mai Gâteau a quel modo, se anche ci provassi, o se la prendessi in qualunque altro modo con l’intento di infilarla nel trasportino, diventerebbe prima un’anguilla, poi una scolopendra e poi, se insistessi, un trinciapollo.

III

«Salve. Sono ancora io. Mi scusi ma proprio non riesco a mettere la gatta nel trasportino».
«Succede, i gatti sono così. Avete provato a…».
Qui penso: con “avete” intenderà me e la mia consorte fantasma, me e la mia équipe di proprietari di gatte fifone o me e la gatta fifona stessa? Ma non sarebbe strano chiederle di aiutarmi a metterla nel trasportino? Però, chi lo sa, potrebbe funzionare: la gatta mi direbbe: “Certo, ti aiuto volentieri. Prendimi per la collottola. Così, bravo. Ora sollevami e infilami nel trasportino. Bravissimo. Ora chiudi la gabbietta prima che scappi. Ecco, ottimo. Chiudi i gancetti e… fatto! Visto? Non era poi così difficile. Eccoti una birretta premio”.
«Sono solo io, in realtà» dico al veterinario, sperando tra l’altro che si appunti la preziosa informazione per quando poi mi dice cose come “Ecco, questo collirio glielo devi mettere nove volte al giorno, sei gocce per volta e per occhio”, che non riesco a metterlo a me stesso, il collirio, perché mi dà fastidio e dopo la prima goccia mi mordo la mano e poi vado a nascondermi sotto il letto, figuriamoci se riesco a metterlo a un gatto.
«Comunque sì,» gli dico, «ho provato ma non ha funzionato. Consideri che sarebbe capace di lasciarsi morire di fame pur di non entrare…». Che, se non altro, a quel punto sarebbe facilissimo portarla, penso, non servirebbe nemmeno il trasportino, potrei mettermela direttamente intorno al collo a mo’ di sciarpa, anche se poi dubito che potrebbero risolvere il problema.
«Avete provato a usare lo spray ai feromoni?».
«Sì, abbiamo provato, siete gentile a chiederlo, messere, ma la gatta ha cominciato a rotolarsi intorno al trasportino. Va bene se la porto intorno al trasportino o deve essere proprio dentro?».
«Ok, non si preoccupi. Le do un altro appuntamento. Domani può andare?».
«Sì, certo, grazie. Facciamo alle 16 e 32 e 29 secondi, se possibile».

IV

Per fortuna abbiamo tutti un punto debole: per esempio i gatti, si sa, vanno matti per le scatole o, in generale, per tutte le cose nuove, specie se offrono cavità da esplorare, e per i divieti.
Mentre lotto per convincerla a entrare nel trasportino, provo per curiosità a prendere il contenitore dove tengo i pullover, visto che ogni volta che apro l’armadio la gatta ci si infila come un lampo, salta nel suddetto contenitore e comincia ad avvoltolarsi nei pullover, felice.
Dunque prendo il contenitore, che neanche a farlo apposta ha due belle prese d’aria o feritoie che dir si voglia, e lo metto di fianco al trasportino. Gâteau ci salta dentro all’istante, io chiudo con il coperchio e chiamo la clinica.
«Salve, sempre io. Ironia della sorte, appena ho preso una scatola la gatta ci si è infilata allegramente. Ma non posso portarla in una scatola, immagino» dico sperando che il veterinario risponda: “E perché no? Le scatole sono ottimi trasportini, sono comode, sono colorate e sono sicure, i gatti le adorano. Metta magari qualche pullover per ammorbidire il tutto, la aspettiamo! E non si dimentichi di darci l’Iban per i suoi 50 euro!”.
Il veterinario dice: «Direi di no».
«E neanche portarla in un armadio, immagino».
«No».
«Giusto. Bravissimo, era solo un test. E scommetto che non ha mai sentito il detto “Se il gatto non va alla montagna, la montagna va dal gatto, magari incentivata da un piccolo compenso extra”?» dico al veterinario, che però riattacca, probabilmente per errore.
Alla fine ho l’intuizione giusta: metto il trasportino nell’armadio, al posto del contenitore dei pullover, e dentro ci metto un pullover. Per sicurezza attacco anche un cartoncino con scritto: “Nuovo contenitore di pullover. Attenzione: pullover morbidissimi e delicatissimi, per favore non entrare”.
Quando apro l’anta dell’armadio, Gâteau arriva come un treno e senza battere ciglio si infila nel trasportino e si acciambella sul pullover. Non fa in tempo a pensare “Ah, ma che bel pull…”, che la gabbietta è chiusa.
Quando se ne accorge, mi guarda sconcertata come a dire: “Ma…”.
Io la guardo sconcertato come a dire: “Oh no, è successo di nuovo! Sei finita non si sa come in trappola. Ora devo portarti da quel signore con il camice, sai, quello che ti infila i termometri nel sedere: è l’unico in grado di liberarti”.

V

In questi nove anni ho scoperto di essere nato per vivere con una gatta, specialmente una con il carattere di Gâteau (se trascuriamo quando devo portarla dal veterinario), quindi forse ho scoperto di essere nato per vivere con Gâteau. L’unico problema è che un anno felino ne vale sette nostri, perciò insieme alla gioia c’è una lieve angoscia tipo Interstellar quando scendono sul pianeta delle maree. A parte questo, è bello.
Comunque sia, conscio della precipitazione delle prestazioni del mio intelletto a causa dell’ansia che in queste e tante altre situazioni mi soggioga, ogni volta che vado dal veterinario rammento a me stesso di fare il possibile per contenermi e non sembrare uno scemo, per esempio evitando di permettere alla suddetta ansia di prendere il sopravvento, portandomi a fare una quantità di affermazioni strambe con il fine di manipolare l’esaminatore (come ogni ipocondriaco patofobico, sono un abilissimo manipolatore di dottori, motori di ricerca e intelligenze artificiali).
Devo stare attento anche alla sindrome di Zelig – il film di Woody Allen –, che mi porta a trasformarmi a mia volta in un veterinario quando sono al cospetto di un veterinario, dicendo cose tipo “la glicogenesi epatica mi sembra regolare. Da quello che posso capire accarezzandola, intendo. Anche il catabolismo epistemologico mi sembra buono. Qui ho un campione delle sue feci, ne porto sempre uno con me. Senta, hanno un vago odore di cipresso. Qui invece ho un campione di quelle della gatta, se può servire”.
Durante la visita trattengo il fiato. Il veterinario esamina Gâteau. Gâteau soffia come un gatto a cui stanno infilando un termometro nel sedere. «Ora dovrebbe essere a posto» dice il veterinario dopo aver fatto le cose da veterinario.

VI

Terminata la visita con la promessa che tutto andrà bene, il mio corpo è pervaso da fiotti di catabolismi glicolitici, vorrei abbracciare tutti i veterinari, i pazienti e i padroni dei pazienti lì in clinica, invitarli a mangiare la pizza, ascoltare le loro storie, i loro sogni, le loro speranze. Ovviamente dopo un’ora tornerei in me e non mi fregherebbe più niente di nessuno. «Ma voi chi siete?» direi, come ridestandomi, tirando in faccia a quello davanti una fetta della mia capricciosa.
Quando il veterinario va a sedersi alla scrivania per redigere un dettagliato resoconto della visita, il mio cervello torna lentamente in funzione e mi fa: Chiedigli se la consistenza della salsa dei bocconcini può aver causato il problema… sai, quel lotto che abbiamo preso il mese scorso era più asciutto del solito e poi la bustina mi sembrava stropicciata e l’abbiamo posizionata sulla mensola un po’ storta, che forse può influire.
“Mi sembra una domanda stupida”, gli dico.
Sai quanto è difficile portarla qui, facciamo tutte le domande che ci vengono in mente!, ribatte lui.
“Tu non pensi che, se davvero la consistenza della salsa fosse il problema, il veterinario lo saprebbe?”, gli dico. “Cosa potrebbe mai rispondere? ‘Oh mio Dio, non ci avevo pensato, nessuno ci aveva mai pensato, lei è un genio! Lei ha appena rivoluzionato tutta la medicina veterinaria, dovrebbe scrivere un articolo scientifico, vincerebbe il Nobel!’?”.
Va bene, va bene, allora non chiedere, mi fa il cervello. Facciamo pure delle questioni di orgoglio, adesso, facciamo delle questioni di dignità. Improvvisamente ci interessa l’opinione degli altri. Ottimo. Siamo diventati nonna Rachele.
Mm, penso. Osservo il veterinario mentre scrive. Se avessi recuperato completamente la mia razionalità, non farei mai una domanda così stupida, ma non succederà prima di un paio d’ore, quindi la domanda esercita ancora su di me un certo fascino misterioso, e l’idea di ricevere il riconoscimento da parte della comunità scientifica, o di qualsiasi altra comunità, mi sembra allettante, perciò deglutisco e poi:
«Ehm… mi scusi… giusto una domanda…».
Il veterinario smette di scrivere e alza la testa. Mi guarda, in attesa.
«Pensavo…» proseguo io. Stai andando benissimo, mi dice il cervello. «Potrebbe essere stata la consistenza della salsa dei bocconcini a causare il problema? – digli del lotto asciutto, e della posizione sulla mensola! – L’ultimo lotto era più asciutto del solito, tra l’altro, e forse questo ha… come dire? Sì, insomma, forse ha – interferito! – interferito, sì, interferito con la mensola – eh? – che…».
Silenzio.
Il veterinario sorride, poi riprende a scrivere, scuote leggermente la testa e dice: «No».

30.9.25