Sono in coda alla cassa del supermercato. Davanti a me una donna che imbusta la spesa e, intanto, parla con la cassiera. Parla di un problema di salute. «Svenimenti» dice. Io penso: calo di pressione, problemi cardiaci, stress. «Dolori addominali» dice. Penso: appendicite, aneurisma aortico, emorragie interne.
«L'ho detto a mio marito» dice.
La cassiera ascolta con attenzione, si tiene una mano all'altezza del cuore come a dire: se me ne importasse qualcosa, lo sentirei qui.
Anch'io ascolto con attenzione. Problemi digestivi, penso. Tenia. Disturbi neurologici.
«Mio marito,» dice la donna, «mi ha detto: “Ma va' là, non è niente!”».
La cassiera scuote la testa, poi dice: «Uomini!». Le due donne ridono.
Penso: non uomini ma uomo: quell'uomo lì. Perché, avessi io una moglie, alla "i" di svenimento la prenderei, la imbacuccherei in una barella come quei tizi che si fanno male sulle montagne e deve recuperarli con l’elicottero il soccorso alpino, e la porterei al pronto soccorso (non alpino). Non avrei bisogno di aspettare che mi dicesse «Non mi sento bene»: alla prima mezza smorfia, o anche solo vedendo una sua espressione non del tutto soddisfatta, o anche solo perché un po’ troppo silenziosa, o non abbastanza allegra e ciarliera: barella e via.
Uomini, comunque, dice la cassiera.
Le due donne alzano tutte e quattro le sopracciglia come a dire: non c'è bisogno di aggiungere altro. Come a dire: detto uomini, detto tutto.
«Ehm ehm» dico.
«Uomini!» dice allora la cassiera guardandomi dritto negli occhi. «Puah!» dice sputando per terra.
Io annuisco. Raccolgo il grumo di saliva e glielo porgo.
«Le è caduto questo» le dico soffiando via la polvere dal grumo. «Inavvertitamente» aggiungo. Lei non lo vuole più. Sputa un secondo grumo nel primo grumo.
«Comunque non ci si può fidare…» dico allora per fare comunella, per sentirmi incluso. Degli uomini, intendo. Come delle donne, intendo. Dei bambini come degli anziani. Dei gatti, come dei cani. Dei mercati azionari. Delle banchine cedevoli. Delle offerte imperdibili. Delle terre e dei cieli.
La cassiera scuote la testa. Anche l’altra donna scuote la testa. La cassiera si avvicina al microfono per le comunicazioni ufficiali, preme il tasto per attivarlo e dice: «Uomini…».
Si ode un brusio sparso. Si odono dei buu.
«Posso dire una cosa anch’io al microfono?» chiedo alla cassiera. «A mia difesa» aggiungo.
«No» dice lei, e per sicurezza strappa il microfono dalla base e lo scaglia lontano, colpendo accidentalmente in testa un uomo, il quale poi si accascia dolorante, tamponandosi con un sacchetto di surgelati la ferita da cui sgorga un liquido denso e verde. La pelle è lacerata e un lembo gli penzola davanti al naso: sotto si intravedono occhio e squame di serpente.
Le due donne si danno il cinque. La cassiera prende un nuovo microfono da sotto la cassa e senza neanche bisogno di collegarlo alla corrente elettrica dice: «Uomo a terra! Uomo a terra!». Si sentono applausi ovunque. Dal reparto gastronomia al reparto lampadine. Al reparto vini si stappano molteplici spumanti. L’altoparlante dice: «Informiamo la gentile e dunque va da sé femminile clientela che per festeggiare il ferimento di un uomo abbiamo appena sfornato la pizza ai marshmallow».
Coriandoli, boccoli, fumogeni rosa e gridolini.
Intanto l’uomo ferito cerca di trascinarsi fuori dal supermercato strisciando di pancia sul pavimento.
«Come in Full Metal Jacket» dico alle due donne, osservando la scena.
«Come cosa?» rispondono loro.
«Come in Platoon» dico allargando le braccia.
«Mm?».
«Come in Salvate il soldato Ryan?».
«Ma di cosa va blaterando?» mi chiede la cassiera.
«Sono film di guerra,» dico. «Capolavori immortali del cinema».
«Detesto i film di guerra,» dice lei, «e poi non sono realistici, non ci sono mai soldati donna».
«Ma perché spesso sono ambientati in epoche in cui…».
«Non ci sono!» ripete lei mentre, smanettando con un gamepad, apre e chiude le porte automatiche sull’uomo strisciante, cercando di segarlo in due. Un altro uomo, subito bersagliato da barattoli di crema idratante, arriva in suo aiuto e lo trae in salvo.
«Io odio i film di idraulici,» dice la donna col malanno, «non sono realistici: non ci sono mai idraulici donna».
Io e la cassiera ridiamo, la donna col malanno resta seria.
«E quindi alla fine si è scoperto cos'era il tuo malanno?» le chiede allora la cassiera.
«Sì» dice la donna col malanno, e fa per dirglielo, ma poi mi guarda e dà un’occhiatina alla cassiera come a dire, sottovoce: uomini in ascolto…. Anche la cassiera mi guarda. Poi dice: «Anche gli uomini hanno orecchi, in questo supermercato».
«Ma gli uomini hanno orecchi» obietto.
Le due donne si scambiano un’occhiata e poi scuotono la testa. Quindi la donna col malanno si avvicina alla cassiera, la cassiera a lei, e le bisbiglia qualcosa. La soluzione dell'enigma, penso. Aguzzo l’udito. Sento il battito cardiaco della donna col malanno. Tutto a posto, penso. No patologie cardiache, penso. La donna si accorge che sto origliando. Colpa dello stetoscopio che le ho appoggiato sul mento.
«Lei è un dottore?» mi chiede.
«Sì, in filosofia» dico con orgoglio riponendo lo stetoscopio nel taschino del camice. «L’uomo è ciò che mangia» aggiungo sapientemente con il dito indice sollevato.
«E la donna?» mi chiede.
«Come, prego?» chiedo.
«Anche la donna è ciò che mangia?».
«Soprattutto la donna!» le dico. «Uomo stava per essere umano» spiego.
«E perché non ci sta donna, per essere umano?» chiede la donna col malanno.
«Perché uomo deriva da…».
«Senta,» interviene la cassiera, «non ci deve spiegare nulla, la stiamo prendendo in giro».
«Ah, capisco» dico.
«Io detesto anche la filosofia,» dice la donna col malanno, «non ci sono filosofe donne, non è realistica».
«Ci sono, invece» dico.
«Non cerchi di compiacerci» dice la cassiera.
«Ma ci sono».
«Ah sì? Per esempio?».
«Ipazia di Alessandria» dico.
«Lei è ridicolo» mi fa lei.
La donna col malanno dice alla cassiera: «Lascialo perdere… Be', comunque alla fine il malanno era quello che ti ho bisbigliato prima».
La cassiera annuisce, contrita. Poi, commossa, asciugandosi una lacrima dice: «Sono quarantasei euro».
La donna col malanno fa per pagare, la cassiera la ferma con un gesto: «No,» dice, «offre il dottore, qui». E mi indica.
Io porgo la carta e dico: «Ma certo. Con piacere».
La donna col malanno prende le buste, ringrazia la cassiera. Poi guarda me, scuote un’ultima volta la testa e se ne va. La cassiera la osserva andare via, sempre sorridendo. Quando si ricorda di me, torna seria di colpo. “Uomini…” sembra pensare.
Io l'avrei salvata, vorrei dirle. Alla “i” di svenimento. Io non minimizzo. Non dico frasi consolatorie. Non dico “andrà tutto bene” se non ho la certezza matematica che andrà tutto bene. A volte anche se ho la certezza matematica. Stiamo a vedere, dico. Non cantiamo vittoria, dico. Solo alla fine della nostra vita potremo dire se è andata bene o no. Solo in punto di morte si possono trarre le giuste conclusioni.
La cassiera mi guarda come a dire: Uo-mi-ni!
Mi giro per cercare un po' di solidarietà. Dietro di me ci sono solo donne, anche gli uomini. Scuotono tutte il capo. Guardo uno degli uomini e dico: «Ma lei è un uomo!». Tutte le donne presenti si voltano di scatto a guardarlo. Lui scuote la testa, piange: «È una calunnia» dice. «Tipico degli uomini» aggiunge.
Le donne tornano a guardare me con riprovazione.
«La lasci in pace, poverina!» grida qualcuna.
«Mascalzone!» grida un’altra.
La cassiera interviene: «Senta, ci spicciamo? Non è né il luogo né il momento» dice.
«Per cosa?» chiedo.
«Per lei! Per voi!».
«Ma io volevo solo comprare la schiuma da barba» dico.
La cassiera fa una risatina. Anche le donne alle mie spalle fanno una risatina.
«E ti pareva!» dice una.
«Uomini…» dice la cassiera scuotendo la testa di un uomo presa da una scatola sotto il banco. «Mai che comprino gli assorbenti, o i bigodini» dice muovendo le labbra della testa, a mo’ di ventriloqua. «Sempre e solo schiuma da barba» fa dire alla testa, che poi rimette con cura nella scatola. Prima di chiudere il coperchio, le accarezza i capelli.
«È la testa di mio marito» dice poi alle presenti, le quali emettono un “ohh…” di tenerezza.
«Io comunque ho la barba» dico. «E non ho… che so… le mestruazioni».
Qui cala il gelo assoluto. Alcune delle presenti si fanno il segno della croce. La cassiera si rabbuia profondamente.
«Ma che ho detto?» chiedo a un signore arrivato da poco.
«Io sono un distributore automatico di gomme da masticare» dice lui tirandomi addosso dei pacchetti di Vigorsol.
«E comunque ho comprato anche gli assorbenti. Per la mia ex, una volta» dico.
Mi arriva in testa uno shampoo. «Ahi!» dico.
«Ssst!» mi fanno.
La cassiera intanto ha cominciato a passare la mia spesa lanciando gli articoli come frisbee. Mi affretto al fondo della cassa, acchiappo tutto al volo tranne le uova che la cassiera mi tira addosso.
«Imbranati!» grida qualcuna.
«Imbranato» la correggo.
«Non peggiori le cose» dice la cassiera.
Imbusto. Pur essendo un uomo. Metto gli articoli pesanti sotto, quelli delicati sopra, incastro tutto come nel Tetris. Sto attento anche alle differenti temperature: ricreo, nella mia busta compostabile, il microclima di un orto sinergico indipendente, autosufficiente e resiliente, che un giorno potrà lasciare il nido, trovarsi un lavoro, farsi una famiglia di orti sinergici oppure no, fare la cantante folk.
«Sono quarantanove e cinquanta» dice la cassiera.
«Senta,» le dico, «le allungo un deca extra se mi dice cos'aveva la signora… non è per farmi gli affari suoi, eh, è solo per sapere il finale della storia».
Lei mi squadra in silenzio. Io le porgo la banconota.
Scuote la testa. Sospira. Prende la banconota e la mette nel taschino.
«La curiosità è donna» dice.
«Allora?».
«Tenia».
«Lo sapevo!».
Lei mi fa un sorriso forzato, poi mi dà lo scontrino e dice: «Bravo uomo. Ora però credo sia meglio che se ne vada» dice facendo un cenno all’assembramento di donne lì accanto, tutte impegnate a creare armi coi bastoni dei mochi, e ordigni esplosivi con bottiglie riempite di candeggina, bicarbonato e peperoncino.
«Sì, credo anch’io» dico e, mentre noto alcune donne caricare un fustino con spilli, forbicine e zafferano, scavalco il corpo dell’uomo a terra e me la svigno.