Così i vecchi maestri falconieri avevano escogitato una maniera di addomesticarli priva di qualunque crudeltà visibile, e la cui crudeltà celata ricadeva sull’istruttore non meno che sull’uccello. Tenevano sveglio il falco, e non pungolandolo o mediante qualche mezzo meccanico, ma camminando incessantemente con il loro allievo sul pugno, e rinunciando quindi essi stessi al sonno. Il falco veniva «costretto alla veglia», privato del sonno da un uomo altrettanto insonne, giorno e notte, per due, tre, e perfino nove notti consecutive. Solo agli istruttori più stupidi poteva capitare di arrivare a nove notti: il genio riusciva nell’impresa in due, e l’uomo di media capacità in tre. Per tutto il tempo l’istruttore trattava il suo prigioniero con una cortesia, una gentilezza e una premura illimitate. Il prigioniero non sapeva che a tenerlo sveglio era un deliberato atto di volontà, ma soltanto che era sveglio, col risultato che, troppo intontito dal sonno per badare a ciò che accadeva, finiva con l’abbassare la testa e le ali e addormentarsi sul pugno. Diceva a se stesso: «Sono così stanco che accetterò questo strano posatoio e accorderò la mia fiducia a questa strana creatura, qualunque cosa pur di riposare».
L’astore, T. H. White