Tutte le più gravi malattie erano state debellate. Così la morte era volontaria, e il governo, per incoraggiare quelli che volevano morire, aveva eretto a ogni incrocio delle strade principali un Salone del Suicidio Etico, col tetto viola, proprio accanto al tetto arancione di uno Howard Johnson. Nel salone c’erano delle hostess molto graziose, e delle comode poltrone, e un sottofondo musicale, e una scelta tra quattordici sistemi indolori per morire. I saloni del suicidio erano posti affollatissimi, perché tanta gente si sentiva sciocca e inutile, e perché morire era ritenuta una cosa patriottica e disinteressata. Gli aspiranti suicidi avevano anche diritto a un ultimo pasto gratis nell’attiguo ristorante. E così via. Trout aveva una fervida immaginazione. Uno dei suoi personaggi chiedeva a una hostess della morte se sarebbe andato in paradiso, e lei gli rispondeva che ci sarebbe andato di sicuro. Lui le chiedeva se avrebbe visto Dio, e lei diceva: «Certo, tesoro». E lui diceva: «Lo spero proprio. Voglio chiederGli una cosa che quaggiù non sono mai riuscito a scoprire». «Cosa?» diceva lei, assicurandolo con le cinghie della poltrona. «A che diavolo serve la gente?».
Perle ai porci, K. Vonnegut