356.

«Bruce» comincio. «Gliel’hai detto?».
Ci sediamo su una panchina. Il cielo è coperto, ma fa ancora caldo e tira vento; Bruce fuma un’altra sigaretta in silenzio.
«Devo parlarti», esclamo, afferrandogli le mani e stringendogliele. Le sue mani, però, restano molli e senza vita sul suo grembo.
«Perché a certi animali assegnano grandi gabbie e ad altri no?» chiede.
«Bruce. Ti prego». Comincio a piangere. La panchina, all’improvviso, è divenuta per me il centro dell’universo.
«Gli animali mi ricordano qualcosa che non so spiegare» aggiunge lui.
«Bruce». Mi sento soffocare.
Porto angosciata una mano sul suo volto, sfiorandogli una guancia con delicatezza e poi premendo forte.
Allora, mi prende la mano, la scosta, la tiene tra noi sulla panchina e in fretta si mette a raccontare: «Stammi a sentire, il mio nome è Yocnor, provengo dal pianeta Arachanoid che è situato in una galassia che la terra non ha ancora scoperto e probabilmente mai scoprirà. Sono sul tuo pianeta da quattrocentomila anni, secondo il vostro calcolo del tempo, e sono stato mandato qui per raccogliere dati che ci permetteranno di conquistare e distruggere tutte le altre galassie esistenti, compresa la vostra. Sarà un periodo terribile, perché la terra verrà distrutta progressivamente e gli uomini dovranno soffrire atrocemente per ragioni che la loro mente non sarà mai in grado di comprendere. Ma tu non sarai testimone diretta di questa fine perché si verificherà durante il ventiquattresimo secolo terrestre, quando tu sarai morta già da un bel pezzo. So che ti riuscirà difficile crederlo ma, per una volta, ti sto dicendo la verità. Non ne parleremo più». Mi bacia la mano e torna a guardare la zebra.

Acqua dal sole, B. Easton Ellis


29.6.18