È evidente che l’artista, poeta, pittore o compositore che sia, comunichi un messaggio, ma ciò basta agli autori che si occupano di estetica per dedurre che sia proprio questa la sua intenzione. Si sbagliano, a mio parere. Non hanno esaminato a sufficienza il processo creativo. Io non credo che l’artista, mettendosi al lavoro, abbia il fine che costoro gli attribuiscono. Se lo avesse, sarebbe un didatta o un propagandista, e quindi non un artista. Io so quel che accade a un autore di romanzi. Gli viene un’idea, anche se non sa da dove, e a questa egli dà l’altisonante nome di ispirazione. È una cosa sottile come il minuscolo corpo estraneo che riesce a introdursi nella conchiglia dell’ostrica creando quell’alterazione che finirà per dare origine a una perla. Per qualche ragione l’idea lo stuzzica, l’immaginazione si mette all’opera, dall’inconscio emergono pensieri e sentimenti, i personaggi si affollano nella mente e si prospettano eventi che permetteranno loro di esprimersi, perché il personaggio si esprime nell’azione, non nella descrizione, finché il romanziere non è in possesso di una grande massa informe di materiale. Questo materiale, talvolta ma non sempre, si combina in modo da indicargli un percorso da seguire nella giungla di quel confuso intreccio di sentimenti e idee, finché il groviglio diventa talmente ossessionante che, per liberare l’anima da un fardello intollerabile, il romanziere è costretto a metterlo interamente per iscritto. Fatto questo, egli riacquista la libertà. Quale messaggio il lettore ricavi da ciò non è affar suo.
Lo spirito errabondo, W. Somerset Maugham