Durante un incontro di tennis ho sentito i due telecronisti parlare della difficoltà di essere mamma e tennista professionista plurimilionaria, perché da un lato, se giochi, ti senti in colpa perché trascuri tuo figlio, dall’altro, se stai con tuo figlio, ti senti in colpa perché trascuri il tuo lavoro (soluzione: assumi tuo figlio come raccattapalle). In realtà era la telecronista donna che cercava di spiegare al telecronista uomo quanto sia difficile una vita del genere, e il telecronista uomo ha ascoltato (se credete alle favole) senza fiatare. Io però ho pensato a mia nonna Rachele. Mia nonna Rachele era una contadina, ha avuto dodici figli, era così povera che due ha dovuto venderli a una casa farmaceutica, non ha mai smesso di lavorare nei campi (partoriva in un secchio mentre raccoglieva i pomodori), non si è mai lamentata un secondo e, oltre a tutto questo, nel 1953, a cinquantatré anni suonati, è arrivata agli ottavi di Wimbledon, perdendo con Maureen Catherine Connolly Brinker, poi vincitrice del torneo, in tre set.