Oggi mia madre è passata a bere il caffè.
«Allora, mamma, traduci questa… yo trabajo en una oficina».
«Be’, io lavoro in una officina».
«Ah!» faccio io battendo la mano sul tavolo. «Tranello!».
«Ma…».
«Io lavoro in un ufficio» dico alzando l’indice.
«Ahh… sembrava proprio…».
«Sì, scusa, erano molto simili. Proviamo questa: yo trabajo para un negocio».
«Io lavoro per un…» comincia a dire, poi si ferma.
Le sorrido.
«Dai, non avere paura» la incoraggio. Poi la guardo cercando di trasmetterle un senso di protezione, focolare domestico, profumo di torta alle mele appena sfornata, cioccolata calda e vecchie puntate dei Jefferson.
«Io lavoro per un…».
«Negocio» dico allargando le braccia. «Negocio» ripeto mostrando i palmi. «Negocio» sussurro.
«Io lavoro per un… negozio?».
«Ah!» dico battendo la mano sul tavolo.
«Tranello» dice lei, sconsolata.
«Io lavoro per un affare».
«Difficile, lo spagnolo».
«Eh sì. Ultima?».
«Devo andare».
«Ultima, dai».
«Va bene. Basta tranelli, però».
«Ok».
«Facile, eh?».
«Facilissima, guarda: me duele una gamba».
Lei mi guarda, impassibile.
«Dai, più facile di così. Me duele una gamba» le dico toccandomi una gamba e facendo delle smorfie di acuta sofferenza.
«Joey, se gamba non vuol dire gamba mi arrabbio».
«Ma secondo te?».
«Mi fa male una gamba».
«Ah ah ah,» rido scuotendo la testa «non ci posso credere» le dico.
«Non vuol dire gamba».
«Ah ah, no… vuol dire gamberetto, mi dispiace. La traduzione corretta era: mi fa male un gamberetto».
«Vado» dice, alzandosi.
«Ah ah. Non te la prendere, dai!» le dico, ma lei se ne va.
Per adesso non ho trovato altri modi interessanti di utilizzare lo spagnolo.