A volte bevi un rosso pregiato invecchiato in una certa situazione con certe persone (tu che lo bevi, non il vino che invecchia. Ma farebbe ridere se il vino invecchiasse in salotto, su una poltrona, in compagnia di artisti e intellettuali, un po’ come quel mosto austriaco che ascolta Mozart, o le vigne toscane che ascoltano Vivaldi) e dici a te stesso di non aver mai bevuto niente di così delizioso. Lo ricompri, lo conservi inclinato al buio a temperatura e umidità costanti (rispettivamente dodici gradi e sessantaquattro per cento), in attesa di un’occasione speciale. Nel frattempo lo idealizzi, ne parli a tutti, lo ricordi, lo sogni. L'occasione speciale non arriva mai. Un giorno allora capisci che sarebbe tragico morire senza averlo più bevuto. Sarebbe tragico morire. Figuriamoci senza averlo più bevuto. Così lo apri, lo filtri, lo lasci respirare nove ore in un sanatorio sulle Alpi salisburghesi ascoltando nel frattempo la sinfonia n°41 (si sa mai), lo versi in un tulipano di alessandrite, chiudi gli occhi, lo assaggi e pensi: boh.