C’è un circuito per bambini per fare qualche giro su riproduzioni abbastanza credibili delle Formula 1, ci porti Alessia: ti fanno compilare un modulo, ti chiedono un documento, separano i bambini a scaglioni, li smistano in turni, fate una specie di briefing pre-pista, poi acchiappano tua figlia e la mettono sulla sua Ferrari da corsa. Le macchine vanno a zero-punto-due, zero-punto-tre chilometri orari. Alessia fa un paio di arrancanti giri del circuito ovale e sembra molto felice. Tua figlia è una ragazzina che sa lasciarsi sorprendere dalle cose più semplici – del resto ha sei anni. Insieme a lei stanno girando un paio di bambini più grandi, e sono incazzati come belve. Diciamo che in confronto a questa pista di Formula 1 anche un giretto sul trenino di Fiuggi regala i batticuori di uno sport estremo. Uno dei bambini grandi, tratto gentile, zazzera bionda, il muso inferocito di chi è pronto a spaccare il mondo a craniate, ferma la macchina e scende in mezzo alla pista, fra le proteste accorate degli addetti in tuta da meccanici. Se l’universo viaggiasse al rallentatore come queste riproduzioni di Formula 1 Alessia potrebbe quasi investirlo, invece no: là nel cerchio grigio-asfalto il ragazzino sembra dotato di un potere stile Marvel, la Supervelocità. In qualche modo – ma forse soltanto in virtù di arcani giochi prospettico-semantici – sferrarizzandosi si è comunque ferrarizzato. Troveresti la faccenda sublime, se non fosse una gran rottura di palle.
Tropicario italiano, F. Patriarca