Ieri la mia amica Paola mi chiama per chiedermi cosa sto leggendo.
Bad news wrapped in protein: inside the coronavirus genome, le dico. Eh?, mi fa lei. Sto pulendo la doccia, le dico. Ah, forte, mi fa lei, io sto leggendo un libro di un certo Giancarlo Marinelli. Come sarebbe di un certo Giancarlo Marinelli?, le dico, ha vinto il Campiello. Va bene, non ti scaldare, mi fa lei. Ah, Marinelli, penso, Marinelluccio mio. Ho incontrato Marinelli qualche anno fa a un premio letterario, sul palco, perché qualcuno gli aveva assegnato l’indefinibile compito di presentare un mio libro. Così, ieri, ho buttato il telefono nel secchio, mi sono tolto i guanti, sono andato al computer e ho cercato il video del suo intervento. Marinelli sale sul palco, ci stringiamo la mano, poi lui comincia e dice: «Avete presente quando entrate nei gate degli aeroporti, magari in quei viaggi intercontinentali, e si è appena diffusa la notizia di qualche epidemia, di qualche influenza di solito con un nome terribile, tipo Sars o peggio, e trovate i passeggeri con le mascherine e con i guanti, tutti che hanno paura di essere contagiati?». Ho pensato: mm.