Buongiorno dottore, la disturbo?
Giovanni. Sono le sette di domenica mattina.
Eh lo so, lo so, mi scusi tanto, ma lei mi aveva detto di chiamarla in caso di emergenza e
Come hai avuto questo numero?
Ho provato tutte le combinazioni finché non ho azzeccato quello giusto.
Giovanni…
Senta, dottore, è un’emergenza, non abbiamo tempo da perdere.
Emergenza come quando avevi un tumore all’ugola che poi era l’ugola? Emergenza come quando avevi una petecchia che poi era sugo rappreso? Emergenza come quando avevi
Questa è un’emergenza vera, dottore. Questa volta è vera, glielo giuro.
Facciamo così, Giov
Ci sto.
Non ho ancora detto così come.
Mi va bene qualunque cosa, se è lei a proporla, dottore.
Non credo.
Glielo giuro.
Ah sì? Facciamo una bella colonscopia.
Insieme?
No, solo tu.
Su lettini adiacenti, tenendoci per mano?
Ho detto solo tu.
Perché una colonscopia? Sospetta qualcosa? È per la voce? Guardi che è bassa perché ieri ho
Non sospetto niente, Giovanni. Non hai niente.
Questo non può saperlo.
Lo so invece. Non hai mai niente.
Prima o poi avrò qualcosa, no?
Non è detto.
Che mi dice di quella volta che mi ha prescritto quel medicinale?
I fermenti lattici?
Quelle fiale.
Fermenti lattici.
Erano pur sempre punture.
Andavano presi per bocca.
E non sa che male farsi l’iniezione sotto la lingua.
Senti, mi sembra che non sia un’emergenza neppure quella di oggi. Vieni domani allo studio e ti visito, ok?
Guardi che lo è.
Tu vuoi solo fregarmi. Ma se io adesso ti do retta, poi tu ti sentirai legittimato a chiamarmi ogni volta che ti pare, e presto mi chiamerai di notte per
Posso?
No. Assolutamente no.
Neanche per fare una chiacchierata tra due vecchi amici?
Non siamo amici, Giovanni. Né vecchi né giovani.
Così è cattivo, però.
Senti, vieni domani, va bene? Domani mi potrai parlare del tuo problema e
E lei sarà felicissimo di ascoltarmi e di rassicurarmi e di trovare insieme una soluzione, lo so.
No. Ma ti ascolterò e, se riscontrerò qualcosa che non funziona, me ne occuperò.
Ce ne occuperemo?
Ciao, Giovanni.
Come con il mio gatto.
Eh?
Il mio gatto. Di notte miagola perché vuole mangiare, ma mia madre mi dice non dargli da mangiare quando miagola di notte, perché altrimenti lui capisce che il metodo funziona e lo farà tutte le notti.
Ha ragione.
Lei con me fa così.
Io?
Sì. Non mi vuole dare… com’è che si chiama in psicologia?
Non so di cosa parli.
Il rinforzo positivo.
Ci sentiamo domani, ok?
Ma io do sempre da mangiare al mio gatto, quando miagola di notte.
Ci sentiamo domani.
E lo sa perché?
Gesù. No, non lo so.
Lo vuole sapere?
No!
Se glielo dico, lei mi
Dimmelo, dai, sbrigati, così poi torno a dormire.
Ma stava dormendo?
Ma certo che stavo dormendo.
Ma io mi sono svegliato alle cinque.
E allora?
Come e allora?
Cosa c’entra se tu ti sei svegliato alle cinque? Cosa c’entra, me lo spieghi?
Perché si arrabbia?
Non sono arrabbiato, ma cosa c’entra se… anzi, no, vedi?, ci stavo cascando, tu vuoi solo tenermi al telefono.
E lei non vuole tenermi al telefono quando io di notte la sveglio per farmi tenere al telefono, giusto?
Esatto.
Sono il suo gattino indisciplinato e lei mi sta educando a comportarmi come si deve, come un essere umano.
No, Giovanni, non ti voglio educare, ma stai certo che se mi chiami a casa la domenica mattina io
È per la domenica? Posso chiamarla domani sera, dovrebbe essere lunedì, secondo i miei calcoli.
No, non mi devi chiamare a casa.
Ma la signora Giuliani l’ha chiamata a casa.
È lei che ti ha dato il mio numero?
Non volontariamente.
Cosa significa?
Non cambiamo discorso. Alla signora Giuliani il numero di casa lo ha dato, a me no. Non mi sembra giusto.
La signora Giuliani ha dei motivi veri, tu no.
Cioè è gravemente malata? Così viola la privacy dei pazienti, sa? Tsk, tsk, dottore.
Non ho detto che è gravemente malata, ho detto che ha dei motivi seri.
Be’, ma lei è un dottore, di certo non la chiama per un lavandino otturato o uno pneumatico sgonfio.
Per me questa telefonata è durata anche troppo, ti saluto, e non rich
Dottore, mi scusi tanto, è che sto davvero male.
Vai al pronto soccorso, allora.
Ho chiamato lei perché non ho nessuno.
A parte tua madre.
E il mio gatto, Sponky.
Appunto.
O Sponky era mia madre? Li confondo sempre.
Giovanni, hai mai pensato di intraprendere un percorso di psicoterapia?
Ci sono andato.
Dallo psicoterapeuta?
Dallo psichiatria.
Ma ci stai andando tutt’ora?
No, tutt’ora no.
Forse dovresti riprendere.
No, non funzionava.
Ma avevi una terapia da seguire?
Non funzionava.
Ho capito. Senti, adess
Ha capito cosa?
Giovanni…
Come fa ad aver capito, scusi, che non ho detto niente? Anche il discorso su Sponky, l’abbiamo lasciato a metà. Lei pensa che io mi dimentichi se lasciamo un discorso a metà? Non me lo dimentico mai, dottore. Mai. Se non chiudiamo quel discorso, io ci penserò fino alla fine dei miei giorni. Adesso ne abbiamo aperto un terzo. Ora lei si starà chiedendo perché un terzo. Starà facendo il conto. Uno è Sponky il gatto, uno è lo psichiatra. Ma il terzo?
Ok, Giovanni, sentiamo: perché non ha funzionato?
Con Sponky?
Con lo psichiatra.
Non diceva niente.
In che senso?
Stiamo avendo una vera conversazione tra persone adulte che si rispettano?
Sì, Giovanni.
Lo dice solo per avere l’informazione che le interessa.
Non mi interessa.
Dottore…
Non mi interessa nessuna informazione da te, Giovanni.
Nemmeno sapere dov’è sua figlia Caterina?
È qui.
Forse cinque minuti fa quando l’ha vista passare in corridoio ma
È qui adesso, davanti a me.
Mm. Un punto per lei, dottore.
Adesso stai esagerando, però, eh.
Adesso?! Le giuro che pensavo di aver esagerato nel momento in cui ho strappato il suo numero di telefono dalle fredde dita ossute della signora Giuliani. Ma questo cambia tutto.
Forse dovresti cambiare medico.
Lo ha detto anche lo psichiatra.
Ecco. Forse dovresti cambiare anche il tuo medico di base.
Ma è lei il mio medico di base.
Appunto.
Io ci provo a cambiarla, dottore, ma lei è sempre così schivo, così scontroso. E si rifiuta di aprirsi, con me. E non lascia che nemmeno io mi apra. Ma in una relazione di coppia il dialogo è
Noi non abbiamo una relazione di coppia.
Lo psichiatra non diceva niente. Se ne stava lì, sul lettino, in silenzio. Non mi dava materiale per prendere neanche un appunto, capisce?
Sei tu che devi parlare, dallo psichiatra. Veramente sei anche quello che dovrebbe stare sul lettino. Ma di chi sei andato?
Io non gli ho detto una parola.
Eh, ho capito. Ci credo che non ha funzionato, allora. Invece devi andare da un bravo psichiatra e parlare, così alla fine lui potrà capire come aiutarti.
Aiutarmi?
Sì.
Lei pensa che io abbia bisogno di aiuto.
Un pochino sì. Tutti abbiamo bisogno di aiuto.
Anche lei?
Non quel tipo di aiuto, magari.
E di che tipo, allora?
Non so, tante cose.
Per esempio?
Non so.
Cerchi di saperlo, si sforzi.
Mia moglie mi
Elena.
Sì. Lei mi aiuta a… Come fai a sapere il nome di mia moglie? È inquietante.
In che cosa, di preciso, la aiuta? Non capisco.
In tutto. Nella vita.
Capisco, capisco. Molto interessante. Mi parli di questa Elena, dottore, dove l’ha conosciuta?
No, Giovanni, non ti parlo di niente. Senti, abbiamo fatto una bella chiacchierata, no?
Insomma, mi stavo appena scaldando.
Be’, mi dispiace se non è stata di tuo gradimento, ma adesso devo andare.
A letto.
Sì.
Ha delle commissioni da sbrigare, a letto?
Sì, dormire.
Ma non ha sentito il motivo per cui l’ho chiamata.
Me lo dirai domani.
Non dorme, il lunedì?
In ambulatorio.
Ma secondo il giuramento di Ippocrate lei
Ma per favore, Giovanni. Domani, ok?
Temo di essermi avvelenato, dottore. Di aver ingerito del veleno.
È per questo che mi hai chiamato?
Sì. E ora secondo il giuramento di Ippocrate lei è tenuto a chiedermi perché lo temo, e a raccogliere informazioni necessarie a comprendere l’entità del problema e a decidere se è il caso di intervenire e come.
Non è vero.
Sì, lei lo ha giurato al dio Apollo.
Ah ah, ma per favore.
Lei ha giurato, mi corregga se sbaglio, ma non sbaglio perché ce l’ho qui sotto al naso, mi faccia un attimo mettere gli occhiali… ecco, lei ha giurato di, cito, curare ogni paziente con scrupolo e impegno, senza discriminazione alcuna, promuovendo l'eliminazione di ogni forma di diseguaglianza nella tutela della salute.
Certo, ma durante gli orari di ambulatorio.
Aspetti che guardo se c’è, magari mi è sfuggito: durante gli orari di ambulatorio… durante gli orari di ambulatorio… durante gli orari di
Giovanni, dai.
Di curare ogni paziente.
E lo faccio.
Ma me non mi cura.
Lo faccio, invece, da molti anni. Per tua fortuna non hai mai avuto più di qualche gastroenterite.
Ne avute ottantasei.
Ah sì?
Solo questo mese.
Non credo.
Quella volta, quando sono venuto da lei per quel potente farmaco, avevo
I fermenti lattici.
Sì. Avevo mangiato l’insalata di riso della nonna. È molto vecchia e ci vede poco e non si lava mai le mani. Non mi sono mai lavata le mani in vita mia!, dice sempre con orgoglio mostrando le sue grosse mani senza pollici, né i piedi, dice mostrando i piedi senza alluci, e sono scampata – con scampata intende vissuta – fino a ora!, dice sbattendo la testa sul tavolo o direttamente nel piatto con la minestra di verdure, schizzando minestra ovunque, solo che ogni domenica dopo il pranzo dalla nonna, noi ci cachiamo tutti addosso, mi passi il termine, io, la mamma e Sponky.
Mm, potreste non andare a pranzo dalla nonna.
Ma cosa dice?
Non so. Se poi state male penso che
Ma la nonna morirebbe se non andassimo da lei, è una povera vecchiaccia sola, pustolosa e… pustosola, potremmo dire.
Certo.
Non si è mai sposata, non ha avuto figli, neanche un micetto, niente, a parte i suoi maiali, che però stanno sempre nel recinto e
Dico a pranzo, Giovanni. Potreste andare nel pomeriggio.
E lei verrà? Facciamo alle quattro?
No.
Comunque non possiamo non andare a mangiare da lei, ne morirebbe.
Potreste portare voi il cibo.
Portare noi il cibo?! Ah ah. Non conosce la nonna, ne morirebbe.
Allora potreste convincerla a lavars
Ne morirebbe.
Va bene. Ora devo proprio scappare.
Ma non abbiamo finito.
Se è per questo non abbiamo nemmeno cominciato.
Infatti!
E non cominceremo.
Sto molto, molto male.
Pronto soccorso.
Il giuramento dice inoltre che lei curerà ogni paziente senza discriminazione alcuna.
Ed è così.
Ma ora mi sta discriminando perché, invece di essere davanti a lei nel suo studio di lunedì, sono con lei al telefono di domenica. E questa è discriminazione, a casa mia.
Il giuramento di Ippocrate non mi impone di
Dovrebbe essere un piacere.
È un piacere aiutare i miei pazienti.
E io lo sono.
Ma tu hai bisogno di un altro tipo di medico, te l’ho detto.
L’andrologo?
No.
Il giuramento di Ippocrate le impone di curare tutti, senza discriminazione. Questo dice. Non dice che se un paziente ti chiama al telefono la domenica tu puoi dirgli vieni domani. Lui non sta male domani, lui sta male oggi. Domani magari sarà morto e avrà bisogno del medico legale, per ogni momento c’è un dottore specifico, e lei è il dottore specifico per questo momento qui.
Ci sono le strutture apposite, Giovanni. Viviamo in una società moderna, non ai tempi di Ippocrate.
Ippocrate, se gli avessi telefonato la domenica mattina, mi avrebbe ascoltato.
Non credo ci fosse il telefono, ai tempi di Ippocrate, e nemmeno la domenica.
Oh sì che c’era.
Non so.
Lo so io. Vede che lei pensa io sia un cretino?
Ma no.
Comunque non mi rispetta.
Ippocrate era del quarto secolo avanti Cristo, i giorni della settimana se non sbaglio sono del secondo o del primo secolo, Giovanni.
Wow.
Cosa?
Che cultura.
Ma no.
Mi inchino dinanzi a cotanta erudizione, doc.
Grazie.
Ah ah. Grazie. Mi fate proprio ridere.
Fate?
Sta di fatto che lei non mi rispetta. Ma ancora una volta il giuramento di Ippocrate dice
Basta con questo benedetto giuramento…
Dottore! Mio Dio. Il giuramento è sacro.
Che cos’hai, Giovanni?
In che senso?
Qual è il motivo della tua chiamata?
Ma… sono spiazzato. Non me l’aspettavo. Ma così lei mi dà un rinforzo pazzesco. Adesso so che se insisto e la porto allo sfinimento otterrò sempre quello che voglio. Ahi ahi, brutto errore. Adesso Sponky la sveglierà tutte le notti, dottore. Lei si sveglierà, si alzerà, gli darà le crocchette di pollo, non quelle di manzo perché non le digerisce, gli darà dell’acqua fresca, acqua Rocchetta, beve solo quella altrimenti non beve e si lascia morire di disidratazione e
Non credo.
Lo ha fatto più volte. Secondo me perché ha visto la pubblicità in tv e ha sentito che è l’acqua della salute, poi lei dottore tornerà a dormire ma Sponky la sveglierà di nuovo, lei si alzerà, gli darà altre crocchette e altra acqua, che tracimerà dalla ciotolina, poi tornerà a dormire ma Sponky la sveglierà di nuovo, non subito, prima aspetterà che lei si riaddormenti e solo allora la sveglierà, lei quindi si alzerà, gli darà altre crocchette che andranno a formare una piccola piramide di crocchette sopra le crocchette precedenti, e altra acqua, che tracimerà pure quella andando a rimpozzare la pozzetta di prima, e poi, tutto mezzo assonnato, non capendo, guarderà il gatto Sponky e gli dirà ma non mangi, Sponky? Non bevi? E il gatto Sponky dira no, dottore, non mangio, dottore, e non bevo, dottore. Non stai bene, Sponky?, chiederà allora lei, e il gatto Sponky: sto benissimo. Mai stato meglio. E allora, chiederà lei, perché mi svegli? E il gatto Sponky: per il piacere della sua compagnia, dottore, solo per l’imperdibile e irrinunciabile piacere della sua compagnia, e
Ti ho lasciato parlare, Giovanni, pensando che
Ah, c’è anche lei. Me n’ero dimenticato.
Pensando che a un certo punto avresti concluso, ma ora capisco che
Ora che mi conosce meglio.
Sì. Ora capisco che non finirai mai.
Di parlare?
Sì.
Sì.
La storia del gatto è una metafora? Sei tu il gatto?
Ah ah. Il gatto Sponky?
Sì.
No, dottore, il gatto Sponky è il gatto Sponky, io sono io. Il gatto Sponky è qui, come sua figlia è lì, sta facendo i compiti, proprio come sua figlia, e
Mia figlia non sta facendo i compiti.
E cosa sta facendo?
Questo non ti deve interessare.
Be’ ma forse dovrebbe fare i compiti, per rimediare il cinque in matematica.
Non ha cinque in matematica.
Aspetti, non così in fretta, se no non riesco a scrivere… non ha cinque in ma-te-ma-ti-ca. E quanto ha?
Non mi hai detto il motivo della chiamata.
L’emergenza?
Sì.
Gliel’ho detto, invece.
Ah già, l’avvelenamento.
Sì.
E con cosa ti saresti avvelenato?
Mamma mia che scetticismo. Con cosa ti saresti avvelenato. Lei è così arrogante. Mi fa venire voglia di avvelenarmi e poi di chiamarla solo per sentirle dire e con che cosa ti saresti avvelenato, sapendo che si sbaglia, che questa volta, per una volta, si sbaglia, dottore, perché io mi sono avvelenato veramente! Che soddisfazione sarebbe.
Con cosa?
Sugo alle melanzane.
Fatte in casa? Dalla nonna, magari.
Forse funzionerebbe di più se avvelenassi Caterina e poi la chiamassi per dirle Caterina è avvelenata e poi sentirle dire e con che cosa sarebbe avvelenata, Caterina, e poi, mentre Caterina sputa schiuma fucsia dalla bocca, dal naso, dalle orecchie e dal sedere, dirle, un sacco di cose, dottore, avevo la lista qui, nella borsa della signora Giuliani, ma l’ho persa. No, comunque, sugo industriale, non mangio niente cucinato da quella vecchia barbona.
Intossicato, dunque.
Il botulino non è il più potente veleno al mondo?
Che sintomi hai?
Per ora nulla.
Quando hai mangiato questo sugo?
Ho aperto il vasetto un minuto fa, la storia del gatto Sponky mi ha fatto venire fame.
Quindi all’inizio della telefonata non c’era nessuna emergenza.
C’era. Perché stavo per mangiare il sugo. Dietro c’è scritto di portarlo a ebollizione per abbassare la carica batterica, ma a me piace freddo, non ci posso fare niente.
Il vasetto era integro?
In effetti no, mi era caduto la settimana scorsa.
E si era danneggiato?
Danneggiato? Si era disintegrato, dottore. I frammenti di vetro erano indistinguibili dai frammenti di melanzana.
Non capisco.
Poi ho rimesso tutto insieme con la supercolla.
Penso che non avresti dovuto mangiarlo, allora.
Visto?
Ma non credo che questa storia sia vera, onestamente.
E se lo fosse?
Allora dovresti andare subito al pronto soccorso.
E se mi ricoverano?
Eh, niente. Ti cureranno.
E se non riusciranno a curarmi?
Allora morirai, Giovanni.
Mio Dio.
È la vita.
Morire per aver mangiato un vasetto di sugo sbriciolato?
Sì. Comunque vedrai che ti salveranno, non ho mai sentito di qualcuno che sia morto per un po’ di vetro... sbriciolato, poi.
Questo è vero. Ha sentito di quell’uomo che ha mangiato un aereo sbriciolato?
No.
Poi ha mangiato anche un’automobile, sempre sbriciolata.
Interessante.
Poi qualcuno gli ha detto: grazie tante, se la roba la sbricioli è chiaro che poi riesci a mangiarla. Mangia questo senza sbriciolarlo, campione. E gli ha passato un fermacarte di marmo a forma di molletta. Lui ha provato a mangiarlo ma non c’è riuscito.
Una storia appassionante, Giovanni.
Mi è solo venuto in mente. Era per corroborare la sua tesi, per darle ragione. Non le sono simpatico nemmeno quando le do ragione. Lei mi odia proprio.
Non ti odio affatto, è che non posso aiutarti.
E chi, allora?
Te l’ho detto, vai in ospedale.
Ma chi guarderà Sponky in mia assenza?
Ah non so.
Mia madre?
Sì, penso di sì.
Non vuole.
Allora non so, Giovanni.
Mia nonna, forse?
Forse.
Non vuole. E poi lo cucinerebbe. Non hai mai fatto la spesa in vita sua, sa? Mai comprato nemmeno una zolletta di zucchero!, dice mescolando la zuppa di farfalle.
Qualcuno troverai.
In così poco tempo? Mi restano pochi minuti.
Magari ti rimandano a casa. Tu intanto vai.
Lo terrebbe lei?
Sponky?
Sì.
No, Giovanni, mi spiace.
Se mi tiene Sponky mentre vado al pronto soccorso, io le giuro che non la chiamerò mai più. Cambierò anche dottore. E andrò dallo psichiatra e farò tutto quello che mi dice, nella speranza che non mi dica di chiamarla o di tenerla come dottore, in quel caso le mie promesse entrerebbero in conflitto e
Non credo ti dirà di chiamarmi.
Be’ questo lei non può saperlo, non è uno psichiatra. E poi dipende da quello che gli dirò io, e io gli dirò che se non la chiamo almeno una volta al giorno, prima o dopo, lo sento, farò qualche pazzia.
Non posso tenerti il gatto, Giovanni.
Sponky.
Sì. Non posso.
Ma perché?
Ci sono tanti motivi. Per esempio Caterina è allergica.
Questo è un problema che posso risolvere io in quattro e quattr’otto, basta un suo cenno.
No, Giovanni, il problema sei tu. Risolvi quello.
Me lo tiene solo qualche ora, mentre sono in ospedale, qualche giorno se mi ricoverano, e poi non sentirà mai più parlare di me, a patto che non apra i giornali dal ventinove marzo in poi, per qualche tempo.
No.
La prego. Glielo lascio fuori dal cancello, nel trasportino, non mi vedrà neanche.
No.
Be’ io gliel’ho lasciato.
Ora?
Sì.
Ma sei qui davanti a casa mia?
Sì.
Basta. Io chiamo la polizia.
Questo non piacerà a Sponky.
Non mi interessa.
Le interesserà.
La sto chiamando.
Ma se è al telefono con me.
Be’ ora riattacco e la chiamo.
Sta bluffando.
Non credo che tu sia davvero qui, comunque.
Ah no? Ora suono il campanello. Sentito?
Tu sei malato. Be’, ma questo lo sapevo già.
Lo sapeva già, sì.
L’ho capito dal primo giorno.
E da cosa l’ha capito? Sono curioso.
Eri vestito come una vecchietta.
Erano un regalo della nonna. Prima, a Natale, mi regalava sciarpe, guanti, maglioni. Poi quando mi vedeva, come prima cosa guardava se li stavo indossando. Perché non metti la sciarpa che ti ho regalato? L’ho fatta con le mie mani, e ti ricordo che non ho i pollici. Perché non metti i guanti, il maglione, e così alla fine li mettevo, poi ha smesso di regalarmi sciarpe e guanti e ha cominciato a regalarmi vestiti da vecchietta, secondo me i suoi vestiti, forse non riusciva più a lavorare a maglia e si vergognava a dirlo, così mi regalava i suoi vestiti dicendo che li aveva fatti con tanto amore, e quindi non potevo mica non metterli, ne sarebbe morta, così a furia di metterli mi sono detto comodi, però, e quando sono venuto nel suo studio non mi ricordavo neanche che fossero vestiti da vecchietta, ormai per me erano vestiti normali, capisce?
Perfettamente.
Bene. Sono contento che ci siamo chiariti. Ora sono molto stanco, penso che tornerò a casa.
Bravo Giovanni.
Scusi se l’ho disturbata.
Ok.
Forse faccio un pisolino qui.
Giovanni?
Sì?
Vai a casa tua a fare il pisolino, va bene?
Va bene, dottore.
Bravo.