Donna Matilde (1065).

Stamattina verso le undici dopo aver impastato la pizza per la mia amica Paola ho pensato di andare a bere un caffè al Cerveza Enojada. Cioè, l'ho anche fatto, ma prima di farlo l'ho pensato. Avevo una finestra di circa quaranta minuti prima di dover tornare e, secondo la ricetta che io stesso ho elaborato, dare alcune pieghe di rinforzo all'impasto. Così dopo aver dato le crocchette a Gâteau e scelto con cura una camicia, sono uscito. Avevo anche i pantaloni, chiaramente. Ma non li ho scelti con cura. Cioè sapevo già quali mettere. Comunque sono uscito e fuori c'era il sole e un cielo completamente terso, il che è importante perché in realtà volevo bere il caffè seduto al tavolino davanti al Cerveza, che è un tavolino al sole. Il Cerveza dista sei minuti a piedi, così mi sono incamminato e quando ormai ero giunto a destinazione, cioè in pratica dovevo solo svoltare l'angolo, fare ancora tre metri e sedermi al tavolino al sole del Cerveza che chissà perché è sempre libero, ho incontrato la signora Matilde, che non è una signora, avrà la mia età, ma non sapevo come chiamarla. Donna Matilde, diciamo. Donna Matilde lavora all'ufficio postale di San Paco Llorente e prima della pandemia ci andavo spesso per spedire delle cartoline di San Paco a conoscenti e no, in entrambi i casi per invitarli a visitare San Paco. Comunque non dilunghiamoci. E, quando andavo all'ufficio postale di San Paco, andavo anche sempre allo sportello di Donna Matilde, perché mi è simpatica e mi ha sempre trattato con estrema gentilezza. Così oggi quando l'ho incontrata ero contento, e anche lei. Siccome indossava una mascherina e degli occhiali da sole molto grandi e un cappello à la Rita Hayworth, inizialmente non l'avevo riconosciuta e quando stavo per giustificarmi lei ha detto che era perché non indossava l'uniforme delle poste, ma non era per quello, però non ho voluto contraddirla, cerco di non contraddire mai nessuno, è inutile. Quindi abbiamo chiacchierato amabilmente per un po'. Donna Matilde mi ha detto di provare i frullati di frutta e yogurt e io le ho detto che li avrei provati quel giorno stesso, che sarebbe oggi, ma poi non l'ho fatto, lo farò nei prossimi giorni, forse anche domani. Poi si è aggiunto un signore che non conoscevo, dico signore ma avrà avuto la mia età, cioè ventidue anni, o almeno è l'età che mi sento nello spirito. Tra l'altro, divago un'ultima volta e poi più, mentre parlavo con Donna Matilde e il suo amico (non so se sono amici) ho pensato che adesso che sono vecchio (per dire) non mi sento vecchio, mentre quando ero giovane non mi sentivo giovane, forse c'è stato un momento che mi sono sentito esattamente l'età che effettivamente avevo, diciamo a trentadue anni, ma non per tutto l'anno dei trentadue anni, magari solo un giorno, o un istante: ecco, potevo pensare, ora sì. Però se è successo non me ne sono accorto. Ma torniamo al caffè. Mentre parlavo con Donna Matilde e il suo amico (probabilmente erano amici, o forse era suo marito, il che non esclude che fossero anche amici, anzi di solito i mariti e le mogli finiscono per diventare amici, è un destino ineluttabile, o nemici, ovviamente) pensavo al tempo che mancava per dare le pieghe al mio impasto, alla finestrella temporale che si stringeva sempre di più, finestrella nella quale dovevo, vi ricordo, infilare un caffè al tavolino al sole del Cerveza, che era proprio lì, a pochi passi, girato l'angolo. Così quando ormai la finestrella non era più una finestrella ma una feritoia, ho guardato l'ora e, come se avessi un importante e impellente impegno (e ce l'avevo), ho detto a Donna Matilde «be' ora devo salutarti». Lei ha giustamente colto la necessità del mio congedo, dovuta quasi certamente a importanti impegni che com'è comprensibile attendevano una personalità del mio calibro. Così mi ha salutato e mi ha permesso di riprendere il mio cammino. Cosa che ho tosto fatto. Ho ripreso il mio cammino lasciandomi alle spalle Donna Matilde e il suo amico, o marito, o parente, ho svoltato l'angolo e mi sono seduto al tavolino al sole e poco dopo stavo bevendo il mio caffè cercando di risolvere un complicato problema, cioè questo (il nero muove e vince):


Mentre lo risolvevo, pensavo che, se Donna Matilde avesse svoltato anche lei l'angolo, mi avrebbe trovato lì seduto a bermi un caffè da solo, e probabilmente ci sarebbe rimasta male perché sarebbe proprio sembrato che io mi fossi liberato di lei per andarmi a bere un caffè da solo, cosa che in effetti avevo fatto, ma solo perché mi restava pochissimo tempo prima di dover tornare a dare le pieghe all'impasto. Sarebbe stato oltremodo imbarazzante e mi sarebbe spiaciuto, perché Donna Matilde mi è simpatica, ma lei avrebbe pensato che non solo non mi è simpatica, ma che sono pure un pezzo di merda. Fortunatamente non è successo e ho conservato la sua stima e la mia reputazione di gentiluomo d'altri tempi, nonostante la mia giovane età. Così sono tornato a casa e ho potuto rispettare il programma, ho fatto la pizza e quando si è raffreddata l'ho impacchettata e l'ho messa in frigo, poi nel pomeriggio sono andato a casa della mia amica Paola e gliel'ho consegnata dicendole: «Stasera la scaldi e te la mangi». Gliel'ho detto perché scaldandola il bordo torna croccante. Paola era seduta sui gradini di ingresso di casa sua, mi ha ascoltato coprendosi gli occhi per via del sole e annuendo ha preso il piatto, «ok» ha detto, poi si è alzata ed è rientrata in casa, l'ho sentita trafficare con cassetti, pellicola e posate, «Scaldala, prima!» le ho gridato dal vialetto, lei non mi ha risposto, poi è tornata fuori, in mano aveva un quarto di pizza, gliel'avevo fatta con le acciughe e le olive nere, si è seduta di nuovo sui gradini e l'ha mangiata fredda, senza più curarsi del mondo esterno. «Com'è?» le ho chiesto. «Molto buona,» ha detto lei masticando «bravo».

13.5.22