Ed ecco qua (1077)

Lei mi raccontò il suo problema: era fidanzata con un uomo che non amava. Una storia che conoscevo, la storia di queste donne che stavano con uomini che non amavano, praticamente in giro c’erano solo donne di questo tipo, per quanto ne sapevo, ma forse erano le uniche a lamentarsi (quelle che si lamentavano). Gli uomini invece non si lamentavano, il più delle volte perché non capivano che avrebbero avuto motivi per lamentarsi o perché, se lo capivano, erano uomini, cioè automi nevrotici programmati sin da piccoli a mascherare, a dissimulare i propri fallimenti, o, ancora, perché quasi subito si procuravano una donna che si facesse carico dei suddetti fallimenti e che si occupasse di lamentarsi e deprimersi al posto loro mentre loro se ne andavano in giro tutto il tempo bellamente spensierati, avendo come unico problema il problema di una donna inspiegabilmente depressa e lamentosa.
Le dissi che doveva lasciarlo, molto semplice. Ormai ero abbastanza sicuro di me nel dare consigli che avrebbero cambiato per sempre le vite degli altri. Ma se io ero abituato, loro no, e ogni volta era un trauma.
«Impossibile» mi disse lei.
«Ma no che è possibile» le dissi io.
«No, mi creda».
«Perché?».
«Non saprei che fare, dove andare».
«È ridicolo» dissi.
«Sarei sola» disse lei.
«E che cosa c’è di male?» chiesi, mentendo. Ero arrivato al punto di riuscire a mentire anche quando facevo domande.
«Non so stare da sola» disse lei.
«Imparerà,» dissi io «stare soli non è poi così terribile» aggiunsi, sperando che non se ne andasse.
La consolai. Le dissi che poteva trovare una persona più adatta a lei.
Il novanta per cento dei problemi che affliggono le vite delle persone sono problemi di cuore, dissi. Forse non il novanta ma il settantacinque sì. Gli altri hanno problemi che impediscono loro di vivere situazioni che gli procurerebbero problemi di cuore. Gli altri sono pazzi. Glielo dissi. Le dissi che dai problemi di cuore non c’è via di fuga, che l’amore è così importante perché il più grave problema dopo la morte è la solitudine, amore e solitudine e morte, questi i tre capisaldi della vita umana, le dissi mostrando tre dita, tutto il resto è distrazione, chiacchiericcio, un abbaglio.
Lei sembrò molto impressionata dalle mie parole, anche se io sapevo che non erano le mie parole ad averla impressionata ma la mia sincerità.
«Anche lei è solo?» mi chiese.
«Sì» dissi io.
«Ah, anche lei fidanzato» disse lei, denotando un qual certo acume che non mi lasciò del tutto indifferente.
«Lo ero,» le dissi mentendo «ora non più».
«Mi dispiace» disse lei, ferendomi. Benone!, avrebbe dovuto dire; allora che aspettiamo?!, avrebbe dovuto dire, ma voleva essere gentile e disse solo: mi dispiace. Spesso le persone fanno previsioni su quello che all’altro farà piacere sentirsi dire e glielo dicono anche se non lo pensano, le intenzioni sono buone, ma solo perché si sbaglia la stima, ci vogliono anni per sapere che cosa effettivamente una persona vorrebbe sentirsi dire, ma ormai le si è già detto tutto e non si può certo tornare indietro.
Mi chiese come mai ci eravamo lasciati.
«È stata lei a lasciarmi» mi affrettai a dire, cercando una previsione.
«E come mai?» mi chiese lei. Sembrava molto interessata alla faccenda. «Ma forse non sono affari miei» aggiunse poi.
In effetti non lo sono, pensai, ma come potremmo conoscerci se questo fosse il metro del nostro raccontarci i nostri singoli, privati fatti?
«Forse non sono amabile» le dissi infine, sapendo come questa frase risultasse il più delle volte amabile, in quanto umile, e che era più o meno tutto di me. Ancora questi vecchi trucchi da quattro soldi, pensai. Non c’è modo di abbandonarli, vero?, mi chiesi, poi ignorandomi.
Lei mi chiese perché, e che cosa intendessi, eccetera.
«Signorina,» le dissi «se parliamo dei miei problemi, se anche solo viene fuori che io ho dei problemi, proprio io che aiuto le persone a risolvere i loro problemi, non i miei, né loro i miei, né ciascuno i propri o quelli degli altri, come potrò aiutarla, dopo?».
«Lei ha dei problemi?» mi chiese, sorpresa.
«Certo che ho dei problemi!» dissi.
Lei mi guardò per un attimo e poi disse: «Be’, allora si sbaglia, come può pensare di aiutarmi se non ha dei problemi?» disse, il che mi portò a mettere in bocca una seconda gomma, che andò a unirsi alla prima. Questa donna è di un’intelligenza inconsueta, pensai. Questa donna mi somiglia.
Lei disse ancora: «Se io so che lei ha dei problemi, allora penserò che forse può davvero aiutarmi, perché può capirmi».
«Il medico non deve essere malato» dissi prontamente, pensando che aveva ragione, che aveva colto nel segno, che quella frase sulla reciproca comprensione tra individui afflitti da problemi avrei potuto dirla io. Ma, siccome l’aveva già detta lei, io ne avevo detta un’altra, avevo detto la frase che, immaginavo, una persona ragionevole avrebbe detto al mio posto, era un metodo che usavo molto spesso, anche se quella donna non sembrava una persona ragionevole; un tipo di persona, quella ragionevole, che disprezzavo sopra tutti gli altri.
In questo modo squalifichi te stesso e insulti lei che ti sta ascoltando, pensai.
Lei ci pensò su e poi disse: «Ma un medico malato, un medico con la tua stessa malattia, sarà inevitabilmente interessato a te, e tu vorrai affidarti a lui».
Avrei voluto alzarmi e abbracciarla.
«Un meccanico non deve avere un carburatore rotto» dissi invece, irremovibile.
Lei rise.
«Lei è simpatico» disse.
Ed ecco qua, pensai.

19.6.22