Clara (1082)

Sto scendendo in bici dalla strada dell’ospedale e vengo giù fortissimo, e in quel momento lì mi viene in mente una cosa su Clara, visto che come sempre sto pensando a Clara, ma una cosa molto semplice e però terribile, e cioè che sono innamorato di lei ma lei sta con un altro.
Ma le hai detto che sei innamorato di lei?, mi chiedo mentro vengo giù con la bici. Mi faccio sempre delle domande. No, mi rispondo, e intanto mi avvicino sempre di più al semaforo, con la strada che è deserta, e il semaforo che è verde.
Se glielo dicessi, penso, lei potrebbe rispondermi guarda, Eugenio, lascia perdere, non hai speranza, io amo Pietro. Che poi è il suo ragazzo, Pietro, ma farebbe ridere se fosse un altro. Cioè, ridere, farebbe ancora più male del male che fa, invece, perché ormai a Pietro mi sono un po’ abituato: Clara sta con Pietro da due anni e ormai non mi dà quasi più fastidio che la baci, che la tocchi, eccetera, insomma Pietro è uno di casa, diciamo, una specie di fratello di entrambi, magari solo il fratello più fortunato, il preferito, che è una cosa che uno alla fine impara a sopportare. Dunque, dicevo, sarebbe molto peggio se mi dicesse: guarda, Eugenio, lascia perdere, non hai speranza, io amo… e io a quel punto interverrei dicendo lo so! Pietro!, e lei farebbe una faccia strana come a dire eh? Ma che cavolo dici?, e direbbe invece: no no, io amo, che ne so, Esteban. Ecco, quello lì sarebbe un colpo mortale, credo.
Ma a parte tutto, anche sentirmi un semplice lascia perdere, non hai speranza, potrebbe distruggermi perché in un istante svuoterebbe di senso tutta la mia vita. E io a quel punto come potrei fare, senza speranza? Che a ben vedere non è affatto l’ultima a morire, mi dico mentre scendo con la bici; dopo la speranza vieni tu, la speranza è la penultima a morire, poi vieni tu, penso, così dovrebbero dire quelli che dicono queste cose, se fossero persone perbene.
Intanto il semaforo diventa giallo e io però come al solito sento che devo proprio segnarmi questa cosa della speranza e allora stacco una mano dal manubrio, sempre mentre vengo giù fortissimo dalla discesa, la bici oscilla nervosamente ma io mantengo in qualche modo l’equilibrio, prendo il taccuino dalla tasca posteriore dei pantaloni, stacco anche l’altra mano, la bici oscilla di nuovo, mi scoda tutta con il didietro, però mantengo sempre l’equilibrio, sfilo il pennino dal taccuino e comincio a scrivere almeno l’inizio della frase, confidando poi di recuperare il resto, intanto sfreccio e oltrepasso il semaforo senza neanche sapere di che colore sia ma quasi del tutto certo che non può essere verde – si è mai visto un semaforo che fa verde-giallo-verde? – e così come un razzo mi sparo dritto attraverso il conseguente immancabile incrocio, sulla bici senza mani perché impegnate a scrivere sul taccuino, e quando ho finito guardo finalmente la strada e allora la vedo: una macchina della polizia che procede lentamente verso di me facendo scricchiolare con le gomme i sassolini sull’asfalto bollente di un altro pomeriggio di agosto, e un braccio in divisa blu che sbuca dal finestrino e una mano attaccata al braccio che mi fa un segno: fermati.
Allora metto via il taccuino, rimetto subito le mani sul manubrio e mi fermo.
La mano mi fa un altro segno: vieni qua.
Così mi avvicino alla macchina della polizia e vedo i due poliziotti, dentro, che, poliziottescamente, mi guardano, seri.
Finché una testa si sporge.
Le sorrido.
È una testa con una faccia appiccicata sopra. Una faccia ricoperta di pelle bucherellata da una mitragliata di acne giovanile, il che mi fa venire voglia di dirgli: fratello, vieni qui, abbracciami forte, so cosa hai passato. Ma non si può, penso, ci sono delle gerarchie da rispettare. E La faccia ha una bocca che in quel momento dice: «Lo sai che c’è un codice della strada anche per le biciclette?».
E lei lo sa che ho diciassette anni, sono un ribelle e fanculo le regole?, penso.
«Sono mortificato» dico abbassando il capo in segno di profonda e umile costrizione.
Non dico mai quello che penso, anche se la gente intorno a me crede di sì, anzi mi dicono tutti che ho la lingua lunga, quando invece me la tengo quasi sempre tutta arrotolata dentro la gola come una di quelle manichette dei pompieri, con la differenza che le manichette spruzzano acqua per spegnere gli incendi, mentre la mia lingua spruzza benzina, perciò la tengo a bada.
«Sei passato con il rosso, là» dice il poliziotto indicando con un movimento della testa la discesa alle mie spalle. «Vuoi farti ammazzare?».
Mmm, farmi ammazzare?, penso. Io non so proprio cosa rispondergli, è una domanda difficile: sono innamorato non corrisposto voglio morire, penso. Quindi sì, farmi ammazzare. Però è anche vero che il pensiero mi fa ridere, e non credo di voler morire finché riesco a ridere, dunque forse dovrei dirgli di no, voglio vivere, agente. Vivere e lottare, perché sa come si dice, finché c’è vita c’è speranza, anche se nel mio caso, per tutto un discorso piuttosto lungo che adesso non sto qui a farle, è più corretto dire che finché c’è speranza c’è vita.
Farmi ammazzare? Per rispondere alla domanda dovrei parlargli di Clara.
Ah, la mia bellissima Clara… dovrebbe vederla, agente! Occhi da cerbiatta, capelli rossi, un culo piccolo e sodo e due tette grandi così, anche se a me non interessano queste cose, voglio dire, sa, l’aspetto fisico, esteriore, l’involucro, diciamo. Insomma è più una questione di anime gemelle fatte per stare insieme, sa, il mito platonico delle due metà che si cercano, ma forse voi poliziotti non fate filosofia. Certo, se una di queste anime gemelle ha anche un bel culo e due grosse tette, insomma, non penso che Platone avrebbe avuto niente da obiettare, no? Be’, il succo è che però purtroppo la mia anima gemella, la mia metà, Clara, sta con un altro, e io ne soffro, questo riuscirà a capirlo. Dopotutto si è mai sentito di tre metà? Non avrebbe senso. Hai mai pensato, potrebbe chiedermi qui l’agente, mi dico, che la metà di questa Clara potrebbe essere quell’altro con cui già sta? Agente, gli direi io, non sia faceto.
Sì, mi piacerebbe tanto condividere la mia storia e il mio dolore con questi due tutori dell’ordine. Salire in macchina con loro e farmi un giro mentre parlo di Clara mentre arrestano malviventi. Parlerei di Clara anche ai malviventi, seduti dietro con me, ammanettati e del tutto dimentichi dei loro problemi. E loro capirebbero, è gente passionale, in fondo, mi direbbero: devi tirarci una rivoltellata, a quell’altro. Una a lui e una a lei, direbbe il suo socio. E dopo averli ascoltati parlerei di Clara anche al loro avvocato, e poi al giudice, alla giuria, al pubblico ministero. Parlerei di Clara a tutti ma non posso parlarne a nessuno. Potrei parlarne alla mia migliore amica, ma è sempre lei, Clara, tanto varrebbe dirlo direttamente a Clara, che amo Clara, e lei mi direbbe lascia perdere, sei senza speranza, amo Pablo, e saremmo da capo.
«Hai mai scopato?» mi chiede a bruciapelo. (Il poliziotto, non Clara. Magari me lo chiedesse Clara! Hai mai scopato?, mi immagino che mi chieda mentre siamo a casa sua, nella sua camera, e lei va verso il letto togliendosi i vestiti, anche se forse potrebbe essere una domanda a trabocchetto, perché se dici sì lei può dire ah, pensavo di essere la tua metà, allora non ti voglio più! E se dici no lei potrebbe dire ah, ma io non ci scopo con un verginello inesperto, aspetta che telefono a Marcos).
«Ehi, giovane».
Riapro gli occhi: il poliziotto mi sta fissando con il tipico fare indagatore di chi passa la vita cercando di scoprire che cosa ha fatto la gente di male. Forse vuole farmi un test antidroga, visto quanto sono con la testa tra le nuvole, ma non troverebbe niente nelle mie vene, solo amore. Non sono drogato, signore, solo scemo.
«No,» gli dico «mai».
Lui mi sorride.
«Ma guarda che è bellissimo!» mi fa.
Io mi metto a ridere, lui anche.
«Non ne dubito» dico sospirando, rattristato, lasciando intuire tutto il mondo di sofferenza adolescenziale che mi opprime e che non vedo l’ora di esprimere nella maniera più dettagliata possibile a questi due solerti tutori dell'ordine. Così lui fiuta il pericolo e decide di svignarsela.
«Va bene, va bene... Senti, stai attento, ok? Ciao» taglia corto, e poi la macchina riprende a scricchiolare sull’asfalto e si muove alla ricerca del prossimo delitto. «Salve» dico io, sorridendo.
Li guardo allontanarsi, poi prendo il taccuino e scrivo:

Hai mai scopato?
No, signore.
Ma guarda che scopare è bellissimo!
Non ne dubito, signore. Stavo giusto andando a scopare per la prima volta proprio adesso, per questo ho bucato il semaforo.
Sul serio?
Sì, signore.
E chi stai per scoparti, se posso?
Sua madre, signore. È la mia metà platonica, guardi qui, i numeri di serie combaciano.
Ma è stupendo, magnifico. Quand’è così ti scortiamo noi.
(Accende la sirena e parte a passo di bici, e io dietro.)

24.6.22