La mano si concluse, furono incassate le puntate, e finalmente i giocatori ebbero il tempo di esaminarmi mentre Zarlingo mischiava le carte. Non che gli avessi fatto chissà quale impressione.
«Che fa questo ragazzo?» domandò Zarlingo.
«Scrive libri».
Zarlingo mi diede un'occhiata.
«Libri, eh? E che libri?».
«Romanzi».
«Di che genere?».
«Non rompere i coglioni e dai le carte» disse Antrilli.
«Fanculo, merdaiuolo» rincarò Zarlingo.
Tutta questa licenza mise a disagio mio padre, ai cui occhi io avevo ancora quattordici anni ed ero il ragazzino che si trascinava appresso nei suoi giri; avrebbe voluto farmi scudo contro la volgarità dei suoi maturi amici. Sussurrò: «Andiamo» e mi portò fuori, e io gli andai dietro verso i colori del tramonto.
«Che ci fai in giro da 'ste parti?» disse. «Non è posto per te».
«Dai papà. Ho cinquant'anni».
La confraternita dell'uva, J. Fante