L'essenziale (1378)

Quando comincio un libro mi do un numero di giorni per finirlo, dunque divido le pagine del libro per quel numero. All'università applicavo al materiale d'esame lo stesso metodo: Filosofia teoretica, mille e duecento pagine, trenta giorni di tempo, quaranta pagine al giorno. Bene. L'esame però è lontano, ne farò ottanta domani, vado a giocare a calcetto. L'indomani: l'esame è ancora lontano, ricalcoliamo un po': mille e duecento pagine, ventotto giorni di tempo, facciamo venticinque, dai, son quarantotto pagine al giorno, mm, così poche? Facciamo che lo preparo in venti giorni, sessanta al giorno, sì, facilissimo… Di ricalcolo in ricalcolo, arrivavo che mancavano tre giorni all'esame. Dunque, vediamo, milleduecento pagine diviso tre, sono quattrocento pagine al giorno, sì, posso farcela, proviamo. Mi mettevo alla scrivania e scoprivo solo allora che per studiare decentemente dieci pagine di filosofia teoretica ci voleva un'ora - «non scorre un cacchio 'sta roba!» -, calcoliamo: dovrei studiare quaranta ore al giorno, mm, sì, posso farcela, cioè, no, è impossibile, rimando l'esame, chiamo il mio amico Max: Max, oggi tennis? Alle 15? Perfetto. Questo stesso meccanismo mi ha accompagnato per tutta la vita, per ogni cosa: la ricerca continua di scorciatoie per fare meno, per finire prima, a costo di tagliare, rinunciare. Il tutto per arrivare ad alcuni momenti di perfetta libertà. Ci sono dei lati positivi, in una filosofia del genere: impari a fare a meno delle cose, a trovare e ad apprezzare l'essenziale. Devo andare in quel posto per prendere quella cosa. Mi serve davvero quella cosa o posso farne a meno? Risposta: posso farne a meno, sto a casa. Ci sono anche dei lati negativi. Per esempio, obiezione: quella cosa era la bombola di ossigeno per la nonna. Domanda: mi serve davvero la nonna?

10.1.25