Un segno di pace (1416)

Il giorno di Pasquetta sono andato a pranzo dai miei anziani genitori. Sul tavolo delle trattative c'era anche un'altra offerta, ovvero un pranzo con gli amici in un ristorante a soli cento chilometri dal mio divano; sul tavolo dei miei c'erano invece: ravioli, uova ripiene, arrosto, involtini di verdure ma soprattutto la cosa più bella del mondo: la certezza di potermela squagliare un istante dopo aver bevuto il caffè.
Arrivato a casa loro, noto subito tutte le inconfondibili gioiose manifestazioni della primavera: sole, fiori, api, l'anziano padre che, tallonato dai suoi due aiutanti, il gatto Bigio e la gatta Bigia, spinge la carriola in direzione dell’orto e l'anziana madre che, dall'interno della casa, lo chiama a gran voce per ricordargli che il Signore ha detto che c'è un tempo per seminare e un tempo per andare ad apparecchiare la tavola.
L'anziano padre, sentendosi richiamato all'ordine, fa il plateale gesto di mandarla a quel paese. Io rido, più per l'ingenuità dell'uomo che per il gesto di ribellione: essendo lui in cortile e lei in casa, si sente al sicuro e per questo fa lo spavaldo, ma dovrebbe ormai aver imparato che l'anziana madre lo spia costantemente da qualche finestra o feritoia, e infatti subito grida: «Muoviti!». L'anziano padre allora si rattrappisce, molla all'istante la carriola e, seguito dal sottoscritto e dai Bigini, si avvia umilmente verso la casa.

(Il gatto Bigio e la gatta Bigia, detti Bigini, controllano i documenti di tutti i visitatori).

Dopo questo siparietto coniugale, segno comunque di buona salute, io e l'anziano padre ci troviamo in soggiorno, pronti per una delle nostre conversazioni dove le parole, benché uguali, sembrano indicare oggetti differenti, ma a quel punto l'anziana madre lo chiama di nuovo: deve andare al piano di sotto e aiutarla a portare le pietanze in tavola. Lui si precipita e dopo non molto riemergono entrambi dalle cucine reggendo pirofile e pentoloni fumanti, con il gatto Bigio e la gatta Bigia che li seguono portando un vassoio di involtini l'uno, un piatto di uova ripiene l'altra.
Io intanto stappo uno Chablis, vino probabilmente sbagliato per ciò che mangeremo, ma la scelta è dipesa da una mia premura quando, giorni prima, ho chiesto all'anziano padre se avesse una preferenza per il vino nel santo giorno di Pasquetta e lui, che di solito praticamente per ogni cosa fa spallucce dicendo «per me uno vale l'altro» (immagino abbia detto così anche quando l'infermiera, alla mia nascita, mi ha indicato tra i vari neonati dicendogli «Quello là è il suo!»), ha risposto «Un bianco fermo».
Quando ci sediamo, l'anziano padre assaggia lo Chablis e, mostrandosi un po’ deluso, dice: «Non ha le bollicine come lo champagne», al che io, senza tradire emozione alcuna (sarebbe stato 1-0 per lui al gioco Di’ qualcosa che faccia innervosire l'altro o Di’ qualcosa che induca l’altro a dire un’ovvietà o Di’ qualcosa che induca l’altro a darti la colpa di ciò per cui ti stai lamentando), dico: «Il mio invece sì», al che lui sorride come a dire: "Scherzi sempre", al che io sorrido come a dire: "Non so mai se scherzi o se abbiamo improvvisamente perso un’intera area del tuo cervello”.
Mentre mangiamo, l’anziano padre (forse per trovare un terreno comune) mi chiede se il giorno prima ho visto il gran premio di Formula 1. Io gli dico di sì, e lui comincia a raccontarmelo tutto.
L'anziana madre allora gli mette una mano sul braccio, gli dà una scrollata e gli dice: «Oh! T'ha detto che l'ha visto!». L'anziano padre la ignora e continua imperterrito spiegandomi nel dettaglio cose che ricordo benissimo.
E così finiamo a parlare tutti e tre degli alettoni della McLaren. L'anziana madre mostra un inaspettato interesse per l'argomento e fa molte domande, anche su questioni tecniche regolamentari. Le dico tutto quello che so. Faccio il disegno del profilo dell'ala su un tovagliolo, le parlo del gran premio dell’Azerbaigian di un anno fa, quando la Ferrari di Leclerc non riusciva a superare la McLaren di Piastri nonostante i lunghi rettilinei, l’effetto scia, il DRS e un mondiale che manca da quasi vent’anni.
Lei, che non ha mai guardato non dico una gara, ma neanche un giro di una gara, sospira e dice: «Certo che non ci sono più i Senna e gli Schumacher», affermazione anomala che decido di non contestare, in quanto Pasquetta, ma anche perché, forse, vera. Mi rendo conto che l'anziana madre, sì, non ha mai visto una gara, ma ha forzatamente ascoltato la telecronaca di tutti i gran premi dal 1970 a oggi, e dunque ne sa più di Adrian Newey. Mio padre a quel punto dice che una volta un suo cugino è andato in Azerbaigian - «o era il Kazakistan?» - e all'aeroporto la polizia gli ha infilato un dito nel sedere. Sorseggio lo Chablis immaginando la scena.
Mia madre ci pensa su e poi dice che «Forse in Azerbaigian equivale alla nostra stretta di mano».
«Esatto,» dico io, «o come la ghirlanda di fiori quando arrivi alle Hawaii».
Mentre l'anziano padre ci riflette, aggiungo: «Dovrebbero farlo in chiesa quando ci si scambia un segno di pace».
«La ghirlanda di fiori?» mi chiede lui.
«Be’, anche. Entrambe le cose» dico. «Mentre ti pieghi affinché quello davanti possa metterti la ghirlanda, quello dietro…».
«Avranno pochissimi morti di tumore alla prostata» osserva lui, sempre preoccupato per il suo PSA ballerino.
L'anziana madre, intuendo che si sta per finire su un terreno alquanto minato e scivoloso (manca pochissimo all’annuale pellegrinaggio a Lourdes, dove gli anziani genitori andranno a chiedere, tra le altre cose, la miracolosa benché forse tardiva conversione del figlio), si alza all’improvviso e dice: «Apriamo l'uovo!».
Così dimentichiamo l’Azerbaigian e le sue buffe usanze (come tutte le usanze, del resto) e apriamo l'uovo (per esempio).
Contro ogni aspettativa di ogni persona ingenua, l'anziana madre non lo mangia, mentre l'anziano padre lo mangia tutto tranne un frammento, che per puro caso finisce in mio possesso. Quando chiedo all’anziana madre il perché della sua defezione, mi mostra due o tre puntini rossi sul braccio dicendo che sospetta di essere allergica al cioccolato. Da notare che l'anziana madre sospetta di essere allergica anche ai peperoni, al melone, all'uva sultanina e non mangia le mandorle perché appuntite, dunque nessuno si preoccupa.
«Però c'è la sorpresa!» dice, tutta contenta. Prende la sorpresa, la apre: due cioccolatini. A quel punto si arrende, mangia i cioccolatini affermando che i puntini rossi in fondo potrebbero essere punture di pulce.
Sentendo questa ipotesi, Bigio e Bigia per precauzione decidono di lasciare la stanza. L'anziana madre li osserva svignarsela, dubbiosa, poi guarda me e dice: «Secondo te dovrei mettere l'antipulci?».
Sorpreso, le dico: «Ma non glielo metti già tutti i mesi?».
E lei: «Non dico a loro. Dico a me».
Mentre le sorrido come un poliziotto aeroportuale azero, faccio un cenno all’anziano cameriere, che sta sparecchiando, affinché mi porti l’agognato caffè.

25.4.25