Il petomane (1431)

Anni fa vivevo in un appartamento con una ragazza, Samantha. L'appartamento stava sopra quello di Gervaso, un tizio con cui non andavamo oltre il “ciao”. A un certo punto, una sera, sentiamo provenire dall'appartamento di Gervaso l'inequivocabile rumore di una poderosa scoreggia. Io e Samantha ci guardiamo un attimo e poi inevitabilmente scoppiamo a ridere. Nei giorni successivi, stessa cosa: ogni tanto il silenzio viene squarciato da queste deflagrazioni, e io e Samantha sempre giù a ridere e a dire, sottovoce tra noi, «Ma Gervaso! Mangiati un po' di carbone vegetale! Mangia un po' meno fagioli!», e poi raccontiamo a tutti del nostro vicino petomane. Gervaso scoreggiava sempre: d'estate come d'inverno, feriali e festivi, notte e giorno. Passati i mesi, neanche ci facevamo più caso, Gervaso sparava una delle sue bombe e noi, senza alzare lo sguardo dal libro o da quello che stavamo facendo, dicevamo solo: «Salute». O anche: «Buongiorno». O anche: «Viene a piovere». Finché ci trasferiamo (non per Gervaso). Mentre stiamo caricando gli scatoloni in macchina, Gervaso passa di lì e decide di salutarci, così ci fermiamo a fare due chiacchiere per la prima volta. Ci racconta un po' di sé, è una persona garbata e noi ci aspettiamo che da un momento all'altro dica: "Scusate per le flatulenze, ma soffro di una grave forma di aerofagia scoppiettante", magari mettendosi poi una mano sulla pancia e tirando un'ultima fragorosa scoreggia di commiato. Invece Gervaso fa un'altra cosa. Mette una mano in tasca, sfila un gran fazzolettone, lo porta al naso e soffia con forza, producendo la ben nota spernacchiata. Quindi ripiega con cura il fazzoletto, lo rimette in tasca, ci guarda e dice: «Allergia».

20.6.25