A San Paco Llorente è arrivata la raccolta differenziata, quella vera.
So che altrove, in Italia, questo avviene da molti anni, e sembra che in Germania la facciano dalla Pace di Vestfalia, ma qui è una novità assoluta.
Così da questa settimana ho dei bidoncini della spazzatura tutti miei. Sono felice. Io li espongo e poi, quando vado a riprenderli, mi fanno festa con allegre nuvole di insetti.
Mi hanno detto che dentro ciascun bidoncino c'è un microchip. Ah, ho pensato, come dentro la mia gatta, come dentro mio cugino Oleandro, che dice che secondo lui «abbiamo tutti dentro il microchip».
«Per fare cosa?» gli ho chiesto io.
«Per controllarci, per sapere cosa facciamo, dove andiamo» mi ha risposto.
«Io non faccio niente,» gli ho detto, «non vado da nessuna parte».
Il cugino Oleandro scuoteva la testa. «Tu non capisci,» mi ha detto, «loro sanno cosa leggi, cosa scrivi».
Ho alzato le spalle. «Leggo Rosa Matteucci,» ho detto, «scrivo dei miei cugini matti». “E loro chi?” ho pensato poi. Ma adesso finalmente lo so: quelli della differenziata, gli operatori e gli amministratori ecologici.
Alcuni sanpacollorentesi hanno detto: ma non la facevamo già da anni?
«Ingenui» ha commentato il signor Ruggero, di professione fruttivendolo, esperto di mele e politica internazionale. «Fino alla settimana scorsa qui a San Paco si faceva la finta differenziata. Ti facevano buttare l'immondizia nei vari bidoni, ma poi mischiavano tutto». “Appena svoltavano l'angolo” ho pensato io. Quindi mi sono immaginato gli operatori ecologici che raccolgono carta, vetro, eccetera, ci mettono l’intera giornata, poi la sera arrivano in una località segreta dove c'è un grande bidone nero con la scritta rossa TUTTO, e ci buttano dentro l’immondizia e intanto ridono. Poi la bruciano e con delle pale eoliche alimentate a gasolio sospingono la conseguente nube tossica verso San Paco.
Ma questo è il passato, ora siamo moderni, ci hanno fatto persino installare sui telefonini l’applicazione ufficiale Ricicliamo!: tu inserisci il tipo di rifiuto e lei ti dice dove va buttato.
Per quanto riguarda i bidoni, ci sono stati consegnati a domicilio, sono venuti direttamente gli addetti alla differenziata con un furgoncino, ti suonavano il citofono, tu scendevi e loro ti tiravano addosso i bidoni con cattiveria.
Sono ventiquattro in tutto, ce n'è pure uno per le sopracciglia e uno per i bordi della pizza.
«Mi scusi,» ho chiesto all'incaricato, «ma secondo voi dove tengo tutti 'sti bidoni?». «Che ne so. Li metta sul balcone» ha risposto lui.
«Tutti e ventiquattro?» ho chiesto.
L'incaricato ha fatto spallucce.
«Lei dove li tiene?» ho chiesto.
«Noi incaricati alla differenziata non dobbiamo differenziare,» ha detto sputando una gomma per terra, «è uno dei privilegi del nostro lavoro».
Zia Mariuccia li tiene in camera da letto. «Ora dormo sul divano» mi ha detto mentre col monocolo separava le fibre del kiwi dalla polpa. «Le fibre vanno nella carta» mi ha spiegato. «La polpa nel bidone della polpa verde dolce».
«Pensavo nell'organico» ho detto io.
«No!» ha detto lei, «Ti fanno la multa!».
Ho chiesto per conferma al barbone Dorito, che di spazzatura se ne intende, infatti hanno consultato lui per fare l’applicazione.
«Nell'organico ci vanno i peli della barba,» mi ha spiegato tagliandosi la barba sopra il mio bidone, «mentre i capelli vanno nel bidone dei capelli e la polpa dell'albicocca va nel bidone della polpa dell'albicocca, a meno che non sia albicocca disidratata, in quel caso va nell’indifferenziato per via dell’anidride solforosa o, da settembre, nell’apposito bidone della solforosa. Prevediamo di arrivare a settantacinque bidoni entro un anno, ciascuno di un colore diverso».
“Prevediamo?” ho pensato. Poi ho detto: «Non sapevo esistessero settantacinque colori».
«Esistono eccome,» ha detto Dorito, «l’occhio umano può distinguerne fino a dieci milioni. Prevediamo infatti di arrivare a dieci milioni di bidoni entro il 2030».
Ci hanno consegnato anche un calendario plastificato.
«Da appendere sullo schermo del televisore,» mi ha detto l’incaricato, «proprio al centro».
Il calendario è abbastanza fitto: ci si sveglia alle 5 e si comincia a portare giù un bidone, poi alle 10 lo si ritira e se ne mette un altro che poi si ritira alle 4 per metterne uno che va ritirato alle 2. Più o meno così per tutta la settimana. Tra una consegna e l'altra, si differenzia.
Ho già adibito il soggiorno a stanza per la differenziazione, mentre i ventiquattro bidoni li ho messi anch'io in camera da letto, dove però continuo a dormire, visto che le esalazioni hanno felicemente risolto il mio problema di insonnia centrale.
Ho calcolato che lavorando sulla spazzatura tre ore al mattino e tre al pomeriggio riesco a fare tutto. Ho comprato anche un macchinario per separare gli imballaggi ibridi. La parte maggiore del tempo se ne va per il lavaggio, essenziale per raccogliere tutto il materiale organico e consegnare contenitori immacolati. Lavo anche gli incartamenti e li metto poi nell’asciugatrice. Curo i dettagli: le bottiglie di plastica vanno schiacciate per il lungo, gli scatoloni vanno smontati e ridotti a un foglio di mezzo millimetro a forma di anatroccolo, dalle bottiglie e dai flaconi bisogna levare le etichette e dalle etichette suggere gli inchiostri.
«Anche una briciola di pane conta!» mi ha detto zia Mariuccia immergendosi nella vasca da bagno appositamente riempita con Svelto, aceto e lattine di alluminio.
Tra l’altro gli addetti alla differenziata sono piuttosto aggressivi, molti cittadini sono stati insultati perché avevano esposto un bidoncino mezzo vuoto, per esempio il signor Ermes, insegnante di matematica in pensione.
«Cos’è questa miseria, vecchio? Tutta qui la spazzatura di questa settimana?» gli hanno gridato gli addetti rovesciandogli in testa il contenuto del bidone stesso.
«Non ne ho altra, ve lo giuro!» ha detto il poverino.
«La settimana prossima vogliamo due bidoni di organico, altrimenti passi un guaio!».
«Due?! Ma dove trovo tutta quella spazzatura? Vivo da solo e…».
«Non è affar nostro!» hanno detto loro spremendogli mezzo limone negli occhi, poi tornando sul furgoncino e schizzando via verso il prossimo malcapitato.
Naturalmente alcuni sanpacollorentesi hanno rigettato l’idea di collaborare e hanno cominciato a trovare modi alternativi per liberarsi dell’immondizia, per esempio lasciano i sacchetti dove capita, usano i cestini lungo i passeggi pubblici, appendono i barattoli sugli alberi, sversano l’olio di governo dei funghetti nei tombini, rovesciano le lettiere nei campi o bruciano tutto nei cortili.
La polizia ambientale, istituita all’uopo, ha un bel daffare a incarcerare tutti i trasgressori. Secondo gli psicologi del comune sono aumentati tantissimo gli accumulatori seriali e anche le persone scomparse, che però potrebbero soltanto essere sepolte nei rispettivi soggiorni, sotto le pile di pattume. La signora Pisano ha aperto il rubinetto in cucina ed è venuto giù solo ketchup. Nella fossa biologica della famiglia Piccozza è stata rinvenuta una bicicletta.
Personalmente, dopo un breve periodo in cui differenziare mi è sembrato complesso, ora sono abituato e mi sono completamente automatizzato. Ma non è stato così per tutti, appunto. Il cugino Oleandro, per esempio, non ce l’ha fatta. Non che prima ce la stesse facendo, in generale, nella vita.
«Cioè, dovrei preparare la spazzatura, pagare, e poi loro fanno i soldi?» ha detto pescando un barattolo di yogurt scaduto da un cassonetto e passandolo poi a Dorito, che lo ha infilato in una sacca di stoffa. «No, grazie. Ho scelto la libertà, caro mio,» ha detto soffiando via una polverina gialla da un pezzo di pizza al trancio.
Il cugino Oleandro ha scelto la libertà semplicemente non portando più niente dentro casa, nemmeno sé stesso. Non fa neanche più la spesa, si serve direttamente dai bidoni per strada.
«Non hai idea di quello che butta la gente,» ha detto farcendo una pantofola con dei grumi di maionese. «Guarda questi mignoli,» ha detto pescando dei mignoli da una tasca, «sono come nuovi!».
Non rientra neanche più per dormire, passa la notte sulle panchine del viale o in stazione. Sostiene di essere felice.
«Ora ho tutto il tempo libero del mondo,» ha detto, «e posso finalmente scrivere il mio grande memoir autobiografico». Mi ha passato il suo quaderno. «Tu che te ne intendi» ha detto. L’ho sfogliato, ho guardato il cugino Oleandro e gli ho detto: «Ma sono solo numeri…».
«Impiegheranno secoli a decifrarlo!» ha detto lui, tutto contento. «Mi sono anche tolto il microchip» mi ha detto indicandomi una crosta sul collo.
«Fa molto Esercito delle dodici scimmie» ho detto restituendogli il quaderno perché il telefono aveva cominciato a vibrarmi nella tasca. Ho guardato l’ora: le 16. «Scusa, cugino,» gli ho detto, «ma devo andare a lavare la plastica».
«Va’ pure,» ha detto lui, «io che non sono schiavo come te posso farmi una pennichella, invece» ha detto aprendo un tombino e calandosi poi nel sottosuolo.
Un istante più tardi dal buco ha fatto capolino un topo, che con la zampetta ha afferrato il coperchio del tombino e, prima di richiuderlo, mi ha guardato e ha detto: «Non ci arrenderemo».