I
Uno dice: le persone.
Presto il tosaerba al mio amico Silvestro. Quando glielo porto, gli dico: «Silvestro, per favore, non romperlo: è nuovo, è costoso, ci tengo tantissimo e bisogna saperlo maneggiare, io ho fatto un corso propedeutico di tre anni, per dire».
Silvestro mi fa: «Tranquillo».
Io penso: mm.
Silvestro non ha una buona reputazione, perciò lo avverto: «Devo avvisarti che, nel malaugurato caso in cui il tosaerba dovesse riportare dei danni, mi toccherà, a malincuore, chiederti il costo della riparazione».
Un mero bluff, giusto un tentativo di indurre Silvestro a stare attento. Ma cosa potrebbe mai rispondere? “Grazie, hai fatto bene a dirlo, perché in questo modo hai stimolato una riflessione supplementare” – supplementare a nessuna riflessione – “che mi ha portato all’onesta conclusione di non essere pronto a custodire il tuo tosaerba”?
Nella mia testa le persone sono tutte razionali e responsabili e dicono cose belle e giuste a me favorevoli. Nella realtà, che è dove si svolge l'azione, Silvestro dice: «Ok».
Così gli presto il tosaerba.
II
La settimana dopo, quando vado a riprendermelo, Silvestro me lo riconsegna e il manubrio del tosaerba è rotto.
Faccio presente a Silvestro che qualcosa non torna.
«Sembra che qui ci sia una crepa» dico indicando una crepa.
«Dove?» mi fa lui
«Proprio qui, sul mio tosaerba» gli dico.
Silvestro si china ed esamina la crepa come se la vedesse per la prima volta. Non commenta. Ispeziono con maggiore accuratezza: il rivestimento del manubrio è scollato e sembra esserci del nastro adesivo. Riemergo dall’ispezione e, mentre mi sfilo i guanti in lattice, dico:
«Ci hai messo dello scotch».
«Sì» ammette Silvestro, anche perché non potrebbe fare altrimenti. Avrebbe potuto anche dire “no” o “non mi ricordo” o “abbecedario”.
Mantengo la calma. La Calma è lì che indica l’orologio al polso e mi fa: “Devo proprio scappare”, ma io metto su il tè e le dico: “Resta un altro po’, per favore”. La Calma dice: “Va bene”, e così torno da Silvestro. Da dentro a fuori, da fuori a dentro. Un essere umano provetto sa destreggiarsi tra l’uno e l’altro versante mantenendo un lodevole equilibrio.
III
«E come si è formata questa crepa, se posso?» chiedo a Silvestro servendo il tè nelle tazzine giocattolo dei suoi figli, in mezzo al prato ben tosato. Silvestro prende la tazzina. Sediamo sulle minuscole sedie del minuscolo tavolino in plastica verde.
«Credo sia successo quando lo ha usato Sean» dice mescolando il tè con un rametto.
«E, di grazia, com’è che hai fatto usare il tosaerba a Sean?» gli chiedo. Sean ha otto anni. Sto per farlo notare a Silvestro, ma concludo che dovrebbe ricordarlo.
Silvestro dice: «No, ma era spento, era per farlo giocare un po’. Infatti dopo non gliel'ho fatto usare più, “guai se ti avvicini” gli ho detto» dice, e ride.
“Ah, questi bambini…” penso sollevando il coperchio della custodia del mio gatto a nove code. La Calma si avvicina e lo richiude. “No” dice. Tra l’altro non so perché Silvestro abbia precisato che il tosaerba fosse spento: che il tosaerba potesse risucchiare Sean trasformandolo in un cumulo di pappardelle al ragù occupa, nella lista delle mie preoccupazioni, la posizione numero 9.530, appena prima di “Come si chiama il primo ministro di Haiti?”. Decido che questa osservazione potrebbe nuocere alla mia indagine.
Sorrido, allora. Prendo una zolletta di zucchero e faccio per metterla nella tazzina di Silvestro.
«Altro zucchero?».
Silvestro fa segno di no col pesante capo.
«E, così per curiosità,» dico buttandomi la zolletta alle spalle, «come mai non gli hai detto di non usarlo prima che lo usasse?».
Silvestro fa spallucce, come sua abitudine.
«Era solo per dirti che non l'ho rotto io. Io neanche c'ero» dice, pensando di migliorare la sua posizione.
«Capisco» dico. «Bene. Credo di aver raccolto tutte le informazioni. Immagino tu sia d'accordo con me nell’affermare che, da un punto di vista legale, rispondi per le azioni degli esseri umani che hai messo al mondo, almeno finché non sanno guidare un trattore».
Silvestro allarga le braccia. Sembra voler dire: “E cosa vuoi che ti dica?”. Dall’apertura alare cerco di capire se c’è spazio anche per una virgola e un “coglione”. Tra l'altro voglio che lo ripaghi solo per un fatto di giustizia, cosa me ne frega di un tosaerba?, penso, non ho neanche il prato.
IV
Naturalmente, tornato a casa, mi tormenta l’idea di essere stato ingiusto o inutilmente giusto. La sera, a cena al Gou Sheng, ne parlo con gli amici più fidati.
Paola dice: «Ma sì, quante storie… non fare lo stronzo».
«Se fosse il tuo tosaerba?» le chiedo giusto per scrupolo.
«Gli mangerei il fegato» dice lei infilandosi in bocca mezzo involtino.
Carla dice: «Io avrei spezzato un dito al bambino».
Le dico: «Tu spezzeresti un dito al bambino a prescindere dal manubrio rotto».
Carla alza un sopracciglio.
Giorgio dice: «Anche se hai ragione su tutta la linea, sarebbe cortese da parte tua lasciar correre. E prima che tu me lo chieda: se fosse il mio tosaerba direi uguale».
Roberto dice: «Scemo tu a prestarglielo: una volta sono andato tre giorni al mare con Silvestro e, invece che in una valigia, aveva messo i vestiti in un sacco della spazzatura».
Chiedo anche un parere a Zhōng Qīn, la cameriera.
«In Cina cosa gli fareste?».
Zhōng Qīn mi guarda e dice: «Io sono di Alessandria» .
V
Alla fine decido di ascoltare la corrente perdonista, dunque scrivo a Silvestro: “Senti, non preoccuparti per il tosaerba, mi accollerò io la riparazione”.
Appena invio il messaggio mi sento meglio. Molto meglio. Mi sento pervadere da un tepore benefico, sento di aver fatto la cosa giusta, sento che è così che dovrebbe essere il mondo; è come se, con il mio gesto, fossi entrato in connessione con una verità più alta, attuando una sorta di panteismo etico. Che bello, penso.
A quel punto il caso può dirsi risolto, Silvestro deve solo scrivere una parola e siamo tutti felici. La parola è semplice, è quella che gli hanno insegnato a dire in certe precise situazioni la mamma, il papà, i nonni e le nonne, più tutta un'altra quantità di gente, dalle maestre ai vigili urbani, dagli allenatori ai Teletubbies. La parola è: “Grazie”.
Sia chiaro: non lo faccio per il “grazie”. Cosa potrò mai farmene di un “grazie”? Mi serve ancora meno di un tosaerba. Ma il “grazie” è comunque un piccolo sforzo di gentilezza che l'altra persona fa per riconoscere la tua. Come a dire: “Tu sei gentile, l'ho capito; la tua è gentilezza, lo so”. Come a dire: “Anch'io sono gentile, voglio che tu lo capisca; anche la mia è gentilezza, lo sai”. Come a dire: “Siamo due persone gentili e questo ci rende fratelli, ci rende sorelle, ci rende nonni e nonne. Su questo pianeta selvaggio ci siamo noi e poi ci sono tutti gli altri, ci sono i serpenti, ci sono i dirupi, ci sono i fortunali e i meteoriti, i farabutti e i maleducati. Ma, almeno, non siamo soli. Non sei solo, Joey. Non sono solo, Silvestro”.
Ecco cosa mi aspetto mentre vedo, sotto il mio messaggio, che Silvestro sta scrivendo... Cosa starà scrivendo?, mi chiedo. Ma già lo so. Sta scrivendo: “Grazie”. O “Grazie mille”. O “Grazie mille, amico mio”. O “Grazie mille, amico mio, sei una bella persona e ti chiedo ancora scusa per aver rotto il tuo magnifico tosaerba. E ti voglio bene. Tutti ti vogliono bene. Sei la persona migliore del mondo”.
Sorrido. Ti voglio bene anch’io, amico, penso mentre aspetto di veder comparire da un momento all’altro l’agognata parola risolutrice.
Ma il cugino Silvestro scrive solo: “Ok”.
Ok?, penso. Ok come: “Non mi importa”. Ok come: “Fa' come ti pare”. Ok come: “Ma non hai niente di meglio a cui pensare?!”.
E la risposta è no. In questo momento il modo migliore di impiegare i miei pensieri è come risolvere in modo appagante la faccenda del tosaerba. Faccenda controversa. Faccenda poco chiara. Faccenda che non è andata come si sperava che andasse. Come tosare un prato e vedere che c’è ancora un filo d’erba non perfettamente a pari, o addirittura un buco, un’alopecia erbosa e, a un più attento esame, una crepa nel terreno, e ora infatti per colpa di Silvestro c’è una crepa nella mia memoria, una crepa che, se non faccio qualcosa per sistemarla, resterà lì per sempre, forse tenderà ad allargarsi, forse è la crepa da cui, mi dirà un giorno uno psichiatra prescrivendomi delle pastiglie colorate, è cominciato tutto. Lei era un uomo felice, equilibrato, signor Baruffa, la mattina balzava fuori dal letto con la voglia di vivere di un giovane cerbiatto uzbeko, usciva di casa, montava sul suo bel tosaerba e andava al Cerveza a fare colazione, pronto a cominciare un’altra magnifica giornata, ma poi, vede, proprio quella faccenduola del tosaerba, ecco, lì, dentro di lei, si è formata una piccola crepa, che poi però si è allargata, e allargata, e allargata ancora, e adesso eccoci qua, lei vestito da pappagallo e io che le devo prescrivere otto pilloline al giorno.
«Otto pilloline al giorno!» ripeto con voce stridula al dottore immaginario, alzandomi poi di scatto dal divano e infilando la porta per volare dritto dall’amico Silvestro.
VI
Arrivato a casa di Silvestro, suono il campanello una dozzina di volte, serenamente. Silvestro viene ad aprire.
«Ehi, ciao» mi fa.
«Ciao, amico» gli faccio. «Senti, mi presti Sean per un paio d'ore? Volevo dire: mi piacerebbe tanto portare Sean a prendere un gelato. Solo io e Sean. Manubrio nel manubrio. Volevo dire: mano nella mano».
Silvestro mi guarda e mi fa: «Ok».
Mm, penso, se non altro è un tipo lineare, chissà che bello vivere nella costante indifferenza per le cose.
«Sean!» urla Silvestro rivolto all’interno dell’abitazione, «vuoi andare con Joey a prendere un gelato?».
«Se non è troppo impegnato a rompere le altrui proprietà» dico.
Silvestro mi squadra senza rispondere. Intanto Sean accorre, tutto felice, felice come uno a cui non hanno ancora rotto un tosaerba, penso, felice come qualcuno che non è stato ancora non ringraziato.
«Come lo vuoi il gelato?» gli chiedo.
«Fragola» dice Sean.
«Ottima scelta!» dico. Poi, rivolto al padre: «Il piccino ha i soldini per pagarsi il cono?».
Siccome il fantasma di un tosaerba aleggia su di noi, Silvestro non ribatte e dà al figlio una banconota.
«Magnifico, andiamo!» dico.
Poco più tardi, mentre siamo seduti su una panchina del viale, Sean con un gelato, io con una birra, lo guardo e gli dico: «Buono?».
Sean annuisce, soddisfatto.
«Bene, ancora nove di queste,» gli dico mostrando la birra, «e dovremmo essere pari».
Sean fa spallucce. Che carino, penso. Proprio come suo padre, penso.
Gli sorrido e gli dico: «Ti va se prima di tornare a casa passiamo a salutare zia Carla?».