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Che fatica cucinare. Aprire la scatoletta di tonno. Prendere due fette di pane dal sacchetto del pane. Richiudere il sacchetto, Dio mio, richiudere il sacchetto. Non sarebbe non dico bello ma forse almeno tollerabile se si potesse buttare il sacchetto sul pavimento così com’è e, il giorno dopo, ritrovare il pane morbido e con quel buon profumo di alcol? E invece no, il sacchetto va richiuso, il tubetto va richiuso, il cibo masticato, deglutito, digerito, defecato. E tutto per un solo pasto! Il sedere va pulito! Persino il water va pulito. E la fossa biologica, ci credereste? Ogni mese viene il camion con gli appositi omini e si mettono a pulire la fossa biologica, la tirano a lucido, come si dice, uno specchio! Adesso ci potete anche mangiare, dicono prima di andarsene. Ma lasciamo stare questi discorsi e torniamo al discorso principale, che era: che fatica cucinare. Prendere i capperi dal vasetto e spararsene in bocca un centinaio, ingollare un mezzo bicchiere di latte caldo. Sgranocchiare la pasta direttamente dalla scatola guardando svogliatamente la tv. Frullare le arachidi. Farcire i pinoli. Affettare i piselli, come faceva la nonna. Ma come ha fatto la nonna a non impazzire, a non prendere quel microcoltello col quale affettava i piselli e piantarselo in un occhio? Mi ricordo che lei e le sue amiche centenarie passavano i pomeriggi estivi e di fatto intere estati ad affettare i piselli, in cortile, in cerchio, li tagliavano sottilissimi, poi li buttavano via, credo. Ma perché, nonna? Che senso ha?, le chiedevo. Un giorno capirai, mi diceva, lo diceva per tutto, quando bruciava i calzini del nonno, quando il nonno la picchiava con la scopa, quando metteva il veleno per topi nella minestra. Un giorno capirai, un giorno capirai, un giorno capirai. Ma non era vero, non ho mai capito, e lei è morta, perciò penso che il discorso sia chiuso.