Ma c’era qualcosa che non andava, era successo di colpo, difficile dirlo, anche ad Alessia. Invece della bocca gli sembrava di avere un altoparlante. Non che ce l’avesse montato e avvitato sopra la bocca, però quando parlava, anche una frase semplice, «ciao Alessia», «ciao amore, come va?», «ciao, allora siamo d’accordo, a domani», gli sembrava che al posto suo parlasse un registratore, o che parlasse il telefonino con dei messaggi preregistrati, e la bocca fosse l’apparecchio amplificatore collegato, per cui lui stesso ascoltava quel che gli usciva detto. Le frasi erano giuste, però non sue, e qualche volta arrossiva, anche se non c’era motivo. «Ti voglio bene», e arrossiva. Alessia lo guardava, come avesse detto una bugia, ma «ti voglio bene», che bugia poteva essere? Però era una bugia, perché le voleva bene, ma non era lui ad averlo detto, anche se sembrava. Avrebbe dovuto gettarle le braccia al collo e dirle: «Aiuto!».
La madre assassina, E. Cavazzoni