Ho notato che le automobili guidate dai vecchi col cappello mi si piazzano davanti quando sto tornando dal supermercato e nella busta della spesa ho i surgelati. Naturalmente io non do loro la minima soddisfazione, non cerco di superarli (una volta l'ho fatto e ho trovato solo un'altra auto guidata da un altro vecchio col cappello, se non lo stesso), non suono il clacson (non ci sentono), non lampeggio (non ci vedono), non faccio come quella volta il mio amico Roberto, che poi al primo semaforo è sceso per andare a rimproverare il vecchio (non hanno più coscienza né sentimenti né paura e se li picchi non sentono dolore). No. Io me ne sto dietro, a passo di lumaca, sorseggio un buon caffè d'orzo, leggo le news, faccio una partita a scacchi, mi riposo. Quando arrivo a casa butto direttamente i surgelati nella spazzatura, non sono neanche più cucinabili dopo trentacinque minuti (il supermercato ne dista sei) a trenta gradi. Un'altra cosa che faccio mentre aspetto che il vecchio col cappello trovi la seconda marcia è pensare che, forse, è tutto organizzato. Mi sembra un po' di essere il protagonista di Tempo fuor di sesto. O il protagonista di quel film con quell'attore con quella faccia buffa, come si chiamava? Ma in quel caso lo scopo era fare uno show televisivo, qui è solo farmi buttare i surgelati. Perché? Non lo so. A volte quello che per noi è inutile o assurdo, per qualcun altro è tutto. Immagino che questo qualcuno, quando esco con la busta della spesa con dentro i surgelati, prenda una radiolina e dica «Ok, signor Carlo, sta arrivando, si tenga pronto». Il signor Carlo ovviamente è del tutto sveglio, ci sente, ci vede, eccetera. Ed è un pilota provetto. Da giovane ha vinto la Carrera panamericana. Quando sono sulla statale, eccolo sbucare con tempismo cronometrico da una via laterale: lo fa lentamente, senza darmi la precedenza, rischiando la collisione. E poi il supplizio di cui sopra. «Molto bene signor Carlo, rallenti ancora un po', per favore». «Sto già andando al minimo!». In caso di sorpasso, chiede: «Il soggetto sta per superarmi, lo sperono?». Non so. Un giorno forse dovrei scendere anch'io come Roberto. Avvicinarmi all'auto del signor Carlo, ticchettare con le nocche sul finestrino. Lui mi guarderebbe, spaesato, io gli farei segno di abbassarlo. Lui non capirebbe, all'inizio, ma poi sì. Il finestrino non sarebbe elettrico ma a manovella.
«Sì, agente?» mi direbbe.
«Perché mi fate questo?».
«Di cosa parla? Non capisco».
«Ah non capisce. Allora perché non scende un attimo dall'auto, per favore?».
«Come dice? Non sento bene, sa…».
«Scendi. Dalla. Merdosa. Macchina».
A quel punto il signor Carlo farebbe scivolare lentamente una mano sotto il sedile, per prendere immagino un taser o una rivoltella o un fasatore.
«Non ci pensare nemmeno, nonno» gli direi.
Così alla fine scenderebbe e io potrei esaminarlo da capo a piedi: cappello, camicia, cravatta, giacca, pantaloni, scarpini fucsia in tomaia dinamica da Formula 1.
«Perciò…» direi io, indicandoli.
Allora il signor Carlo si accenderebbe una sigaretta e, dopo aver fatto un tiro, direbbe:
«Soddisfatto, Sherlock?».
«Sì».
«Posso andare?».
«Certo».
«Bene».