Dorito (1096)

Stamattina, mentre portavo a spasso Gâteau, ho incontrato il barbone Dorito, che è il barbone storico di San Paco Llorente, talmente storico che anni fa il comune gli aveva dedicato una serata in quanto figura caratteristica alla quale nel corso degli anni tutti si erano affezionati e tutti volevano bene – tranne il sottoscritto e quei bambini che una sera gli avevano tirato le cacche di cane, ovviamente. Gli organizzatori della serata celebrativa, forse a causa di un numero eccessivo di film hollywodiani e stronzate catechisitiche, avevano immaginato, credo, che Dorito si presentasse in smoking e che a un certo punto prendesse il microfono e facesse un bel discorso che si era scritto su una buccia di banana con un mozzicone di matita, una cosa come «Stimati concittadini, quando arrivai a San Paco Llorente, nel lontano…» in cui raccontava le sue tragedie, le difficoltà, le sfide che aveva dovuto affrontare, la sfortuna che si era abbattuta su di lui, eccetera. Tutti avrebbero pianto e riso (?) e dal giorno dopo il barbone Dorito sarebbe stato rimesso a nuovo e avrebbe insegnato pianoforte – per caso chiacchierando sarebbe venuto fuori che era stato un enfant prodige e che per alcuni anni aveva pure suonato nella Berliner Philharmonisches Orchester – ai bambini delle medie di San Paco. Queste le aspettative. La realtà: Dorito si era presentato indossando i soliti stracci sporchi e puzzolenti, si era rivelato un patetico analfabeta forse affetto da sindrome di Tourette, oppure era semplicemente maleducato e pazzo, aveva messo in grave difficoltà tutti i presenti insultandone la metà, si era poi addormentato durante gli interventi del sindaco e di altre figure di spicco, si era quindi svegliato, strafogato di tramezzini, ubriacato e pisciato addosso, per poi fuggire da un lucernario quando aveva intuito di aver compromesso in modo definitivo la sua posizione all’interno della comunità sanpacollorentese. Il giorno dopo era stato acchiappato dai servizi sociali, sottoposto a trattamento sanitario e ricoverato in una casa di cura dalla quale non era più uscito, fino, evidentemente, a oggi. Quando mi è passato vicino mi ha sorriso, ha gettato il rimasuglio di sigaretta che stava sfumacchiando, si è abbassato per accarezzare Gâteau.
«Ma che bel micetto» ha gracchiato con la voce di uno che fa colazione con l'acqua ragia.
«Non la tocchi» gli ho detto tirando lievemente il guinzaglio.
Lui è rimasto un attimo così, poi si è alzato, ha raccolto la sigaretta e è andato via.

6.7.22