Per fortuna (1161)

Leggo che un ciclista italiano è stato condannato a pagare 4.000 euro per aver sparato con una carabina a un gatto, colpendolo alla testa e uccidendolo. Il tizio ha ammesso di aver mirato al gatto ma ha detto di non aver pensato che un colpo di carabina alla testa potesse ucciderlo. Ha detto, leggo, di aver sparato per testare la portata della carabina. Perché non abbia pensato di testare la portata della carabina sparando alla propria automobile o sparandosi in un piede, non è dato saperlo, e nessuno gliel'ha chiesto, credo, o forse sì, l'articolo non lo dice. Però posso immaginarlo: perché sono cose a cui tiene. Credo che la risposta sincera dunque sarebbe stata: be' è solo un gatto, neanche mio, chi se ne frega. In realtà, leggo, quel gatto apparteneva a una famiglia e in particolare a una bambina che, cito le parole del padre, "lo adorava". E ci credo, anch'io adoro la mia gatta. Tra l'altro i gatti sono animali molto sensibili, ma per accorgersene servono due cose: un gatto; della sensibilità. Il padre della bambina ha detto che 4.000 euro per l'uccisione di un animale domestico sono troppo pochi, come pena. Anche secondo me. Secondo me bisognerebbe chiedere alla famiglia del gatto quanto vale secondo loro il gatto. Dico sia alla famiglia di umani, sia alla famiglia di felini. Probabilmente i secondi risponderebbero in crocchette. Fa niente. Sembra che il ciclista abbia scritto una lettera dicendo che si vergogna per quello che ha fatto, un gesto imperdonabile, eccetera. Dico sembra ma in realtà è così, però sono irritato per l'uccisione del gatto e allora dico sembra. Leggo su Tuttobici, sito che non leggo mai così come non leggo mai nulla sul ciclismo, che trovo uno sport inutile e ridicolo (sempre per via dell'irritazione del gatto) che il ciclista dice di non aver parlato prima perché provava senso di vergogna e rammarico. Io purtroppo non gli credo. Il fatto è che ora l'uccisione del gatto è diventata un problema per il ciclista - è stato sospeso dalla sua squadra, molta gente ce l'ha con lui, eccetera - e allora il ciclista si rammarica. O forse posso concepire che abbia sparato al gatto pensando che il gatto non sarebbe morto, che non ci fosse questo rischio, e poi quando ha visto che invece il gatto è morto ha provato dolore e vergogna. Ma in questo caso dovremmo pensare che il ciclista non riesce a capire che il proiettile (piombino) sparato da un fucile (carabina) può danneggiare cose. Per esempio il cranio di un essere vivente. E che non riesce a capire che il cranio di un essere vivente è importante per il buon funzionamento, il benessere e l'allegria di quell'essere vivente. Non so cosa sia peggio, a questo punto. Ammetto però di aver sparato anch'io a un animale, avevo undici anni e l'animale era un uccellino. Ho sparato con la carabina di mio nonno Raymond. Nonno Raymond usava la carabina per sparare nei piedi a mia nonna Rachele quando era ubriaco, o quando era ubriaca, o quando era sobrio ma lei ci stava mettendo troppo ad alzarsi per prendergli una birra. Poi a volte mi chiedeva: vuoi sparare un po' con la carabina, Joey? E io: sì! Lui mi dava la carabina e diceva: mira alla nonna. E io miravo e sparavo, ma la nonna respingeva i piombini con una padella e urlava: sparate agli uccellini! E io sparavo allora agli uccellini, sempre mancandoli. Ma avevo undici anni e non capivo quanto fosse stupido e ripugnante quel gesto, non avevo ancora capito che siamo tutti parte di un unico grande essere vivente, che io sono l'uccellino, l'uccellino è me. Certo, ora dovrei dire che io sono anche il ciclista che uccide il gatto, e perdonarlo. Forse non sono ancora pronto, per questo. Io il ciclista che uccide il gatto non lo voglio essere. Allora forse siamo due unici grandi esseri viventi, e io per fortuna faccio parte di quello giusto.

2.3.23