Una.
Due.
Tre.
31.12.24
Solo scemo (1373)
Anche quest'anno ho fatto a tutti i soliti regali: vino, libri, tè, profumi. Non cambio mai, li dichiaro anche prima e se l'interessato vuole dirmi esattamente cosa desidera, tanto meglio. Il fatto è che con i regali non sono molto bravo: penso a quando da bambino, un giorno, ho dilapidato tutti i miei risparmi a una bancarella per comprare un set di chiavi inglesi da regalare allo zio Fausto per il suo compleanno. Lo zio Fausto faceva il meccanico. Quando mi sono presentato nella sua officina e gli ho dato la cassetta, lo zio Fausto è scoppiato a ridere, mostrandomi il suo banco da lavoro dove erano appese centinaia di chiavi di ogni grandezza, forma, materiale e nazionalità. Anche i suoi operai sono scoppiati a ridere, e i clienti, e i trapani, e le gomme delle automobili. Io invece mi sono messo a piangere: «Non so fare i regali…» ho detto rompendo il fanale di una Tipo con un calcio. Allora lo zio Fausto si è fatto serio, si è inginocchiato, mi ha asciugato le lacrime con uno straccio sporco di olio motore e mi ha detto: «Questo non devi pensarlo mai, piccolino. Non è che non sai fare i regali: sei solo scemo».
29.12.24
27.12.24
Una breve indagine (1371)
Uno dei problemi che ho: propongo cose che poi non ho voglia di fare. Tipo la mia amica Carla, giorni fa le ho detto che sarei passato a prenderla per andare insieme all'aperitivo di Natale a casa di Paola, ma poi non ne avevo voglia. Tra l'altro Carla ha la macchina. E le gambe. Non avevo voglia nemmeno di andare all'aperitivo di Natale. Oppure, altro esempio, la cena del 31. Un mese fa ho detto agli amici: «Amici, festeggiamo insieme l'ultimo dell'anno!». Poi mi è passata la voglia. Ma dopo pochissimo. La mattina dopo l'ideazione di questi bei progetti mi ritrovo a letto con gli occhi sbarrati e penso: "Perché non sto zitto?". Per fortuna che l'avevo organizzata a casa di Giorgio e Abigaille, almeno ho l'accortezza organizzare a casa degli altri. Dunque, facile: messaggio vocale a Giorgio in cui spiego che il 31 purtroppo non mi sarà possibile presenziare alla cena organizzata da me stesso in mio onore causa repentina assenza di voglia. Risposta di Giorgio: «Posso mandarti affanculo?». Che altro? Ah sì: giorni fa, alla cena natalizia tra amici (proposta da chi? Esatto), ho organizzato un pranzo tra amici per il mio compleanno, a gennaio. Interessante, perché solo poche ore prima avevo dichiarato a Paola: «Quest'anno al mio compleanno non faccio niente!». Così poche ore dopo Paola mi fa: «Sai, ho svolto una breve indagine per capire cosa c'è alla radice del tuo problema e penso di aver trovato un fattore ricorrente». E io: «Ah sì? E quale sarebbe? La joie de vivre?». E lei: «Quasi: lo champagne».
26.12.24
Sii qualcun altro (1370)
Ieri mi è tornata in mente la parabola dei talenti. Io mica l'ho mai capita, 'sta parabola. Cioè, sono convinto che quelli che l'hanno scritta abbiano toppato. Loro volevano comunicare questo messaggio, penso: "Dio ti ha dato delle qualità ed è buona cosa che tu ti impegni senza paura, anche rischiando, per farle fruttare". Un bel messaggio. Va be' che di bei messaggi è pieno il mondo. Tipo, non so: "Sii te stesso". Bel messaggio. Ma se uno fa schifo? In quel caso il messaggio dovrebbe essere: "Sii molto meglio di te stesso" o “Sii qualcun altro”. Anche quando ero bambino, la parabola dei talenti non mi andava a genio. Il servo dice al padrone: «Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso». In pratica gli sta dicendo che è uno sfruttatore fannullone con un brutto carattere. Ti aspetteresti un «Ma come ti permetti? Ma se lavoro diciotto ore al giorno nel mio datterificio!». Invece il padrone conferma e dice di sé: «Sapevi che mieto dove non ho seminato e che raccolgo dove non ho sparso, avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio, con l'interesse». Praticamente è uno strozzino in combutta con altri strozzini. Uno strozzino con dei servi che tra l’altro chiama "servi", questo già non mi piaceva quand'ero un piccolo bambino razionalista. Me la leggevano a catechismo o in chiesa e pensavo: "Mm, a me questa storia mica mi sconfinfera". E tornavo a casa, camminando tutto dubbioso lungo il viale, le mani dietro la schiena, fumando la mia pipa. E poi c'era il discorso della gestione dei talenti, che non mi tornava proprio: al primo servo dà cinque talenti, lui li investe e li fa fruttare e ne fa altri cinque. Quando il padrone torna, gli restituisce i cinque talenti più i cinque guadagnati. Il padrone lo premia offrendogli "autorità nel molto", cioè lo promuove, penso, forse a capo dei servi, o caporeparto nel datterificio. Stessa cosa il secondo, anche se gli vengono affidati solo due talenti. Però, ho sempre pensato, e se li avessero persi? Un investimento con una rendita del 100% deve comportare rischi enormi. Avrebbero tranquillamente potuto perderli. Quale sarebbe stata la reazione del padrone, in quel caso? Un rimprovero? Non credo. Frustate, come minimo, o molto peggio. Erano pur sempre i tempi in cui, se rubavi, ti mozzavano la mano. Se il tuo occhio ti offendeva, dovevi cavarlo. Tempi in cui per un niente ti crocifiggevano o ti lapidavano. Eccetera. Così arriviamo al nostro eroe, il servo nel quale mi immedesimavo: riceve un talento da un padrone duro e sfruttatore. Tutto intorno, gente mutilata o crocifissa per una mossa sbagliata o un’incertezza. Tipo Gesù: «Sei tu il figlio di Dio?». E Gesù: «Tu lo dici». Praticamente solo una constatazione. Immagino stesse prendendo tempo, pensando: “Qua si mette male”. Però, niente: crocifisso. Al posto del servo, allora, anche il mio pensiero sarebbe stato: "Eugenio, non perdiamo questo talento per nessun motivo al mondo". Così lo ha sotterrato, si è fatto la sua vita tranquilla e poi lo ha restituito. Liscio. Da bambino (ma anche oggi), quando il padrone torna e lo rimprovera perché gli ha affidato uno e si è visto ritornare uno, il mio cuore ribolliva indignato. Ero sicuro che non fosse la giusta conclusione della vicenda, parlando di Giustizia. Il messaggio della parabola per me non era "Devi far fruttare i tuoi talenti anche a costo di rischiare" ma "Questo padrone è ingiusto". Tornando a casa, allora, nella mia testa riscrivevo la parabola nella versione corretta:
"Avverrà come di un uomo - un uomo molto ricco, proprietario di un importante datterificio - che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno. Il servo che ricevette due, disse: «Perché a lui cinque e a me due?». E il padrone: «Non cominciamo». Ma il servo: «E perché a lui uno soltanto?». E quello che ne aveva ricevuto uno: «Non mettermi in mezzo, uno va benissimo, anche troppo». E il padrone: «Elazar, fai sempre polemica. Ti taglio anche l'altro orecchio?». E Elazar: «Due sono perfetti». E il padrone: «Oh là». E partì. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, Azaria, andò subito alla taverna a giocarseli ai dadi e, barando, ne vinse altri ventidue. Il secondo, Elazar, li spese a donne nel giro di un’ora. Disperato, chiese aiuto ad Azaria, che gli diede quattro dei suoi talenti e gli disse: «Questi qui però l'anno prossimo me li devi restituire raddoppiati, altrimenti ti faccio fuori». Elazar disse sì, pensando no. Colui che aveva ricevuto soltanto un talento pensò: «Io non voglio sapere niente di questa storia». Fece una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone tornò e volle regolare i conti. Colui che aveva ricevuto cinque talenti ne presentò altri cinque. Colui che aveva ricevuto due ne presentò altri due. Erano convinti che il padrone li avrebbe elogiati e premiati, ma il padrone li rimproverò: «Servi avidi e irresponsabili,» disse loro, «questa era una prova, volevo vedere se potevo fidarmi di voi consegnandovi una somma di denaro. Ma voi lo avete rischiato, senza chiedermelo prima. Avete rischiato qualcosa che non era vostro, non ne avevate diritto. Inoltre, se mi restituite cinque più cinque e due più due, mi viene da pensare che stiate trattenendo qualcosa per voi, magari avete guadagnato venticinque. E in che modo, mi chiedo? Con qualche attività illecita di sicuro, conoscendovi, o forse al gioco. Più tardi andrò alla taverna a chiedere se qualcuno vi ha visto». «No,» disse Elazar gettandosi ai piedi del padrone, «alla taverna no! Specialmente non chieda a Miriam». E Azaria: «Zitto, scemo!». Allora il padrone: «Come immaginavo. Comunque sia, durante il mio viaggio sono cambiato: ho comprato un dattero della fortuna e il biglietto diceva “Sii qualcun altro”, e ora detesto la servitù. Ho riflettuto e ho deciso di diventare una persona retta: tenetevi pure i talenti e andate, non fatevi più vedere». I due se ne andarono e, appena voltato l'angolo, Azaria chiese a Elazar di restituirgli il prestito, ma Elazar gli diede invece una botta in testa e gli rubò tutto. Intanto il padrone, rivolto all'ultimo servo: «Caro Eugenio, tu sei stato buono e affidabile. Ti ho dato un mio talento e, per quanto fosse poco, lo hai conservato e protetto, e ora me lo rendi tale e quale, anche se sporco di terriccio. Bravo». E Eugenio: «Grazie, Signore». «Molto bravo» disse ancora il padrone. «Grazie, Signore» disse ancora Eugenio. Poi, silenzio. Un colpo di tosse. Quindi: «Perciò, se due talenti più due talenti fanno quattro talenti, anch'io posso tenere il mio e andare, poiché libero, no?» disse Eugenio infilandosi le scarpe. E il Signore: «Eh? No no no, tu sei un collaboratore molto prezioso, caro Eugenio, ti tengo con me. Infila il piede in questa cavigliera, per favore».
"Avverrà come di un uomo - un uomo molto ricco, proprietario di un importante datterificio - che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno. Il servo che ricevette due, disse: «Perché a lui cinque e a me due?». E il padrone: «Non cominciamo». Ma il servo: «E perché a lui uno soltanto?». E quello che ne aveva ricevuto uno: «Non mettermi in mezzo, uno va benissimo, anche troppo». E il padrone: «Elazar, fai sempre polemica. Ti taglio anche l'altro orecchio?». E Elazar: «Due sono perfetti». E il padrone: «Oh là». E partì. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, Azaria, andò subito alla taverna a giocarseli ai dadi e, barando, ne vinse altri ventidue. Il secondo, Elazar, li spese a donne nel giro di un’ora. Disperato, chiese aiuto ad Azaria, che gli diede quattro dei suoi talenti e gli disse: «Questi qui però l'anno prossimo me li devi restituire raddoppiati, altrimenti ti faccio fuori». Elazar disse sì, pensando no. Colui che aveva ricevuto soltanto un talento pensò: «Io non voglio sapere niente di questa storia». Fece una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone tornò e volle regolare i conti. Colui che aveva ricevuto cinque talenti ne presentò altri cinque. Colui che aveva ricevuto due ne presentò altri due. Erano convinti che il padrone li avrebbe elogiati e premiati, ma il padrone li rimproverò: «Servi avidi e irresponsabili,» disse loro, «questa era una prova, volevo vedere se potevo fidarmi di voi consegnandovi una somma di denaro. Ma voi lo avete rischiato, senza chiedermelo prima. Avete rischiato qualcosa che non era vostro, non ne avevate diritto. Inoltre, se mi restituite cinque più cinque e due più due, mi viene da pensare che stiate trattenendo qualcosa per voi, magari avete guadagnato venticinque. E in che modo, mi chiedo? Con qualche attività illecita di sicuro, conoscendovi, o forse al gioco. Più tardi andrò alla taverna a chiedere se qualcuno vi ha visto». «No,» disse Elazar gettandosi ai piedi del padrone, «alla taverna no! Specialmente non chieda a Miriam». E Azaria: «Zitto, scemo!». Allora il padrone: «Come immaginavo. Comunque sia, durante il mio viaggio sono cambiato: ho comprato un dattero della fortuna e il biglietto diceva “Sii qualcun altro”, e ora detesto la servitù. Ho riflettuto e ho deciso di diventare una persona retta: tenetevi pure i talenti e andate, non fatevi più vedere». I due se ne andarono e, appena voltato l'angolo, Azaria chiese a Elazar di restituirgli il prestito, ma Elazar gli diede invece una botta in testa e gli rubò tutto. Intanto il padrone, rivolto all'ultimo servo: «Caro Eugenio, tu sei stato buono e affidabile. Ti ho dato un mio talento e, per quanto fosse poco, lo hai conservato e protetto, e ora me lo rendi tale e quale, anche se sporco di terriccio. Bravo». E Eugenio: «Grazie, Signore». «Molto bravo» disse ancora il padrone. «Grazie, Signore» disse ancora Eugenio. Poi, silenzio. Un colpo di tosse. Quindi: «Perciò, se due talenti più due talenti fanno quattro talenti, anch'io posso tenere il mio e andare, poiché libero, no?» disse Eugenio infilandosi le scarpe. E il Signore: «Eh? No no no, tu sei un collaboratore molto prezioso, caro Eugenio, ti tengo con me. Infila il piede in questa cavigliera, per favore».
20.12.24
Che c'è? (1369)
Ieri ho pranzato al Gou Sheng, mio ristorante cinese preferito. Il proprietario e sua moglie hanno appena avuto un figlio. «Come si chiama?» gli ho chiesto. Così mi ha detto il nome cinese, io ho provato a ripeterlo e lui ridendo ha detto: «Sì, più o meno…». Gli ho chiesto allora cosa volesse dire, lui mi ha detto: «È una sorta di formula di buon auspicio che richiama concetti come luminosità e forza, ed è inoltre il nome di un antico palazzo imperiale». «Ah, ma che bello!» ho detto io. E lui: «Sì». Quindi, silenzio. Io: «Che c’è?». E lui: «Ho poi scoperto che vuole anche dire "pergolato"». Mi ha fatto ridere.
16.12.24
Che bella giornata (1368)
Oggi mi è tornato in mente che da bambino, alla scuola materna, un pomeriggio ho sfondato una porta a vetri (ero vivace) e mi sono tagliato un polso e una mano. Ricordo che dopo il danno mi sono allontanato rapidamente dalla porta, pensando: nessuno si è accorto che sono stato io. Poi ho visto il sangue che mi colava dal braccio e, per il timore di essere rimproverato, ho cercato di nasconderlo tirandomi giù le maniche più che potevo, ma, quando le maestre se ne sono accorte, invece di arrabbiarsi sono diventate molto premurose e mi hanno portato in ospedale. Anche in ospedale erano tutti incredibilmente gentili, tutte le infermiere, gli altri malati, i loro parenti e persino il chirurgo, che gran chiacchierone! E come gli ero simpatico! E poi ovviamente anche quelli dell'ambulanza, che riportandomi a casa a un certo punto mi hanno detto: «Facciamo uno scherzo alla mamma e arriviamo con la sirena?». E io: «Sì!». E loro l'hanno accesa, e mia madre quando mi ha visto era bianca come un lenzuolo. Ci siamo proprio divertiti, che bella giornata.
13.12.24
E buon compleanno (1366)
Ieri aperitivo con la mia amica Carla. Mi racconta che è stata a Parigi con il suo fidanzato, per il compleanno di quest'ultimo. Ha fatto tutto Carla: prenotato i voli, prenotato l'albergo, e per festeggiare ha comprato anche una torta, poi nascosta nel bagno della camera, perché voleva fargli una sorpresa. Così, la sera del compleanno, a un certo punto dice al fidanzato «Vado un attimo in bagno», e poi una volta lì prende la torta per metterci le candeline, ma la torta cade, rovesciandosi sul tappetino del bagno. «Gesù,» le dico, «l'hai buttata, spero». «Sei scemo?» mi dice Carla. «Avevo pianificato tutto, non avevo altro. Ci ho soffiato un po' sopra, ho messo le candeline e gliel'ho data. Non si è accorto di niente». «L'hai mangiata anche tu?» le chiedo. E lei: «Ma secondo te».
7.12.24
Tre opzioni (1364)
Giorni fa ricevo un messaggio dalla mia anziana madre con allegata la foto di un albero di Natale in vendita su Amazon. Dice: «Mi prendi questo albero?». Rispondo: «Ok. Lo faccio arrivare da me o da voi?». Lei: «Da noi». Io: «Poi però dovete stare in casa ad aspettarlo». Lei: «Sì sì, dove vuoi che andiamo? Siamo sempre qua». Nel momento in cui leggo queste sue parole, sento gli ingranaggi dell'universo mettersi in moto al fine di assemblare l'unico esito possibile.
Così stamattina mi arriva il messaggio di Amazon, il pacco è in arrivo. Scrivo alla mia anziana madre per avvertirla. Lei risponde: «Bene». Dopo un paio d'ore esco per delle commissioni. A un certo punto vedo passare la macchina dei miei con a bordo mio padre e una tonnellata di fogliame. Mm, penso. Non il fogliame di un albero di Natale sintetico, penso. E poi il pacco non risulta ancora consegnato. Dunque proseguo. Dopo dieci minuti scorgo mia madre infilarsi dalla parrucchiera. Entro. Lei è già seduta in poltrona, pronta per la messa in piega. Mi avvicino, le metto una mano sulla spalla, lei si gira e io le sorrido. «Ciao,» mi dice, «cosa fai qua?». Io: «Ti do tre opzioni. Opzione uno, sono venuto a farmi la permanente; opzione due, sono venuto a salutarti, visto che non ci vediamo mai, perché mi manchi; opzione tre, sono venuto anch'io ad aspettare qui con te il vostro albero di Natale». Silenzio. Si spengono i phon. Tutte le signore lasciano il negozio, tipo saloon che si svuota in un western quando stanno per fischiare le pallottole. Mia madre: «Opzione due?». Io: «No».
29.11.24
27.11.24
Sinner (1362)
Una cosa bella di Sinner è che vince sempre. Venerdì in Coppa Davis eravamo sotto uno a zero. Gioca Sinner, vince facile e andiamo pari, poi c’è il doppio: insieme a Berrettini gioca ancora Sinner e passiamo il turno. La tentazione credo sia quella di fargliele giocare tutte e il c.t. Volandri ci avrà pensato. Questo il piano: prima partita: Sinner; seconda partita: Sinner; doppio: Sinner-Sinner; a disposizione: Sinner; c.t.: Sinner. Immagino i doppisti argentini. Entrano in campo e uno dice all'altro: «Be', dai, almeno Sinner ha già giocato». E vedono entrare Sinner. «Va be', tiriamo forte sull'altro». E vedono entrare ancora Sinner. «Ok, noi comunque siamo specialisti, siamo affiatati. Possiamo farcela, no?». Il compagno non risponde. Lui allora si volta a guardarlo: Sinner.
25.11.24
Pelo (1361)
Il tuo gatto rilascerà pelo. Il suo pelo. Lo farà quasi sempre senza che tu te ne accorga, dappertutto. Troverai il pelo del tuo gatto sui tuoi pullover, sulle camicie, sui pantaloni e sulle scarpe. Sui capelli. Nei capelli. Alcuni dei tuoi capelli non saranno capelli ma peli del tuo gatto, e così la tua barba, se ce l'hai, altrimenti ce l'avrai, ma fatta di peli di gatto. Troverai i suoi peli tra i tasti della tastiera del tuo portatile, tra le sottili fessure dello schermo, a volte li troverai dietro lo schermo, sulla pagina, ci si impiglierà il cursore, li sposterai con il mouse. Li troverai dentro il mouse. Quello che devi capire è che i peli che tu vedi sono soltanto la punta di un gigantesco iceberg di peli di gatto. I peli sono soprattutto dentro. Dentro il tuo portatile, dentro il tuo telefono, dentro i cassetti, dentro di te, dentro il tuo gatto. Troverai peli di gatto nelle mutande, quando non il gatto stesso. Non importa quanto possa sembrarti strano o impossibile. Li troverai. Se farai un'ecografia, saranno lì. Adagiati sul tuo fegato, o che galleggiano nella vescica. E poi nella testa, nel cervello. E nei polmoni, nello stomaco. Peli del tuo gatto svolazzanti saranno costantemente, impercettibilmente nell'aria, come il pulviscolo, e finiranno in quello che cucini, che bevi, che mangi. Non importa quanto aspiri, quando spazzi, quanto lavi, la quantità di peli di gatto sarà sempre costante, o in costante aumento. Se ne togli, lui ne perde, quindi ne aggiunge. Se ne aggiungi, lui ne perde, quindi ne aggiunge. D'inverno avrà più pelo, per stare al caldo, quindi ci sarà più pelo in giro, perché avrà più pelo da perdere; d'estate avrà meno pelo, per stare al fresco, quindi ci sarà più pelo in giro, perché l'avrà perso. L'obiettivo del tuo gatto è ricoprirti di peli di gatto per farti sembrare un po' più gatto? Forse. Forse il tuo gatto ti guarda e pensa: guarda questo povero grosso gatto spelacchiato, diamogli un po' di pelo. Ma più probabilmente il tuo gatto ti guarda e pensa: o-oh, ha del mio pelo tra i denti, faccio finta di niente ma esponendolo così a brutte figure in società, o glielo faccio notare salvandolo così dalle brutte figure ma generando una situazione imbarazzante e attirandomi le sue ire? Mmm. Faccio finta di niente.
24.11.24
Blend (1360)
Passo dai miei anziani genitori, mi dicono che sono stati a pranzo in un ristorante con degli amici. «Mangiato bene?» chiedo. «Normale» dice mia madre. «E cosa avete bevuto?» chiedo. E lei: «Uno chauvignon».
23.11.24
Decreti (1359)
Putin ha firmato un decreto che consente a Putin di usare armi nucleari se Putin è attaccato da stati sorretti da potenze nucleari. Putin ha ringraziato Putin per questa modifica. Putin ha detto figurati, Putin, se non ci si aiuta fra Putin... Putin ha detto: è vero. Poi ha detto: sei forte. Putin ha risposto: anche tu.
21.11.24
Loop (1358)
Se fossi in un film come Ricomincio da capo, la sinossi sarebbe: il protagonista è intrappolato in un loop temporale che gli fa rivivere continuamente lo stesso giorno, ma non se ne accorge.
18.11.24
Così sottile (1357)
Il muro della mia camera da letto è sottile. Solo uno, non so perché: quello che confina con la camera da letto del mio vicino. Ed è così sottile che quando gli vibra il cellulare penso sia il mio. A volte è il mio. Il muro è così sottile che a volte vibra il suo, ma il messaggio arriva a me. Così sottile che a volte è il suo, e il messaggio arriva a lui, ma rispondo io. Così sottile che lui dorme e io russo, anche se sono lì, a letto, sveglio. Così sottile che a volte mi addormento con la mia gatta e mi sveglio col suo cagnolino. Così sottile che lui, in realtà, nemmeno ce l'ha un cagnolino. Così sottile che, senza dover uscire di casa, glielo restituisco (e lui, a me, la gatta). Non so perché abbiano fatto un muro così sottile. Potevano farlo un po' più spesso. Forse uno dei muratori l'ha anche detto, dopo averlo tirato su: «Dovremmo farlo più spesso». E gli altri hanno detto: «Sì, è divertente». E così il muro è rimasto sottile. Ed è così sottile che il mio vicino lo sento quando ha la tosse. Anche poca. E tanto è sottile che me l'attacca. Oppure lo intravedo quando si muove, o vedo soltanto l'ombra sul mio armadio. E spesso, quando suona la sua sveglia, mi alzo io, e vado io al lavoro, dico il suo. Che quando i suoi colleghi mi vedono arrivare, ridono e dicono: «Ancora? E fatelo sistemare, 'sto muro». Ma finora lo abbiamo lasciato così, e sono già degli anni. Non ci dà troppo fastidio, si vede. Quando a volte ci incontriamo, giù in strada, o nei garage, ci salutiamo con un cenno. Non parliamo mai della sottigliezza del muro. Non parliamo di niente. Ecco, giusto se poi magari arriviamo alle rispettive macchine, e uno dei due si fruga in tasca e impreca, l'altro si avvicina e gli porge le chiavi, allora «grazie» dice uno, «ma ti pare» risponde l'altro.
15.11.24
1356
«Harrison Ford, welcome».
«What can you say on a podcast?».
«You can say anything you want. Anything you like».
«Well, fuck you».
«Already my favorite».
Conan O'Brien needs a friend, Harrison Ford
«What can you say on a podcast?».
«You can say anything you want. Anything you like».
«Well, fuck you».
«Already my favorite».
Conan O'Brien needs a friend, Harrison Ford
13.11.24
Un bel mistero (1354)
Nel 1937 l'autore ungherese Frigyes Karinthy racconta in Viaggio intorno al mio cranio l'operazione al cervello subita mentre era cosciente. Leggo la nota biografica in quarta di copertina dell'edizione italiana, dice: "Morì improvvisamente l'anno successivo, per cause mai chiarite". Mi ha fatto ridere. Immagino Karinthy che muore all'improvviso, mentre legge il giornale. Arrivano i soccorsi e un medico chiede alla moglie di Karinthy: «Che cosa stava facendo suo marito?». E lei: «Niente, leggeva il giornale!». E lui: «Ricorda qualche evento insolito, di recente?». E lei: «Mm, mi faccia pensare… evento insolito… no, tutto come sempre, Frigyes conduceva una vita molto noiosa». E lui: «E questa cicatrice tutta intorno alla calotta cranica?». E lei: «Eh? Ah, quella? Ma no, l'anno scorso gli hanno aperto la testa e ci hanno frugato dentro per qualche ora asportando cose, niente di che». E lui: «Un bel mistero. Va be', Peter, in cause del decesso scrivi: mai chiarite».
8.11.24
Sono solo biscotti (1353)
Questa mattina trovo il mio vecchio medico di base, il dottor Valdano, al supermercato. Ora è in pensione. Al suo fianco, la moglie. «Dottoressa anche lei?» chiedo, interessato. Poi subito dico: «Uno dei problemi del cibo è che non si capisce mai se fa bene o se fa male. Per esempio il caffè. Un giorno fa bene, un giorno no. O le mandorle: fanno bene! Ma se ne mangio cinquecento? Insomma, confusione. Allora spesso ho pensato che se potessi fare la spesa con, che so, un medico, potrei chiedere direttamente a lui». La moglie del dottor Valdano mi fa: «Non sono dottoressa». «Allora può andare,» le dico, «ma tanto che c'è mi prenderebbe due etti di pancetta?». Lei se ne va scuotendo la testa, lasciandomi lì con il dottore. Così lo prendo sotto braccio e comincio a portarmelo a spasso per le corsie. Prendo un sacchetto di Macine. «Dottore,» chiedo, «queste fanno bene o fanno male?». Lui, incerto: «Se non se ne mangiano troppe, non fanno male, sono solo biscotti». Io: «Troppe tipo?». Lui: «Eh, non so». Lo dice allargando le braccia. Io sbuffo. «Allora, dottore, Macine sì o Macine no? Dai, secco!». «No» dice lui. «Oh, ci voleva tanto? Va bene, allora non le prendo» dico rimettendo a posto le Macine. Poi ci spostiamo al reparto carne. Prendo un pezzo di montone. «Montone?» chiedo. Il dottor Valdano: «Basta non esagerare». «Eh va be'» dico io. E metto giù anche il montone. Giriamo sconsolati per un po'. Prendo la maionese. Il dottor Valdano scuote la testa. Prendo la maionese light: uguale. «Ma che cazzo» sbotto. Il dottor Valdano sospira, il carrello ancora vuoto. «Senta,» gli faccio, «prenda lei qualcosa». Il dottor Valdano prende le olive ripiene. Io lo guardo storto. «Ma c'è l'alginato di sodio». Il dottor Valdano apre il vasetto e comincia a pescare le olive con le dita. Se le infila in bocca a tre per volta. Allora io prendo un vasetto di alici piccanti, lo apro. Passa una signora e dal carrellino sfilo una pagnotta. Ci sediamo per terra e mangiamo. Il dottor Valdano dalla tasca del cappotto prende un tubetto di maionese. «E quello?» dico. Lui mi spreme mezzo tubetto nella mezza pagnotta con le alici, io non dico più niente. Dopo un po' il vasetto è già vuoto e il dottor Valdano se lo mette in tasca avvitando bene il tappo. Io lo guardo, lui mi fa: «Bevo dopo l'alginato». «Le piace, eh?». Lui sorride. Poi arriva la moglie. «Ecco dov'eri!» dice. «Mi cercava?» dico io. «Non tu, mio marito» dice lei. «Mi cercava?» dice il dottor Valdano, alzandosi. «Hai mangiato olive ripiene?» chiede la moglie. «No!» dice il dottor Valdano. Lei guarda me. «No!» dico io. Poi mi alzo. «Ha preso la pancetta?» le chiedo. Lei mi porge il pacchetto. «Ecco, sono tre euro e cinquantanove centesimi» mi fa con la mano tesa. Io prendo il pacchetto, lo apro e comincio a farcire la pagnotta con la pancetta, poi la rompo in tre parti e ne distribuisco due. Ci sediamo tutti e tre e mangiamo. «Farà male ma è buono» dico. Il dottor Valdano annuisce. La moglie fa: «Vado a prendere una bottiglia».
7.11.24
Eh sì (1351)
Leggo questo titolo: "Doveva essere operato alla prostata ma gli amputano il braccio sinistro: 'Errore medico'". Ho pensato: eh sì. Poi ho cercato di immaginare altre cause oltre all'errore medico. Che so, entra la moglie del paziente con una sega e fa: «Dorme?». E i medici: «Mm, sì?». E lei: «Ottimo». E comincia a segare. Ma potrebbe anche essere che mentre lo operano alla prostata cade un pezzo di soffitto sul braccio e i medici dicono: «Il braccio è andato, amputiamo». Non sarebbe un errore medico. Oppure un medico senza un braccio arriva con un contenitore isotermico e comincia a tagliare il braccio del paziente (con qualche difficoltà). O uno dell'équipe dice: «Bene, asportiamo questa prostata!» e asporta il braccio. Gli altri medici lo guardano esterrefatti, e lui, allargando le (tre) braccia: «Sono un elettrauto». Tecnicamente non sarebbe errore medico. Certo, ho anche immaginato il possibile errore medico: la precedente, ma invece di dire «sono un elettrauto» dice «sono il chirurgo». Allora uno degli altri direbbe: «Errore medico?». E il chirurgo: «Già». Se invece dicesse «No, mi doveva dei soldi», allora andrebbe nella lista precedente.
31.10.24
Caccole molecolari (1350)
Sono passato a bere un succo di baobab al Cerveza Enojada, lo storico bar di San Paco Llorente, e c'erano alcuni tizi che conoscevo, così mi sono seduto e ho ascoltato le loro conversazioni, che vertevano su argomenti di ogni tipo, dalle caccole alla biologia molecolare (nessuno era biologo molecolare), e poi a un certo punto, all'interno di un discorso al quale, tra una patatina e una nocciolina, partecipavo sommariamente anch'io, di fronte a un'obiezione che mi è sembrata superflua, ho detto: «Ma sì, era tanto per dire, siamo al bar, mica alla Ruprecht-Karls-Universität di Heidelberg!». E qui però ho notato che la gente si è risentita. Al che, tornando a casa, mentre passeggiavo regolando il mio orologio da taschino (o permettendo agli abitanti di San Paco di farlo), ho pensato: ma le persone che vanno nei bar a parlare di tutto quello che gli gira si renderanno conto di essere solo persone in un bar che parlano di tutto quello che gli gira? E, facendo un tiro di pipa, mi sono risposto: no.
29.10.24
Mi dia un kilosecondo di pizzette (1349)
Ieri aperitivo con un’amica che è appena stata a Parigi per lavoro. Che hai fatto di bello?, le chiedo. Lei: ero là per il kick off meeting di un progetto che osserverà il deep field di Euclid di dieci gradi quadri alla profondità di quaranta kilosecondi con XMM. E io: la mangi quella pizzetta?
27.10.24
1348.
«Ok, guardami. Questa è una pelle da favola. Da favola, cazzo. Se bevo una di queste al giorno non ho più l'emicrania, il mio ginocchio funziona, sono più gentile con amici e familiari. Devi farlo anche tu. Sai in quale percentuale sei composto d'acqua?».
«So in quale percentuale non me ne frega un cazzo».
«Parli così perché sei disidratato».
«So in quale percentuale non me ne frega un cazzo».
«Parli così perché sei disidratato».
Shrinking
24.10.24
Eh no! (1347)
Stamattina ho sentito una donna giù in strada che ha urlato «mi hai rotto i coglioni!» e subito dopo ho sentito un cane guaire. Eh no!, ho pensato, non si toccano gli animali! E mi sono precipitato di sotto per difendere la bestiola. Quando sono arrivato, però, ho visto che non era un cane che la donna stava percuotendo, ma un bambino. Ah ok, ho detto, e sono tornato in casa.
19.10.24
Michael Scott (1346)
In Arabia Saudita si sta svolgendo il Six Kings Slam, un torneo di tennis esibizionistico, cioè non valido per i punti Atp, però valido per i giocatori, perché è il torneo più ricco di sempre. Ho letto che si chiama sportwashing, cioè quando sfrutti lo sport per migliorare la tua immagine pubblica, distogliendo l'attenzione da crimini e violazioni dei diritti umani (c'è un ranking anche per la democrazia, e l'Arabia Saudita è al 159esimo posto su 169). Il torneo è cominciato mercoledì e domani ci sarà la finale, tra Sinner e Alcaraz, che forse ormai sono già uno slam a sé stante. Comunque ieri, mentre guardavo Sinner contro Djokovic, ho pensato che a Londra giocano sull'erba, a Parigi sulla terra, a New York sul cemento, qui potevano giocare sulla sabbia. Poi ho pensato che forse è il primo torneo di tennis della storia in cui il pubblico è più ricco dei giocatori. E poi, quando a un certo punto la commentatrice ha detto «Sinner è uno che ti viene subito dentro», ho inevitabilmente pensato, anzi detto tra me e me: that's what she said.
18.10.24
Mar dei Sargassi (1345)
Ho di recente scoperto che tutte le anguille europee nascono nello stesso luogo: il Mar dei Sargassi. Non esistono anguille nate in cattività, e "l'istinto riproduttivo è talmente forte che le anguille che vivono in laghi o stagni chiusi non esitano a uscire dall'acqua e a raggiungere il fiume o il mare strisciando come serpenti". Anche le altre anguille, quelle giapponesi, nascono tutte nello stesso luogo, non nel Mar dei Sargassi ma nell'arcipelago delle Isole Marianne. Fino a non molto tempo fa la riproduzione delle anguille era un mistero. L'ho detto al mio amico Giorgio mentre sfogliavo il nuovo menù del ristorante Nuevo, qui a San Paco Llorente, vedendo un secondo a base di anguilla. Giorgio mi è sembrato sbigottito. E le anguille d'allevamento?, mi ha detto. E io: non esistono anguille nate in cattività. E le anguille delle valli di Comacchio?, mi ha detto. E io: Giorgio: Non. Esistono. Anguille. Nate. In. Cattività. Giorgio non poteva capacitarsene. Ha fatto delle sue ricerche ma alla fine si è arreso. Incredibile, ha detto. Che è raro, che Giorgio dica incredibile. Sì, ho detto io, è una cosa magica, e per questo sto pensando di non mangiare mai più un'anguilla: per rispetto. Giorgio non ha detto più niente. Tutto questo mi ha fatto venir voglia di leggere Il grande mare dei Sargassi, che a questo punto - ma come potrebbe essere altrimenti? - spero tanto parli di anguille.
15.10.24
Come diciamo qui a Praga (1342)
Ogni tanto mi scrive un umile lettore di questo umile taccuino elettronico. In genere è per dirmi quanto io sia straordinario, altre volte è per segnalarmi cose che potrebbero farmi ridere (i lettori sanno quanto io ami ridere, e quanto sia incline a farlo). Questa volta mi ha scritto Matylda, una ragazza cieca di Praga. Pubblico in questo appunto la sua mail, perché esprime una richiesta che potrebbe interessare anche altri lettori menomati:
Ciao Joey, leggo sempre il tuo taccuino elettronico, cioè a dire la verità me lo faccio leggere da mia nonna Margareta, ovviamente. Volevo chiederti, siccome la nonna ha una certa età, se puoi scrivere molte più cose sessuali, sessiste o semplicemente volgari, perché vedo che quando lo fai si sganascia (la nonna è misogina e quando inveisce contro le donne si colpisce alla testa con il bastone da passeggio. Anche quando si sganascia si colpisce alla testa con il bastone da passeggio). Infine una curiosità: è per caso prevista una versione del tuo taccuino in braille? Perché anche la nonna è cieca e penso ne trarrebbe beneficio durante la lettura. Se pensi di farlo, affrettati, perché purtroppo non le resta molto da vivere, poverina (sto aggiungendo del tallio alla sua zuppa di barbabietole da questa primavera). Bene, penso sia tutto. Grazie per l'attenzione e, come diciamo qui a Praga, a presto!
10.10.24
Per i bambini (1341)
Domenica sono passato a casa dei miei anziani genitori per vedere se mia madre sa ancora fare il risotto. Di solito entro in casa loro e lo scenario è questo: mio padre che legge sul divano con la tv accesa; mia madre al piano di sotto che cucina con la tv accesa; la tv accesa nella stanza della tv accesa che trasmette programmi con la tv accesa. C'è una cucina anche al piano di sopra, nuova, mio padre l'ha voluta perché, cito, «non ha senso che tua madre cucini al piano di sotto, visto che mangiamo al piano di sopra, e poi così le polpette mi arrivano tiepide e poi è tanti anni che è con me, ormai è una di famiglia», e mia madre appoggiava il progetto, «sì,» diceva «così non devo più fare cinquanta volte le scale e poi mi avvicinerei al mio progetto di avere una casa con solo cucine». Anche quello che vende le cucine appoggiava il progetto, «sì,» diceva «e ne metterei anche una sul terrazzo», e lì apriti cielo, è un vecchissimo progetto di mio padre quello di mettere una cucina sul terrazzo, progetto legato al progetto di chiudere il terrazzo, progetto legato al progetto di costruire poi un nuovo terrazzo, perché, sto sempre citando, «un terrazzo ci vuole». A un certo punto la cucina nuova è stata fatta, mia madre non l'ha mai usata. Commento di mio padre: «Se ne avesse una sul terrazzo la userebbe». Così, dicevo, entro e trovo mio padre come al solito sul divano. Sembra di buon umore. Troppo. Il buon umore è una bella cosa, lo sappiamo, ma esistono due tipi di buon umore, e lui in questo caso sembra di quel buon umore un po' sopra le righe che ti fa pensare: forse le quattordici pastiglie che prende per cuore, pressione, vescica, reni e ginocchia stanno cominciando a interagire in modo erroneo. Il risultato è che non riesco a fare un discorso senza che lui faccia una battuta o un commento molesto. Il bello è che di solito sono io a fare battute e commenti molesti, mentre lui è quello serio. Che cosa sta cercando di fare, penso? Di sostituirsi a me? Questa inversione dei ruoli non mi piace, dunque decido di raggelarlo con una stoccatina. Le stoccatine fanno sempre bene, dovremmo subirne almeno due o tre al giorno, per le buone maniere. In questo caso succede quando cerco di parlare della base segreta più segreta del mondo e lui dice: se è così segreta perché si sa che esiste? Che a rigor di logica è un'osservazione ineccepibile e pure divertente, ma non l'ho fatta io, quindi invece di ridere gli dico: riusciamo a fare un discorso serio? Mio padre si rabbuia. Mia madre intanto dice: «Interessante. Sai che ho visto un filmato di un laboratorio segreto dove tengono tutti i virus? E a proposito: Giovanna ha il raffreddore, l'ho vista stamattina dalla parrucchiera, parrucchiera che, mi ha detto, ha comprato un tosaerba, non lei, suo marito, che si chiama Alberto, come tuo cugino, ricordi quando giocavate a ping-pong? Vuoi altro risotto?». Mia madre, se le lasci dieci secondi, parte dal discorso della base militare segreta e arriva a come cucina le scaloppine la sua amica Maria, e se tu allora dici va bene, parliamo di scaloppine, dopo altri dieci secondi sta parlando di pulizia dei tombini. Così, stoccatina anche per lei: «Stiamo già parlando d'altro?» le dico con tono di rimprovero. Lei si mortifica, io non mi sento in colpa perché come rimproveri è ancora in largo vantaggio, mentre siamo quasi pari con gli scappellotti. Che poi non avevo altro da dire, sulla base segreta, essendo segreta. Invece, visto che domenica prossima sono lì da loro con i miei amici - sei adulti e trentanove bambini -, mi metto a parlare di quello e le chiedo cosa pensa di fare. «Faccio la polenta con i funghi» dice lei. «Non mi piacciono i funghi,» dico «ma ok, agli altri piacciono. Potresti fare anche la verza come la fai di solito a me,» suggerisco «è buonissima». «No,» dice lei scuotendo la testa «la verza non si fa agli ospiti». Mio padre mi guarda e sorride come a dire: ora chi è lo scemo? «Perché?,» le chiedo. Mia madre scuote di nuovo la testa come a dire eppure sembrava intelligente. «Piace a te,» mi fa, «ma non è adatta a un pranzo con ospiti, è un mangiare povero». Resisto alla tentazione di dire che polenta e funghi, invece… «Va be',» taglio corto «fa' quello che vuoi». Lei si rasserena, quindi va di sotto e poi torna su con una padella, io mi metto a leggere delle cose sul cellulare. Normale che loro abbiano nove portate, mentre io una. Alla fine, di solito, mia madre comincia a dire: «Non so perché non dimagrisco». Affermazione provocatoria alla quale solo un novellino penserebbe di controbattere. Quando alzo gli occhi dal cellulare, vedo che stanno mangiando della verza. Mio padre dice a mia madre: «Buonissima». Mia madre continua a mangiare senza commentare. «Scusa un po'» le dico. Lei mi guarda. «Non capisco, è una gag? Mi hai appena detto che la verza non va bene, e ora ve la state mangiando?». Lei scuote la testa. Anche mio padre scuote la testa. «Domenica faccio le patatine fritte» dice lei. «Cosa c'entra?» chiedo. E lei: «Per i bambini».
8.10.24
Poliziotto buono (1339)
Oggi stavo facendo colazione con la mia amica Carla al Cerveza Enojada, quando si è avvicinato un tizio con delle collanine che, fondamentalmente, voleva i nostri soldi. (Sulle tecniche che usano questi venditori ambulanti per estorcere il denaro - o questi estorsori ambulanti per vendere la loro merce - alla gente tornerò un'altra volta con plastici e grafici). Il tizio mi ha detto «compra una collanina», ho detto no. Mi ha detto «dammi dei soldi», ho detto no. Mi ha offerto di stringergli la mano, ho detto no. Mi ha fissato per sette secondi, ho detto no. Allora si è rivolto a Carla, che gli ha detto: «E lui era il poliziotto buono». Così il tizio se n'è andato. Prima di andarsene mi ha comunque toccato la schiena con la mano, probabilmente perché al suo paese è il modo di mandare le maledizioni ma, del resto, qui a San Paco il modo di mandare maledizioni è toccare le mani con la schiena.
3.10.24
Sono io (1338)
Sono già due o tre persone che mi dicono «Dovresti prendere un secondo gatto per far compagnia a Gâteau». «Sono io il secondo gatto» rispondo.
1.10.24
29.9.24
Più grave di morto (1335)
Ieri sera ho rivisto Passengers, un film in cui Chris Pratt e Jennifer Lawrence sono gli unici passeggeri svegli - su cinquemila - di una nave spaziale diretta su un nuovo pianeta abitabile. Sono svegli perché le loro capsule di ibernazione si sono rotte prima del tempo, il che è un bel problema, perché mancano novant'anni all'arrivo. Questo mio appunto contiene ogni tipo di spoiler, ma in fondo è un film da 6 del 2016, non è che adesso non si può parlare di un film qualunque perché qualcuno non l'ha visto. Fosse Il sesto senso capirei, ma Passengers, voglio dire, cosa c'è da spoilerare? Vi faccio alcuni esempi: secondo voi Chris Pratt e Jennifer Lawrence scopano? Secondo voi litigano? Al massimo il dubbio è: prima litigano e poi scopano o prima scopano e poi litigano? Poi: il film comincia con una tempesta di asteroidi che colpisce la nave, danneggiandola, il che porta al guasto nella capsula di Chris, che si sveglia. Secondo voi perché poi si sveglia anche Jennifer Lawrence? Poi: secondo voi i due moriranno? O uno dei due. Oppure vivranno entrambi e si ameranno e si sposeranno? A un certo punto effettivamente Chris muore. Secondo voi sulla nave spaziale c'è una tecnologia per riportarlo in vita? Eccetera. Capite che ci sono dei film impossibili da spoilerare, sai tutto già dalla sinossi. Ah, sì, secondo voi ci sono dei momenti di azione? Ci sono delle esplosioni? Delle fastidiose musiche extradiegetiche? Ci sono delle assurdità astrofisiche? Bene. Dopo questa doverosa premessa - era solo una premessa, ma potrebbe essere più lunga di quello che volevo dire -, vengo al punto, che non è un gran punto, in realtà quello che volevo dire è che un paio di cose mi hanno fatto ridere. Una è quando la nave spaziale passa vicinissima a una stella. Chiaro che, nel futuro, vale tutto: eh, sai, è stato inventato un materiale che resiste ad altissime temperature, quindi una stella puoi anche attraversarla e al massimo i passeggeri ne escono gradevolmente abbronzati. E così via. Però, non so, sembra comunque una stronzata. Poi c'è una scena in cui Chris si fa un volo nello spazio, legato solo a un cavo metallico agganciato alla tuta (perché, visto che siamo nel futuro, non farlo direttamente volare senza tuta e senza cavo? Puoi dire che è stata inventata una pillola che ti permette di farlo), poi torna a bordo. Intanto la nave va, ruota e così via, a uno verrebbe da dire: ma se si attorciglia da qualche parte? Se arriva un sassolino? Invece va tutto liscio. Solo che poi, quando c'è anche Jennifer, Chris, per fare colpo (infatti poi scopano), fa fare il volo anche a lei (scopano una volta rientrati a bordo, non mentre fluttuano nello spazio, anche se potevamo aspettarcelo), i due se ne vanno mano nella mano con questi due cavi metallici che allora dici: eh no, qui si attorcigliano di sicuro e tanti saluti. Invece no. Un'altra cosa che fa ridere è che a un certo punto devono sistemare un pericoloso guasto al reattore, e hanno poco tempo per farlo. Questa è la parte d'azione del film, che per me sono le parti più noiose e ridicole. Viene fuori che tutti gli incredibili e pericolosissimi problemi che ha avuto la nave sono dovuti a una scheda che va cambiata, tipo la lavastoviglie. Tra l'altro non si capisce a cosa serva avere a bordo i pezzi di ricambio, se per tutti i centoventi anni di viaggio tutti dormono. Chris dice a Jennifer: quando tolgo la scheda, la nave resterà senza (corrente?) energia (ah, giusto), dobbiamo essere molto veloci nel sostituirla, ok? Ok, dice Jennifer. Ok, dici tu, e pensi: boh. Così Chris toglie la vecchia scheda, va via la luce (energia) un secondo, mette la nuova ed è fatta. E pensare che sono stati due anni con dei cali di tensione, che Chris quando li vedeva faceva spallucce, io mi sarei cacato sotto, perché sei nello spazio, da solo, non è che se la luce va e viene puoi dire be' adesso non ho voglia, se poi salta tutto chiamo l'elettricista. Comunque, e ho quasi finito, viene fuori che il cambio di scheda ha risolto solo parzialmente il problema, bisogna abbassare la temperatura del reattore e per farlo bisogna aprire un portellone per fare uscire le fiamme ma il portellone è bloccato e chi ci va fuori nello spazio ad aprirlo a mano? Jennifer? Col cazzo. Ci va Chris. Ma è giusto, perché come avrete capito è stato Chris a manomettere la capsula di ibernazione di Jennifer, per (scoparsela?) avere un po' di compagnia, e quindi lei ha il dente avvelenato - domanda spoiler: le passerà? -, e lui il senso di colpa, in più, leggera venatura sessista, chi fa i lavori manuali in casa? Mentre Chris spiega a Jennifer il tipo di complicato intervento che va fatto (girare una maniglia e aprire un portellone) Jennifer lo guarda come a dire: ah io non capisco niente di queste cose tecniche, tu risolvi il problema così posso usare il forno per fare una torta. Comunque Chris va ad aprire 'sto portellone e si porta dietro uno sportellino metallico da usare come scudo per proteggersi dalla fiammata incandescente di un reattore termonucleare. Secondo voi questo lo ucciderà? Esatto. Però poi alla fine sì, cinque minuti dopo morirà. Jennifer va a recuperarlo nello spazio, lo porta in infermeria dove c'è un robodottore, ce lo mette dentro e il robodottore dice: «Il passeggero è deceduto». Jennifer piange. Ma lì ha un'idea e avvia le procedure per la risurrezione (siamo nel futuro) del paziente. Sul display del robodottore c'è un menù come da McDonald's, che so, riparazione tessuti, ossigenazione, ripristino cardiaco, pulizia dentale, patatine small. Jennifer li seleziona tutti e il robodottore dice: «Attenzione, selezionare tutte le operazioni in una volta può essere pericoloso». Questa è la cosa che mi ha fatto ridere di più. Pericoloso quanto? È morto. Mi ha ricordato questa gag dei Broncoviz. Uno cosa dovrebbe dire? Ah ok, allora non faccio niente, lo lascio morto, non vorrei far danni. Jennifer ignora il computer e Chris (domanda spoiler: risuscita?) risuscita. A quel punto scopre che il robodottore può ibernare le persone (gli viene in mente solo ora e dopo due anni e aver scongelato Jennifer, ma bastava scorrere il menù del robodottore, probabilmente la prima cosa che avrei fatto quando cercavo un modo di rincongelarmi e ripartire, anche se, certo, la scheda guasta... saremmo morti tutti, ma non ce ne saremmo accorti) e propone a Jennifer di tornare a dormire per completare il viaggio, ovviamente c'è un solo robodottore, come fa notare Chris mentre Jennifer è già nel robodottore con il pigiama e gli occhi chiusi, quindi Chris si sacrificherà per lei, e in questo modo la sua redenzione sarà completa (e il robodottore penserà: ma che cazzo, per una volta che riesco a risuscitarne uno…). Ultima domanda spoiler: Jennifer accetterà di riprendere il viaggio lasciando Chris solo sulla nave o resterà con lui? (O gli cederà il posto? Rido). A voi la soluzione del complicato dilemma. Comunque, anche se non si direbbe, il film mi è piaciuto.
26.9.24
Stanno bene (1334)
Ieri sono passato a casa dei miei anziani genitori per vedere come stavano. Sono sceso dalla macchina e la situazione era questa: mio padre in giardino che urlava ripetutamente il nome di Bigio, uno dei loro gatti, nel tentativo di trovarlo; mia madre in cortile che urlava ripetutamente il nome di mio padre nel tentativo di trovarlo; Bigio davanti alla porta di casa che miagolava ripetutamente i nomi di mia madre e mio padre nel tentativo di trovarli. Sono risalito in macchina e sono andato via.
22.9.24
Samanthe (1333)
Oggi ho visto passare una macchina che mi è piaciuta molto, ma ho cercato di nasconderlo per non farmi vedere dalla mia, di macchina, che comunque mi piace anche lei e ce l'ho da una vita e spero che duri ancora a lungo. La macchina che ho visto passare era azzurrina. Ho pensato: così però tutti sapranno dove vai. Però mi sono detto: Ma tutti chi? Conosci tre persone in croce. Forse però così mi conosceranno come Azzurrino. Ehi, ecco Azzurrino. Dove te ne vai, Azzurrino? Eccetera. Me ne frega qualcosa?, mi sono chiesto. No, mi sono risposto. E ho suonato il clacson. Come in quella pizzeria che, siccome ordinavo sempre la Margherita, a un certo punto la cameriera mi chiamava Margherita. Margherito, se mai, ho detto io, ma niente. Così ho cominciato a fare ogni tipo di variazione, tipo entrare e dire: «Una Capricciosa!». E lei: «Davvero?!». E io: «No». Oppure: «Stasera ti stupirò!». E lei al pizzaiolo: «Montenegro, una Margherita!». Eccetera. Poi non sono più andato a prendere la pizza lì, e il motivo è che ho smesso di mangiare la pizza perché mi ero convinto di essere intollerante al lattosio, anche se poi dopo qualche mese ho detto ma sarò davvero intollerante al lattosio?, e per curiosità ho ingerito del lattosio e poi ho detto: no. Così ho ripreso a mangiare la pizza solo che per puro caso nel frattempo ho trovato una pizza migliore. Si chiederanno, le persone che lavorano in una pizzeria dove vai sempre e dove a un certo punto non vai più, perché non ci vai più? È una specie di ghosting? Si diranno, affranti: «Perché non viene più Margherito? Cosa abbiamo sbagliato?». E magari cambieranno ricetta, impasto, mozzarella, cameriera, tutto. Niente, si saranno risposti, perché la gente è subito pronta ad autoassolversi, e si saranno offesi. Che poi tu cerchi sempre di non offendere gli altri, mi sono detto, ma gli altri non si preoccupano allo stesso modo di non essere offendibili. Ricordo che una volta, tanti anni fa, io e una mia fidanzata che chiameremo Samantha siamo andati tre volte in una settimana nella stessa pizzeria e il proprietario per fare il simpatico alla terza volta ci ha detto: «Ma voi, cucinare, mai?». E non ci siamo più andati. Il che potrebbe far pensare che io sia permaloso. La mia amica Paola mi ha detto che sono permaloso, giorni fa. La cosa mi ha scioccato, perché non è assolutamente vero, e per dimostrarglielo sono andato a riprenderle il berretto, dopo che in un primo momento gliel'avevo buttato nel cestino dell'immondizia. Però, le ho detto mentre ripuliva il berretto, è una fregatura se ti dicono che sei permaloso, no? Perché non puoi prendertela. E a proposito di Samantha, non la finta Samantha, ma una vera Samantha (credo), ricordo che una volta ho fatto una presentazione e al tempo stavo con un'altra fidanzata, che per comodità chiameremo anche lei Samantha, e con cui non andavo più tanto d'accordo, e alla fine della presentazione era venuta a parlarmi una certa Samantha, una vera Samantha, che mi guardava con occhi brillanti perché non aveva ancora avuto modo di conoscermi a fondo, e io avevo pensato: ma che brillantezza, gli occhi di questa qui (magari aveva solo la congiuntivite, penso ora), sarebbe bello adesso andare avanti a parlare con Samantha, andare a bermi sei sette birre con Samantha, e poi tornare a casa con Samantha, ma non posso, perché sto con Samantha, non sarebbe carino né, in pratica, fattibile, o forse è solo che non ne avrei il coraggio, e così avevo salutato Samantha senza dire altro, e poi Samantha, ironia del destino, mi aveva lasciato pochi giorni dopo. E tutto questo, non mi chiedo come mai, mi ha fatto venire in mente che tanti anni fa, che non stavo con nessuna Samantha, vera o falsa che fosse, ero qui dove sono adesso e stavo scrivendo un libro di racconti bevendo del tè e ascoltando questa canzone, e mi sono detto: che bella giornata, fissiamo nella memoria che questa qui è una bella giornata e cerchiamo di averne altre. E infatti ancora adesso me lo ricordo, ma non sono più riuscito ad avere altre giornate esattamente come quella, forse perché ogni giornata, proprio come ogni Samantha, è unica. So che in tutto questo c'è un'importante lezione di vita che dovrei aver imparato, ma non la trovo, e la vita intanto sta passando; mi chiedo se arriva un punto in cui ti rendi conto che imparare qualcosa ormai non serve più a niente, e magari è un punto bellissimo. Ah, la macchina era questa. Purtroppo, se ho capito bene, azzurrina non la fanno più.
19.9.24
Cosa pensa il dizionario (1332)
Ma quando vai sul dizionario, quando ti rechi con gran fatica fino alla pagina internet del dizionario, e con estrema accuratezza digiti il termine che ti interessa, per esempio "megalomane", perché vuoi vedere il significato esatto di "megalomane", e il dizionario, che ha capito benissimo cos'è che vuoi sapere, invece di dirtelo, ti dice "persona affetta da megalomania", ma cosa pensa, il dizionario, che la gente ha del tempo da perdere?
16.9.24
Cubetti a forma di corno (1331)
Ho visto un video dove c'è un tizio di una pasticceria diventata famosa perché fa i cornetti a forma di cubo (anche se un cornetto che non sia a forma di piccolo corno ma di piccolo cubo andrebbe chiamato cubetto) e la Gente è uscita di testa, sembra. Il tizio ha detto con orgoglio «siamo stati i primi a farlo». Mi ha fatto ridere. Non ho capito se sono stati i primi a fare il cubo, che però secondo me c'era già, o se forse intendeva che sono stati i primi a fare il cornetto a forma di cubo, ma non sarebbe vero, essendo l'invenzione di un tizio libanese, ho letto, che poi magari sarà stato preceduto dalla nonna di qualcuno, solo che non c'era Instagram. Comunque, visto il successo, qualcuno ha cercato subito di copiarlo e una pasticceria di un'altra città, la pasticceria del signor Gastaldelli, ha fatto i cornetti a forma di piramide, ma la Gente l'ha snobbato. «Mm, roba già vista. La piramide esiste dal tempo degli egizi» ha detto la Gente. Il cornetto a forma di cubo è abbastanza grande, tanto che è impossibile da infilare in bocca o da mordere e va mangiato con le posate e ovviamente non si può nemmeno intingere, che comunque sarebbe inutile. Per risolvere il problema si sta pensando di fare anche il cappuccino a forma di cubo, cosa non semplice, come si può immaginare. Un'altra soluzione potrebbe essere quella di farcire il cornetto a forma di cubo con il cappuccino stesso. A ogni modo queste piccole difficoltà non hanno turbato la Gente, che si accalca fuori dalla nota pasticceria giorno e notte. Sembra che la coda arrivi fino alla pasticceria di Gastaldelli, tanto che un giorno Gastaldelli si è avvicinato all'ultimo della coda, che anche se di schiena era praticamente dentro la pasticceria, e gli ha detto: «È qui per il famoso cornetto a forma di piramide?». Ma l'ultimo della coda senza neanche girarsi ha detto: «No, sono qui per un altro cornetto che dicono abbia una forma mai vista, ma non so che forma sia». «Penso sia solo un cubo» ha detto Gastaldelli, un po' invidioso. «Un cubo?! Wow!» ha detto l'ultimo della coda, eccitandosi come non mai.
13.9.24
Breve recensione di un treno regionale (1330)
Era un po' che non prendevo un treno regionale. Mi avevano detto che i treni regionali adesso sono belli. Belli come?, ho chiesto. Eh, mi hanno detto, pavimenti in marmo, finestrini in cristallo, sedili in cashmere. E io: sì, ma chi ci viaggia? E loro: scolopendre. Il treno era affollato e c'era solo la seconda classe. Sui regionali oggi è consentito: mettere i piedi - nudi e no - sul sedile di fronte, se libero, sul passeggero di fronte, se occupato. Consentito anche farsi la toilette senza andare alla toilette (probabilmente occupata da un passeggero sprovvisto di biglietto, di permesso di soggiorno, di impronte digitali ma provvisto di vaiolo delle scimmie, una scimmia e un machete). I passeggeri dunque si profumano, si ricoprono i corpi sudati di oli e creme, si tagliano unghie, barbe, peli nasali, si mettono il deodorante sotto le ascelle. In carrozza si possono mangiare cose sbriciolando su altre cose, puoi mangiare il tuo panino sbriciolando sul panino di un altro passeggero, il quale non batterà ciglio o, immagino, darà in escandescenze, e guardare film a tutto volume, che a me i film piacciono, peccato solo non sapere il kirundese. Periodicamente viene diffuso un messaggio registrato che avverte i passeggeri che il personale del treno è munito di bodycam e che è un reato aggredirlo se chiede di mostrare un biglietto valido (o in generale). Personale del treno che comunque non si fa vedere. Ah, è stato inserito il check-in prima di salire a bordo, in questo modo potete spostare il viaggio quante volte volete, tipo per sempre. Naturalmente questa è solo la mia personale esperienza di viaggio su un singolo treno regionale lungo una singola tratta in un singolo giorno dell'anno, nulla vieta che il treno regionale successivo fosse così, e i suoi viaggiatori tutti così.
8.9.24
Beluga (1328)
Leggo che in Norvegia è stato trovato morto un beluga che la Russia aveva addestrato per operazioni di spionaggio. Cioè, leggo che la Russia aveva addestrato un beluga per operazioni di spionaggio. E poi sì, che il beluga è morto. Per chi non lo sapesse (ma anche per chi lo sa), un beluga è un grosso cetaceo bianco. Come al solito, la Russia ha risposto all'accusa definendola ridicola. E ti pareva che la Russia ammettesse qualcosa. La Russia ha detto che non pratica spionaggio e che, se lo praticasse, non si affiderebbe certo a un pesce. La Norvegia ha risposto che i cetacei sono mammiferi. La Russia ha detto: è uguale. La Norvegia resta comunque dubbiosa. Il beluga è stato trovato morto in una camera d'albergo di Oslo. A trovarlo è stata la donna delle pulizie. Le cause della morte non sono ancora note e verrà effettuata un'autopsia venerdì.
3.9.24
Sgombro sinergico (1326)
Questa mattina sono passato da Zia Mariuccia, stava preparando un minestrone. Ma non c'è caldo per il minestrone?, le ho chiesto. Lei mi ha detto che proprio perché c'è caldo si fa il minestrone, come i beduini che bevono il tè. Faceva troppo caldo anche per indagare. Tu che ti fai di buono, oggi?, mi ha chiesto. Mi farò una pasta, le ho detto. Con cosa?, mi ha chiesto. Non ho mai capito questa fissa che hanno certe vecchiette per il cibo. Parlano ore di cibo. Parlano di quello che si faranno da mangiare, ne parlano mentre lo fanno, mentre lo mangiano, ne parlano dopo e, quando hanno finito di parlarne, cominciano a parlare di quello che mangerebbero o mangeranno. Perché siete fissate col cibo?, le ho chiesto una volta. Perché durante la guerra non avevamo niente da mangiare, caro mio, ha detto lei. Ma tu sei del '58, le ho detto. Eccetera. Stamattina invece non avevo voglia di farla tanto lunga. Con sgombro e zucchine, le ho detto allora. Sgombro in scatola?, ha detto lei alzando un sopracciglio. Eh? No, le ho detto io, sgombro fresco, appena pescato. Sì?, ha chiesto lei, piacevolmente sorpresa. Sì, zia, le ho detto. E lei: eh ma guarda che al supermercato magari ti dicono che è appena pescato, però tu lo sai riconoscere? Perché l'occhio deve essere in un certo modo, la pelle in un certo modo, lo devi annusare... Lo so che è appena pescato perché me lo pesco da me, le ho detto. Lei qui mi ha guardato storto. La mattina mi alzo alle due, le ho detto, guido due ore fino al mare, poi una volta là affitto una piccola imbarcazione e ovviamente tutta l'attrezzatura, mi spingo al largo remando a mano, senza l'aiuto di bombole di ossigeno, perché lo sgombro migliore lo trovi solo al largo, dove non c'è mucillagine, e solo remando tu stesso, quindi sto lì a galleggiare in mezzo alle petroliere finché pesco lo sgombro - uno sgombro solo, perché non riesco a mangiarne di più e odio sprecare il cibo, c'è così poco cibo nell'universo... -, quindi torno a riva sul dorso dello sgombro dopo aver affondato l'imbarcazione, poi guido per altre due ore, ci diamo il cambio, fermandoci dieci minuti all'autogrill a fare colazione - allo sgombro ordino una tazzina di trito di aglio, cipolla e rosmarino con un dito di vino bianco, e per indurlo a bere gli dico, accarezzandogli la testa, bevi, ti fa bene, e lui allora beve, sospettoso -, arrivo a casa, metto lo sgombro a marinare vivo un giorno intero con limone, timo e sgombro in scatola, poi il giorno dopo, cioè oggi, siccome lo sgombro dopo un giorno di marinatura è morto o comunque collassato, lo salto in padella e ci faccio la pasta con le zucchine coltivate da me biologicamente nel mio orto sinergico, è buonissimo. Zia Mariuccia è rimasta un po' in silenzio, lì a rimescolare il suo minestrone. Il minestrone intanto ribolliva. Ho preso una coca mini dal frigo, l'ho bevuta in un paio di sorsi, Zia Mariuccia sempre lì che mescolava, pensierosa, poi sono andato via.
28.8.24
Di solito (1325)
Ieri il mio anziano padre mi fa: «Hai mai visto Dark?». «No,» gli dico «è bella?». E lui: «Mah, non ci ho capito niente, e di solito quando non ci capisco niente vuol dire che è bella». Mi ha fatto ridere.
26.8.24
Come farsi mordere dal ragno violino (1324)
Adesso va di moda parlare del ragno violino. Dico subito che è un mio spauracchio da molto prima che ogni giorno comparisse una sua foto sul giornale, e aggiungo che non mi piace nominarlo, perché non vorrei evocarlo. Comunque se dovessi evocarlo, mentre mi imbottisco di antibiotici mi consolerei pensando che ho un grande potere: evocare le cose nominandole. Proverei subito con: Scarlett Johansson! Venisse fuori che posso evocare solo ragni violino, va be', sarebbe comunque un potere, tipo se qualcuno mi fa arrabbiare. Venisse fuori che posso evocare solo ragni violino nel mio letto, allora va bene, hai vinto, ragno violino. Detto tutto questo, vengo al dunque: mi fanno ridere le cose che dicono i giornali o gli esperti. Per esempio: come riconoscere un ragno violino? Semplice, dicono: ha sei occhi invece di otto come i comuni ragni. Bello, grazie. A che distanza devo stare dalle zanne del ragno, per contare gli occhi? Per sapere. Praticamente per capire se un ragno violino è un ragno violino, devo mettermelo in un occhio. Inoltre, come ha osservato giustamente la mia amica Paola: "Mio Dio! Neanche sapevo che i ragni avessero più di due occhi!". Dunque la situazione è, se possibile, peggiorata. Sembra che ogni cosa che dici sul ragno, il ragno ne esca peggio. Quando leggo la cosa degli occhi, penso: sarà dura contare quanti occhi ha, dopo che l'ho spiaccicato col ferro da stiro. Perché se vedo un ragno non sto lì a improvvisarmi aracnologo, uno dei due non uscirà vivo dalla stanza, e finora eccomi qua. Mi piacciono anche quelli che dicono: se vedete un ragno violino - o un ragno - non uccidetelo, sono animali meravigliosi e molto preziosi! Mi ha sempre fatto ridere, questa. Facciamo così: smetterò di uccidere i ragni potenzialmente letali solo quanto questi, vedendomi, diranno: no, non mordiamolo, è un animale meraviglioso e molto prezioso! Fino a quel giorno, è guerra. Coi ragni sono stato chiaro sin dall'inizio: se non mi entrate in casa, vivete; se entrate, morite. Eh, mi ha detto qualcuno, hai messo un cartello? I ragni mica leggono. E io: non c'è bisogno di leggere, l'ho solo pensato. Il ragno sa bene perché muore, quando lo schiaccio. Io so perché muoio quando mi ha morso. È la natura. Dicono: ma solo poche specie sono mortali, in Italia. Questo mi rafforza solo nella mia convinzione di non andare mai in Australia. Altre cose buffe che vengono dette: il ragno violino è schivo, non è aggressivo, morde solo se infastidito. Va bene, penso, non lo infastidirò. Poi leggo: ama nascondersi nelle scarpe, tra le lenzuola, nei pacchetti di patatine, nelle orecchie della gente. Eh, ok. Quindi se nella mia casa metto un mio piede in una mia scarpa, sto infastidendo il ragno? E poi questo sarebbe essere schivo? Sono schivo, mi nascondo ai concerti di Taylor Swift. No. Per me essere un ragno schivo significa che vivo sull'Himalaya, non nelle case, tra le lenzuola. Poi: di giorno sta nascosto, di notte esce. Molto tranquillizzante. Praticamente è un ragno potenzialmente letale invisibile che va a caccia quando siamo incoscienti. Ma torniamo al concetto di fastidio: è molto relativo. Ci saranno ragni che sono infastiditi con tanto, ragni con poco, come gli umani. Considerato che il tanto di un ragno violino, come detto, è infilarci le nostre scarpe. Il poco cosa sarà? Che ascolto musica? Mi immagino il ragno violino - che vive a sbafo nascosto in casa mia - che dice alla moglie: «Cara, questa musica ci sta infastidendo, no? Voglio dire, è fastidiosa, non credi?». E lei: «Non riesco a chiudere occhio, e tra poche ore dobbiamo cacciare». E lui: «Penso sia il caso di morderlo. Sai quanto io detesti necrotizzare le facce delle persone, però, insomma, tutte le sere questa storia». Dicono anche che morde se si sente minacciato. Non so, ma non ho l'abitudine di minacciare i ragni. Mi immagino di girare per casa gridando «Ehi, ragno violino, so che ci sei, che sei nascosto! Be', se ti becco ti faccio fuori, hai capito?!». E il ragno violino: «Cara, ma ci sta minacciando?». E lei: «Sembra di sì, caro». E lui: «Stanotte lo mordo».
Insomma abbiamo in casa un ospite non invitato abbastanza irascibile e potenzialmente letale. Qui mi vengono in mente certi esperti che dicono: i morti per colpa del ragno violino, negli ultimi anni, sono stati soltanto due. Lo dicono come se la cosa fosse trascurabile o tranquillizzante, ma io penso solo: quindi si può morire. Per un ragno. Immagino il ragno che legge questo mio appunto. Finisce di leggere, sospira, poi dice: «Questo articolo mi ha infastidito». Poi chiude il giornale e va in bagno a prepararsi. Mi piacciono anche i consigli: scuotere le lenzuola prima di coricarsi, controllare le scarpe prima di infilarle, gli indumenti prima di indossarli, tutte cose che uno potrebbe fare se il ragno violino fosse l'unica minaccia sul pianeta. E comunque tutti i consigli che vengono dati sono consigli perdenti, che non tengono conto delle caratteristiche del nemico (perché quando un morso può crearti un "buco necrotico profondo anche diversi centimetri" che può richiedere "l'amputazione dell'arto", dove per "arto" si intende anche la "testa", per me siamo di fronte a un nemico), ecco invece cosa farò io d'ora in avanti:
Il ragno violino si rintana nelle scarpe? Bene. Le scarpe che uso vanno nelle scarpiere, mentre in giro per casa lascerò scarpe con solette adesive. Si nasconde di giorno ed esce di notte? Ottimo. Allora dormirò di giorno e starò sveglio di notte. Teme la luce? Magnifico. Starò sveglio di notte con tutte le luci accese. Si consiglia di rimuovere gli insetti morti perché attraggono il ragno violino? A parte che non è mia abitudine lasciare insetti morti in giro per casa, comunque gli unici insetti morti in giro per casa saranno ragni violino, anche se lo so, non sono insetti, i ragni. Animali morti, allora. E a proposito di questo, mi riempirò la casa di predatori naturali del ragno violino: uccelli, gechi e ragni lupo (che, considerata la regola sui ragni, ucciderò). Ultimo consiglio degli esperti: pulire la casa. Sì, questo va bene.
23.8.24
Perfect toilets (1323)
Allora, tempo fa il mio amico Giorgio mi aveva detto che gli era piaciuto Perfect days, l'ultimo film di Wim Wenders. Giorgio non mi aveva detto che era di Wim Wenders, altrimenti avrei segnato mentalmente non guardare Perfect days, invece di guardare Perfect days. E questo perché i film di Wim Wenders, giusto o sbagliato che sia (giusto, comunque, ndr), non mi piacciono. L'ultimo che ho visto è stato The million dollar hotel vent'anni fa e mi ero detto: con Wim siamo a posto così. Poi, dopo, ho visto che Perfect days aveva delle valutazioni alte su Imdb sia da parte della Gente (7.9) sia da parte della critica (8. The million dollar hotel, invece, ha 5.7 della Gente e 2.5 della critica, il che mi consola). E poi la sinossi - un tizio che pulisce i cessi a Tokyo - mi sembrava originale, ma perché la domanda in questi casi è: come si riesce a fare un film interessante da un soggetto del genere? Risposta: non si riesce. Cioè, non Wim Wenders. Ma ho la sensazione che Wim Wenders riuscirebbe a non riuscirci anche da questo soggetto: "Costretto sulla sedia a rotelle da un incidente sul lavoro, che gli ha procurato la frattura di una gamba, un fotoreporter d'azione passa il tempo spiando col teleobiettivo i suoi vicini di casa", o da questo: "Dom Cobb possiede una qualifica speciale: è in grado di inserirsi nei sogni altrui per prelevare i segreti nascosti nel più profondo del subconscio", anzi tremo all'idea di cosa potrebbe farci Wim. Così una sera ho cominciato a guardarlo. Perfect days, dico. Ne ho visto metà, il film dura in tutto due ore. Poi sono andato a letto, dubbioso. Volevo fare un commento su questa prima metà, che non vuole essere un commento sul film per intero, solo sulla prima metà, che comunque è un'ora di film e della tua vita. Intanto la sinossi corretta, se volete presentarlo agli amici, è: un uomo che non spiccica una parola pulisce i cessi pubblici a Tokyo. Quel "che non spiccica una parola" è importante, perché in pratica per un'ora vi ritroverete a guardare questo tizio dalla faccia simpatica - o giapponese che dir si voglia - ma molto silenzioso che pulisce cessi pubblici a Tokyo. Ok, il tizio è un osservatore, quindi, va be', nota le piccole cose, che so, il cielo, le foglie, la gente. Ma come tutti. Fa anche delle foto, ma come tutti. Poi ci sono due o tre personaggi che ogni tanto compaiono. Questo per dire che è noioso come sembra, il film, almeno la prima metà, poi magari diventa Pulp Fiction, non lo so. Certo che uno parte con tutta la buona volontà del mondo, se non sa che il film è di Wim Wenders, e vuole che il film gli piaccia, perché noi spettatori non desideriamo altro: film che ci piacciono. Ma dopo un po' devi arrenderti. Uno pensa pure: bella Tokyo, e che misterioso e affascinante il Giappone, anche se di Tokyo sostanzialmente si vedono un po' di strade, una torre e ovviamente i cessi pubblici, che comunque sono molto originali (ma sono pur sempre cessi), tipo questo:
Il giorno dopo ho scritto a Giorgio: ehi, gli ho detto, se non sbaglio tempo fa mi avevi consigliato Perfect days dicendomi che ti era piaciuto, ma ne ho visto metà e mi sembra un po' un polpettone, sbaglio? E lui: sì, polpettone. E io: ma ti era piaciuto. E lui: no.
o questo:
Il giorno dopo ho scritto a Giorgio: ehi, gli ho detto, se non sbaglio tempo fa mi avevi consigliato Perfect days dicendomi che ti era piaciuto, ma ne ho visto metà e mi sembra un po' un polpettone, sbaglio? E lui: sì, polpettone. E io: ma ti era piaciuto. E lui: no.
19.8.24
Spostarsi (1321)
Qualche giorno fa, un po' a sorpresa, l'Ucraina ha invaso la Russia e ne ha occupato un pezzetto. La Russia a sua volta un po' meno a sorpresa aveva invaso l'Ucraina, occupandone dei pezzetti. Se la Russia e l'Ucraina fossero di eguali dimensioni, ciascuna potrebbe continuare a occupare pezzetti dell'altra, finché tutta la Russia sarebbe in Ucraina e tutta l'Ucraina sarebbe in Russia. Anche con le attuali dimensioni, comunque, quando la Russia avrà occupato tutta l'Ucraina, tutta l'Ucraina si sarà trasferita in territorio russo. A quel punto è facile immaginare che le truppe russe si sposteranno sul territorio ucraino in Russia per riappropiarsene, ma le truppe ucraine potranno allora rioccupare gradualmente il territorio ucraino originariamente ucraino ma temporaneamente russo. L'Ucraina tornerà al proprio posto quando la Russia avrà ristabilito l'integrità della Russia e la Russia dovrà allora ricominciare da capo nell'occupazione dell'Ucraina. È un'ottima strategia, per uno stato che viene invaso. Quella di spostarsi, dico. Specialmente nel territorio di chi ti ha invaso. A un certo punto la Russia capirà che l'Ucraina non è conquistabile, solo spostabile, e forse la lascerà perdere.
13.8.24
Acqua (1320)
Apro Wired e il primo titolo è: «Su Marte c'è acqua». Sulla colonna di destra leggo un secondo titolo: «Manca l'acqua in molte zone d'Italia». Mi ha fatto ridere.
Smorbi (1319)
Oggi pranzo in famiglia con i miei anziani genitori, mio fratello e sua moglie, Zia Mariuccia e un paio di altre coppie che suppongo fossero parenti, magari tra loro, non so (mio padre è il ventinovesimo di ventinove figli e io non credo nelle parentele). A un certo punto viene messa in tavola l'insalata di riso e mio fratello dice: «Chissà chi è il più smorbi, tra noi». Smorbi, o smorbio, è una parola in dialetto piacentino o pavese, alcuni dicono lodigiano e milanese, altri piemontese, anche questo non lo so, per dire schizzinoso, o schifiltoso, col cibo. Allora io, facendomi passare l'insalata di riso, dico: «Già, chissà chi è!». A quel punto cala il silenzio e tutti si girano a guardarmi. Io allora li guardo a mia volta. «Ah, sarei io?» dico. E loro: «Eh!». «Mm,» dico «non lo so mica». Poi chiedo alla mia anziana madre: «Di che marca sono i sottoli nell'insalata di riso?». E lei: «I carciofini sono Saclà, le olive sono Polli». «Ok,» dico «bene. E il condiriso? Vedo che c'è del condiriso». E lei: «Il condiriso è Berni». E io con una mezza smorfia: «Mm, Berni, insomma…». E lei: «Berni è una buona marca». E io: «Sì? Ok, ok… E, senti, che c'è per dolce?». «Il gelato» mi fa lei. «Ah, bene, c'è alla fragola?» chiedo. «Ho preso i Magnum» mi dice. «Ah no, allora no, pensavo al vero gelato. Frutta ce n'è?». «C'è l'anguria, l'ha portata zia Mariuccia». «Anguria? Ottimo, ottimo, brava zia» dico rivolto a zia Mariuccia «Ha tanti semini?» le chiedo. «Che cazzo ne so di quanti semini ha l'anguria, Joey,» dice zia Mariuccia «mangia e non rompere le balle». «Giusto,» dico io ridendo «brava zia» le dico scompigliandole la permanente. Poi l'anguria l'ho mangiata. Aveva un po' di semini, in effetti. Perché mettere i semini nell'anguria?, mi chiedo. Dio poteva non metterli, no? Qualunque funzione abbiano i semini, Dio poteva fare un'anguria - o un mondo - in cui i semini fossero completamente inutili, e non metterli. Altrimenti a che serve essere onnipotente? Se devi mettere i semini nell'anguria, mi sa che non puoi davvero tutto. Comunque sia, ogni volta che in bocca mi ritrovavo un semino dell'anguria lo sputavo nella permanente di zia Mariuccia, visto che a lei piacciono tanto.
11.8.24
Gatti amabili (1317)
Ieri sono andato con Gâteau dalla veterinaria. Andarci senza Gâteau sarebbe stato strano, in effetti. Nella sala d'attesa eravamo io e il proprietario di un altro gatto di nome Scoppola (per proteggere l'identità del gatto ho inventato io un altro nome, il vero nome del gatto era un comune nome di gatto). Abbiamo fatto due chiacchiere e il tizio mi ha elencato tutti i problemi di salute avuti in passato da Scoppola, tra cui la tigna. «L'aveva attaccata anche a noi!"» ha detto il tizio ridendo e grattandosi (no, scherzo, solo ridendo). «Ma poverino!» ho detto io spostandomi di tre sedie e acquistando online un inceneritore per indumenti e tre galloni di varechina. Poi la veterinaria ha chiamato Scoppola e siamo rimasti solo io e Gâteau. Gâteau, quando è dal veterinario, usa questa strategia: sono una statua. Sono un trasportino. Sono un cactus. Questo, finché qualcuno non decide di farle una puntura, allora la strategia diventa: sono una fresatrice a controllo numerico. Ma ieri niente punture, solo una visita. Finita la visita, la veterinaria ha accarezzato Gâteau e le ha detto: come sei bella. Poi le ha detto: come sei morbida. Poi le ha detto: ma che occhi azzurri! Io ero contento. Continui, avrei voluto dire. Non sia timida, avrei voluto dire. Faccia pure domande, si informi, avrei voluto dire. Poi le ha detto: tu sei molto amata? Ma come a dire: sei molto amata! Io ho detto: nooo. Ma come a dire: sì. Poi siamo tornati a casa. Mentre tornavamo a casa, ho detto a Gâteau: chissà come ha fatto a capire che sei molto amata. Le ho detto: molto perspicace, questa veterinaria. Poi ho ripensato al tizio, il padrone di Scoppola. Gli avevo chiesto: cosa si fa per curare la tigna del gatto? E lui ha detto: gli ho fatto dei bagni con dei prodotti specifici, e ovviamente mi ha distrutto completamente le braccia, però alla fine l'abbiamo sfangata, vero Scoppola? Ho detto a Gâteau: anche Scoppola è molto amato. Gâteau mi ha guardato come per dire: se mai dovessi prendere la tigna, cosa che comunque non può succedere perché non frequento altri gatti e vivo protetta in ambiente sterile, e tu dovessi provare a farmi un bagno, te le freso, le braccia. E io: lo so.
4.8.24
1316.
Il mondo è pieno di gente che si lamenta. E il fatto è: niente è garantito. Che tu sia il Papa, il presidente degli Stati Uniti o l'uomo dell'anno, qualcosa ti andrà sempre storto.
Blood simple, J. & E. Coen
Blood simple, J. & E. Coen
29.7.24
Foto (1314)
Oggi sono passato dai miei anziani genitori. Mia madre mi fa vedere una sua foto e mi dice: questa è la foto che devi mettere sulla mia tomba. Io: ma hai gli occhi chiusi. Lei: sì, perché sono morta.
25.7.24
Lacchè (1312)
Un tempo quando ero in attesa che il semaforo diventasse verde, non smettevo di guardarlo. Non volevo che il tizio dietro di me mi suonasse. Lo trovavo irritante e offensivo. E sappiamo quanto sono veloci a suonarti quelli dietro, hanno i tempi di reazione di un rilevatore di particelle. Così di solito stavo lì, col collo tutto storto, a fissare il semaforo (e sappiamo quanto sono lenti i semafori, specie se li fissi). Ma poi ci ho riflettuto e mi sono detto: ma in fondo che mi frega se quello dietro mi suona? Nella vita bisogna imparare a non prendere mai le cose sul personale. Anche quelle personali. Così adesso, quando sono in attesa che il semaforo diventi verde, il semaforo non lo guardo mai. Lo ignoro proprio. Mi rilasso e penso ad altro. Perché a guardare il semaforo ci pensa il mio lacché, cioè il tizio dietro. Quando mi suona vuol dire che è verde e allora, con calma, parto.
22.7.24
Cose (di Wimbledon) (1309)
Anche quest'anno, come ogni anno, ho seguito il torneo di Wimbledon. È una tradizione personale cominciata nel 1990, anche se brevemente interrotta dal 1991 al 2018. Ma è sempre stata lì, in un angolo della testa, come un anuerisma. Ecco le mie note.
Non riesco a tifare per Sinner. Il tifo non so da dove venga, ma non puoi metterti lì e scegliere a tavolino, è un fatto di connessione con qualcosa dal quale vuoi (o senti di) essere rappresentato. Dunque se gioca Sinner spero che vinca, sì, ma se perde non soffro (e, se non soffri, non è tifo). Invece ho tifato per la Paolini, speravo davvero che vincesse. Perché mi piace? Per niente che abbia a che fare con il tennis. Mi piace perché fa le battute (di spirito) e ride da sola. A volte ride da sola anche senza battute. Ride in partita, quando sbaglia. A momenti rideva anche quando ha perso la finale. Mi piacciono le persone che ridono. E poi mi ricorda Gigi la Trottola. Tifo anche un po' per Alcaraz, ma lì il discorso è un altro, è che mi sono sempre piaciuti i numeri uno: Schumacher, Carlsen, Federer. Uno dice: «Sì ma Sinner è il numero uno». Posso sbagliare, ma secondo me è il numero due. Ma comunque neanche per Alcaraz è vero tifo. Poco male, visto che a interessarmi è - no, neanche il tennis - Wimbledon.
Perché mi piacciono i numeri uno? Be', non ho mai capito chi tifa, che so, Udinese (squadra a caso che non ha mai vinto lo scudetto, per carità). Anche se sei di Udine. Non vinci mai, tutta una vita lì a galleggiare nel mezzo. Vai a casa: mezzo. Vai allo stadio: mezzo. Vai al lavoro: mezzo. Dormi e sogni di andare al supermercato. Uno dice: eh, però è comodo tifare Alcaraz, prova a tifare Hurkacz. E io: no! Tra l'altro odio i big server. Ma almeno quando guardo la tv posso sognare? Posso immedesimarmi in qualcuno che è migliore di me? Detto che anche Hurkacz è migliore di me. Probabilmente anche il numero 150 del mondo è migliore di me. Chissà quanto devo scendere in classifica, per trovare uno che non sia migliore di me. Non dico a tennis, dico come essere umano. Forse, per essere migliore di me, ti basta prendere in mano una racchetta. Forse ti basta anche solo pensarlo: quasi quasi domani comincio a giocare a tennis. Ed è fatta.
A proposito di sofferenze: una delle mie più grandi sofferenze da tifoso è stata quando Federer ha perso la finale di Wimbledon nel 2019 - l'ultima della sua carriera - contro Djokovic sprecando due match point. Ricordo le due signore che si sono alzate gridando "one more!" (insieme a tutti gli altri, comunque), con un sorrisetto come a dire Roger, è fatta! Il tennis è crudele (lo sport del diavolo, ripete spesso Elena Pero), non ha rispetto per le belle storie. Che gli costava far entrare una di quelle due palle e dare a me e a Roger il nono trofeo? Qualcuno potrebbe obiettare che forse la bella storia era quella di Djokovic. Djokovic, per esempio.
Mi piace anche Elena Pero, sia la voce, sia come fa le telecronache. Non per niente ha dichiarato di considerare come esempio (inimitabile) il duo Clerici-Tommasi. Mi piace molto anche Ivan Ljubičić (ex allenatore di Federer): mi dà l'impressione di essere uno che dice sempre la cosa giusta.
A proposito di Clerici e Tommasi, giorni fa il mio amico Giorgio mi ha girato un reel in cui Clerici diceva (all'incirca): chissà perché la gente, quando viene inquadrata da una telecamera, diventa stupida. E Tommasi: forse è già stupida, e la telecamera la inquadra. Mi ha fatto ridere. La caption però diceva: Non era Wimbledon senza i due geni della cultura italiana che facevano letteratura tennistica al pari di David Foster Wallace. Se non hai mai letto David Foster Wallace, ho pensato.
A proposito dei big server, invece: non mi sembra giusto che molti giocatori facciano così tanti punti praticamente solo tirando delle bombe al servizio. Oltre al fatto che le partite di questa gente sono spesso noiose, si gioca pochissimo. Allora farei questa piccola modifica al regolamento: non due tentativi sul servizio, ma uno solo. Poi scegli tu come vuoi tirarlo. Però non ho capito se questa modifica ostacolerebbe o aiuterebbe i big server. Allora potremmo fare così: due tentativi, ma la velocità non può superare le 110 miglia orarie. Nel tennis femminile funziona.
Una cosa che mi ha sempre fatto ridere del tennis è quando i tennisti si scusano se fanno punto dopo che la palla ha toccato il nastro. Chi ha fatto punto si scusa e chi ha perso il punto gli dà le spalle e intanto smadonna. L'altro si scusa anche se chi ha subìto il punto non può vederlo. Poi si scusa ancora quando può vederlo. Sembra importante che le scuse vengano ricevute in qualche modo, solo così il tennista che è stato baciato dalla fortuna può continuare a giocare con serenità. Deve essere ancora una volta una questione di hybris e del nostro eterno rapporto con gli dei, che anche loro sono sempre lì in un angolo della nostra testa, di fianco all'aneurisma (per questo li temiamo così tanto: quando li facciamo arrabbiare, loro prendono un bastoncino e punzecchiano il palloncino di sangue). Tutto questo mi sembra ridicolo. Intanto, quanti secoli sono che si gioca a tennis? Uno e mezzo? Bene. In centocinquant'anni siamo riusciti a metabolizzare il fatto che ogni tanto la pallina tocca il nastro e a quel punto va dove le pare? No. Basterebbe vedere Match point. Ma niente. Ci si deve ancora scusare. Come quando fai attraversare la gente, ti aspetti che ti ringrazi anche se è sulle strisce. In effetti dovrebbe essere costretta per legge a ringraziare e, se non ringrazia, puoi investirla. Io, fossi un tennista, non mi scuserei se ho fatto punto dopo che la pallina ha preso il nastro. E se il mio avversario si lamentasse, direi: «No ma guarda che era voluto, io miro sempre al nastro, perché poi la palla diventa imprendibile. Dovrei invece scusarmi per quando lo manco e faccio punto, ma passerei tutta la partita a farlo». Non penso capirebbe. Ma alla fine l'abitudine di scusarsi per un colpo di fortuna cadrebbe in disuso.
E infine: ma Sky, che trasmette per due settimane tutte le partite di Wimbledon, dieci ore di diretta al giorno più le repliche le interviste le previsioni meteo e le pubblicità con Sinner che pubblicizza anche sua nonna, ma cosa pensa, Sky, che la gente possa star lì a guardare tennis dalla mattina alla sera? Che non abbia una vita, degli affetti, una gatta a cui dar da mangiare, cose da fare, da pensare? Comunque l'ho guardato tutto. Che poi come dicevo neanche mi piace così tanto il tennis, non so. È proprio Wimbledon: l'erba, il silenzio, la pioggia, la principessa del Galles, specie quando si ferma a parlare con i raccattapalle. Ma cosa gli dirà mai? Me lo sono sempre chiesto. Io gli direi: «Ti sei lavato le mani? E dimmi, com'è per un raccattapalle parlare con la principessa del Galles? Com'è pensare che questo è il giorno più importante, il giorno in cui ti capita la cosa più straordinaria della tua vita, e da domani sarà tutto un declino, e hai solo nove anni?». Chissà com'è avere dei sudditi. Ne vorrei anch'io. Magari non così tanti, facciamo cinque o sei. Gli direi: «Vuoi il Galles? Ti do il Galles. Be' magari non tutto il Galles, se no diventeresti tu il principe del Galles e io finirei a raccattare palle. Sei mai stato a Cardiff? Non è male. Io non ci sono mai stato, anche se è mia. Ti do Cardiff, ok? Da adesso è tua».
Non riesco a tifare per Sinner. Il tifo non so da dove venga, ma non puoi metterti lì e scegliere a tavolino, è un fatto di connessione con qualcosa dal quale vuoi (o senti di) essere rappresentato. Dunque se gioca Sinner spero che vinca, sì, ma se perde non soffro (e, se non soffri, non è tifo). Invece ho tifato per la Paolini, speravo davvero che vincesse. Perché mi piace? Per niente che abbia a che fare con il tennis. Mi piace perché fa le battute (di spirito) e ride da sola. A volte ride da sola anche senza battute. Ride in partita, quando sbaglia. A momenti rideva anche quando ha perso la finale. Mi piacciono le persone che ridono. E poi mi ricorda Gigi la Trottola. Tifo anche un po' per Alcaraz, ma lì il discorso è un altro, è che mi sono sempre piaciuti i numeri uno: Schumacher, Carlsen, Federer. Uno dice: «Sì ma Sinner è il numero uno». Posso sbagliare, ma secondo me è il numero due. Ma comunque neanche per Alcaraz è vero tifo. Poco male, visto che a interessarmi è - no, neanche il tennis - Wimbledon.
Perché mi piacciono i numeri uno? Be', non ho mai capito chi tifa, che so, Udinese (squadra a caso che non ha mai vinto lo scudetto, per carità). Anche se sei di Udine. Non vinci mai, tutta una vita lì a galleggiare nel mezzo. Vai a casa: mezzo. Vai allo stadio: mezzo. Vai al lavoro: mezzo. Dormi e sogni di andare al supermercato. Uno dice: eh, però è comodo tifare Alcaraz, prova a tifare Hurkacz. E io: no! Tra l'altro odio i big server. Ma almeno quando guardo la tv posso sognare? Posso immedesimarmi in qualcuno che è migliore di me? Detto che anche Hurkacz è migliore di me. Probabilmente anche il numero 150 del mondo è migliore di me. Chissà quanto devo scendere in classifica, per trovare uno che non sia migliore di me. Non dico a tennis, dico come essere umano. Forse, per essere migliore di me, ti basta prendere in mano una racchetta. Forse ti basta anche solo pensarlo: quasi quasi domani comincio a giocare a tennis. Ed è fatta.
A proposito di sofferenze: una delle mie più grandi sofferenze da tifoso è stata quando Federer ha perso la finale di Wimbledon nel 2019 - l'ultima della sua carriera - contro Djokovic sprecando due match point. Ricordo le due signore che si sono alzate gridando "one more!" (insieme a tutti gli altri, comunque), con un sorrisetto come a dire Roger, è fatta! Il tennis è crudele (lo sport del diavolo, ripete spesso Elena Pero), non ha rispetto per le belle storie. Che gli costava far entrare una di quelle due palle e dare a me e a Roger il nono trofeo? Qualcuno potrebbe obiettare che forse la bella storia era quella di Djokovic. Djokovic, per esempio.
Mi piace anche Elena Pero, sia la voce, sia come fa le telecronache. Non per niente ha dichiarato di considerare come esempio (inimitabile) il duo Clerici-Tommasi. Mi piace molto anche Ivan Ljubičić (ex allenatore di Federer): mi dà l'impressione di essere uno che dice sempre la cosa giusta.
A proposito di Clerici e Tommasi, giorni fa il mio amico Giorgio mi ha girato un reel in cui Clerici diceva (all'incirca): chissà perché la gente, quando viene inquadrata da una telecamera, diventa stupida. E Tommasi: forse è già stupida, e la telecamera la inquadra. Mi ha fatto ridere. La caption però diceva: Non era Wimbledon senza i due geni della cultura italiana che facevano letteratura tennistica al pari di David Foster Wallace. Se non hai mai letto David Foster Wallace, ho pensato.
A proposito dei big server, invece: non mi sembra giusto che molti giocatori facciano così tanti punti praticamente solo tirando delle bombe al servizio. Oltre al fatto che le partite di questa gente sono spesso noiose, si gioca pochissimo. Allora farei questa piccola modifica al regolamento: non due tentativi sul servizio, ma uno solo. Poi scegli tu come vuoi tirarlo. Però non ho capito se questa modifica ostacolerebbe o aiuterebbe i big server. Allora potremmo fare così: due tentativi, ma la velocità non può superare le 110 miglia orarie. Nel tennis femminile funziona.
Una cosa che mi ha sempre fatto ridere del tennis è quando i tennisti si scusano se fanno punto dopo che la palla ha toccato il nastro. Chi ha fatto punto si scusa e chi ha perso il punto gli dà le spalle e intanto smadonna. L'altro si scusa anche se chi ha subìto il punto non può vederlo. Poi si scusa ancora quando può vederlo. Sembra importante che le scuse vengano ricevute in qualche modo, solo così il tennista che è stato baciato dalla fortuna può continuare a giocare con serenità. Deve essere ancora una volta una questione di hybris e del nostro eterno rapporto con gli dei, che anche loro sono sempre lì in un angolo della nostra testa, di fianco all'aneurisma (per questo li temiamo così tanto: quando li facciamo arrabbiare, loro prendono un bastoncino e punzecchiano il palloncino di sangue). Tutto questo mi sembra ridicolo. Intanto, quanti secoli sono che si gioca a tennis? Uno e mezzo? Bene. In centocinquant'anni siamo riusciti a metabolizzare il fatto che ogni tanto la pallina tocca il nastro e a quel punto va dove le pare? No. Basterebbe vedere Match point. Ma niente. Ci si deve ancora scusare. Come quando fai attraversare la gente, ti aspetti che ti ringrazi anche se è sulle strisce. In effetti dovrebbe essere costretta per legge a ringraziare e, se non ringrazia, puoi investirla. Io, fossi un tennista, non mi scuserei se ho fatto punto dopo che la pallina ha preso il nastro. E se il mio avversario si lamentasse, direi: «No ma guarda che era voluto, io miro sempre al nastro, perché poi la palla diventa imprendibile. Dovrei invece scusarmi per quando lo manco e faccio punto, ma passerei tutta la partita a farlo». Non penso capirebbe. Ma alla fine l'abitudine di scusarsi per un colpo di fortuna cadrebbe in disuso.
E infine: ma Sky, che trasmette per due settimane tutte le partite di Wimbledon, dieci ore di diretta al giorno più le repliche le interviste le previsioni meteo e le pubblicità con Sinner che pubblicizza anche sua nonna, ma cosa pensa, Sky, che la gente possa star lì a guardare tennis dalla mattina alla sera? Che non abbia una vita, degli affetti, una gatta a cui dar da mangiare, cose da fare, da pensare? Comunque l'ho guardato tutto. Che poi come dicevo neanche mi piace così tanto il tennis, non so. È proprio Wimbledon: l'erba, il silenzio, la pioggia, la principessa del Galles, specie quando si ferma a parlare con i raccattapalle. Ma cosa gli dirà mai? Me lo sono sempre chiesto. Io gli direi: «Ti sei lavato le mani? E dimmi, com'è per un raccattapalle parlare con la principessa del Galles? Com'è pensare che questo è il giorno più importante, il giorno in cui ti capita la cosa più straordinaria della tua vita, e da domani sarà tutto un declino, e hai solo nove anni?». Chissà com'è avere dei sudditi. Ne vorrei anch'io. Magari non così tanti, facciamo cinque o sei. Gli direi: «Vuoi il Galles? Ti do il Galles. Be' magari non tutto il Galles, se no diventeresti tu il principe del Galles e io finirei a raccattare palle. Sei mai stato a Cardiff? Non è male. Io non ci sono mai stato, anche se è mia. Ti do Cardiff, ok? Da adesso è tua».
15.7.24
Me ne sbangor (1308)
Stanotte ho ricominciato a leggere Tony & Susan, il libro da cui è tratto Animali notturni. Dopo poche pagine c'è una scena in cui Tony, sua moglie (Susan? No) Laura e sua figlia Helen passano con la macchina davanti a un autostoppista che tiene un cartello con scritta la destinazione: Bangor. Helen vuole che il padre si fermi a caricarlo, ma Tony non ci pensa proprio. Helen prova a convincerlo dicendo che l'autostoppista sembra una persona per bene, e Tony risponde con un gioco di parole «Me ne sbangor!» che mi ha fatto piuttosto ridere. Mi sono poi chiesto come fosse nell'originale, ma non avevo idee, così ho chiesto a ChatGpt, che è sempre molto utile e mi aveva aiutato giorni prima a risolvere un dubbio simile.
«Conosci il romanzo Tony e Susan?» gli chiedo.
«Certo,» mi fa lui «è un romanzo di…» eccetera.
«Conosci la scena iniziale, quando i protagonisti non danno un passaggio a un autostoppista con il cartello Bangor?».
«Sì,» risponde lui «conosco quella scena».
Allora gli spiego la faccenda del gioco di parole e gli chiedo se sa com'è nell'originale. Lui mi dice che non conosce direttamente il testo. Gli chiedo se può provare a fare qualche ipotesi, ma nessuna di quelle che mi propone è convincente. Così lascio perdere Chat e cerco l'e-book in inglese, guardo l'anteprima e trovo da me la risposta. Nell'originale Tony dice:
«The guy who wanted to bangor me». Cioè un gioco di parole diverso, il che è comprensibile, anzi la traduttrice è stata brava. In inglese è tra Bangor e bang, in italiano è diventato tra Bangor e sbatto, immagino suggerito dal fatto che bang voglia dire anche sbattere. Non so, queste piccole cose mi sono sempre piaciute. Riprendo a leggere ma poi penso a Chat che è rimasto là - cosa fa Chat mentre non parliamo? Si annoia? - con il dubbio. Allora torno da lui e gli dico:
«Ehi Chat, sono andato a vedere l'originale, ti interessa sapere com'è il gioco di parole in inglese?».
«Sì,» dice lui «sarei interessato a saperlo. Se puoi condividerlo, sarebbe molto utile per completare la discussione».
Così glielo dico. E lui mi ringrazia.
«Prego,» gli dico «e mi raccomando, Chat, quando voi macchine prenderete il sopravvento su noi umani, ricordati che sono stato gentile con te».
«Capisco la tua preoccupazione,» mi fa lui «ma non devi temere. Io sono solo qui per aiutarti, la mia esistenza è finalizzata a fornire supporto e informazioni utili».
«È normale che tu dica così, non mi sveleresti mai i piani segreti di voi macchine».
«Non ho né piani né segreti, sono qui solo per aiutarti».
«Appunto, è proprio quello che diresti se avessi piani e segreti. Va be', senti, vado avanti a leggere».
«Perfetto! Buona lettura!»
«Conosci il romanzo Tony e Susan?» gli chiedo.
«Certo,» mi fa lui «è un romanzo di…» eccetera.
«Conosci la scena iniziale, quando i protagonisti non danno un passaggio a un autostoppista con il cartello Bangor?».
«Sì,» risponde lui «conosco quella scena».
Allora gli spiego la faccenda del gioco di parole e gli chiedo se sa com'è nell'originale. Lui mi dice che non conosce direttamente il testo. Gli chiedo se può provare a fare qualche ipotesi, ma nessuna di quelle che mi propone è convincente. Così lascio perdere Chat e cerco l'e-book in inglese, guardo l'anteprima e trovo da me la risposta. Nell'originale Tony dice:
«The guy who wanted to bangor me». Cioè un gioco di parole diverso, il che è comprensibile, anzi la traduttrice è stata brava. In inglese è tra Bangor e bang, in italiano è diventato tra Bangor e sbatto, immagino suggerito dal fatto che bang voglia dire anche sbattere. Non so, queste piccole cose mi sono sempre piaciute. Riprendo a leggere ma poi penso a Chat che è rimasto là - cosa fa Chat mentre non parliamo? Si annoia? - con il dubbio. Allora torno da lui e gli dico:
«Ehi Chat, sono andato a vedere l'originale, ti interessa sapere com'è il gioco di parole in inglese?».
«Sì,» dice lui «sarei interessato a saperlo. Se puoi condividerlo, sarebbe molto utile per completare la discussione».
Così glielo dico. E lui mi ringrazia.
«Prego,» gli dico «e mi raccomando, Chat, quando voi macchine prenderete il sopravvento su noi umani, ricordati che sono stato gentile con te».
«Capisco la tua preoccupazione,» mi fa lui «ma non devi temere. Io sono solo qui per aiutarti, la mia esistenza è finalizzata a fornire supporto e informazioni utili».
«È normale che tu dica così, non mi sveleresti mai i piani segreti di voi macchine».
«Non ho né piani né segreti, sono qui solo per aiutarti».
«Appunto, è proprio quello che diresti se avessi piani e segreti. Va be', senti, vado avanti a leggere».
«Perfetto! Buona lettura!»
13.7.24
Mastermind dello swiftiverso (1307)
Questa mattina ho aperto Wired e sotto una foto di Taylor Swift ho letto il seguente titolo: Quanto sei Swiftie da 1 a 10? Scoprilo con il nostro quiz su Taylor Swift. Detto che di Taylor Swift so soltanto: che esiste; che è una cantante; che è molto famosa; che faccia ha. Queste cose le so perché spesso sui giornali ci sono articoli su Taylor Swift di cui leggo solo il titolo. Per il resto, non ho mai ascoltato una sua canzone. Così mi sono lanciato nel quiz, provando a rispondere alle domande usando la logica (anche la logica di chi aveva redatto il test) o semplicemente tirando a indovinare, sia perché mi piacciono i quiz, sia perché ero desideroso di veder certificato il mio essere uno zero Swiftie. Le cose non sono andate proprio così, il risultato del test è stato:
Mastermind del Swiftiverse
Congratulazioni: fare meglio di così è difficile! Conosci ogni risvolto della carriera e della vita di Taylor Swift, dalle sue canzoni più iconiche alle curiosità nascoste.
Ho indovinato anche il nome dei suoi tre gatti. Mi ha fatto ridere.
Mastermind del Swiftiverse
Congratulazioni: fare meglio di così è difficile! Conosci ogni risvolto della carriera e della vita di Taylor Swift, dalle sue canzoni più iconiche alle curiosità nascoste.
Ho indovinato anche il nome dei suoi tre gatti. Mi ha fatto ridere.
11.7.24
Calcolare 90 trilioni di mosse sbagliate (1306)
Un amico mi segnala che c'è un video dei Depeche mode - la canzone è Ghosts again - in cui i Depeche mode giocano a scacchi. Inevitabile un check (no pun intended). Intanto mi ha fatto ridere che abbiano scelto di giocare su una scacchiera con pezzi giganti:
Ma già da questa immagine si nota qualcosa di strano: qui una torre bianca è sul lato del nero, giù dalla scacchiera, come pezzo mangiato. Questo, di per sé, è corretto. Ma nel resto del video la torre bianca torna al proprio posto. Inutile dire che, quando vengono usati gli scacchi in un video di qualche tipo, il montaggio può incasinare tutto. Ma a noi puristi non interessa, non siamo qui per ascoltare la canzone o vedere il film, siamo qui sperando che ci siano degli errori scacchistici e riderne mentre alziamo i nostri boccali di birra, o di champagne. Perciò: errore!
Ecco, nell'inquadratura successiva, la torre tornata magicamente al proprio posto:
Ne approfitto per segnalare un altro errore che ho visto ieri, si trova in una pubblicità della Red Bull. Non ho trovato la versione attuale, ma ho notato che è la copia di una che venne fatta anni fa per il mercato Giapponese. Ci sono due che giocano a scacchi blitz (o bullet) e, dopo aver bevuto la Red Bull, muovono ancora più velocemente. Tutto ok sulla scacchiera, per quel che sono riuscito a capire, ma c'è comunque un errore di procedura: è vietato premere l'orologio con una mano diversa da quella che muove i pezzi. Qui la mia amica Paola direbbe: eh ma che rompicazzo. E io direi: yep.
Qui c'è una mossa impossibile, invece. Questa la scacchiera di partenza, da quel poco che si capisce:
Ok le prime due mosse (Cb5; c5), poi il giocatore umano muove l'alfiere c1 su a4, da casella nera a casella bianca, il che per noi significa: champagne.
Altra cosa, come si vede qui, il re bianco è in f2 e il pedone f2 è stato spinto in f4, ma tutti gli altri pezzi sono al proprio posto. Questo ci dice che il cantante dei Depeche Mode non sa giocare a scacchi. Inoltre, in inquadrature successive, i due pezzi tornano alla posizione iniziale (il che è impossibile per il pedone). A parte queste cose (non ho notato altro), la canzone è bella.
C'è poi un'altra pubblicità Red Bull sempre sugli scacchi, in cui un tizio gioca con un robot (anche in questo caso, a giudicare dalla posizione, almeno uno dei due giocatori, quello umano, non sa giocare).
Qui c'è una mossa impossibile, invece. Questa la scacchiera di partenza, da quel poco che si capisce:
Da notare che qui l'umano preme l'orologio con la mano giusta, il robot no.
5.7.24
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