1151.

Sul nuovo numero di Wu Magazine, qui, spiego con insistente arrendevolezza perché i Jalisse dovrebbero prima o poi vincere di nuovo il Festival di Sanremo.

28.12.22

Come vuoi (1150)

Ho appena finito di impacchettare i regali di Natale per i miei genitori. A mio padre ho regalato dei cioccolatini anche se sotto il loro albero ci sono ceste piene di cioccolatini. Ma i miei sono speciali? I miei cioccolatini, dico. No. Sono cioccolatini. E i miei genitori? Se sono speciali, dico, non se sono cioccolatini. Questa domanda è più difficile. Naturalmente ciascuno ritiene i propri genitori speciali, il proprio gatto speciale, e se stesso speciale. A volte a ragione e a volte a torto. Per esempio mia madre me lo ha sempre detto: Joey, sei speciale. Mio padre allora scuoteva la testa. Io allora dicevo a mio padre: scusa, babbo, scuoti la testa perché, pur ritenendomi speciale anche tu, pensi che non sia il miglior metodo pedagogico quello di dirmelo esplicitamente? E lui allora mi guardava e scuoteva ancor di più la testa. La scuoteva. Ma in effetti io ero speciale. Anche adesso, chiaro. Non è che uno smette di esserlo. Quindi il caso dei miei genitori, pensavo e penso tutt'ora, è il fortunato ma forse raro caso di un genitore (due, a dire il vero) che pensa mio figlio è speciale perché ovviamente in quanto genitore non può che pensarlo ma, essendo guarda caso il figlio effettivamente speciale, ci prende. Per cortesia quindi dovrei dire lo stesso dei miei. E perché non dirlo? Non costa nulla. Ma non lo dico mai a loro, perché penso che non sia un buon metodo pedagogico, non vorrei venissero su degli anziani smidollati. Così li tengo sulla corda. A volte potrei sembrare duro, con loro, ma è per il loro bene. Per esempio oggi mia mia madre mentre serviva il cotechino ha detto: ma i miei figli mi vogliono bene? Qui avrei dovuto dire: ma certo, mami! Ma questo non le avrebbe giovato. È un mondo duro là fuori. Così le ho detto: vuoi bene ai tuoi figli perché loro te ne vogliano? Lei ha detto: no, certo che no, mi basta vederli. Per questo sono qua, le ho detto prendendo cinque o sei fette di cotechino. A lei comunque ho regalato un profumo. Regalo un profumo a mia madre da quando avevo cinque anni. Lei è contenta e le dura un anno preciso. Non importa se è da 30, da 50, da 100. Millilitri, dico, non euro, il prezzo non dovrebbe influire sulla durata, o forse sì. Quante precisazioni, oggi, comunque. Be', il 25 lo finisce e io arrivo con quello nuovo. Quest'anno l'ho chiamata e le ho detto: «Senti, ma', non prendiamoci in giro, ti regalo un profumo». «Non c'è cosa che mi renda più felice!» ha detto lei. Mm, ho pensato, e se le regalassi l'Eterna Giovinezza? Che poi sarebbe l'unico regalo che potrebbe mai interessare a mio padre. Ecco perché gli regalo cioccolatini anche se ha già ceste di cioccolatini, anzi potrei prendere direttamente quelli, andare a casa loro il giorno di Natale con un sacchetto di quelli trasparenti da freezer, riempirlo sotto i suoi occhi con manciate dei suoi stessi cioccolatini, chiuderlo con l'apposito gancetto metallico e darglielo dicendo buon Natale, lui prenderebbe il sacchetto dicendo grazie con un sorriso. Ma così anche con l'Eterna Giovinezza. Grazie. Poi aprirebbe il flaconcino, berrebbe la pozione (me la immagino una pozione) d'un fiato e tornerebbe a lavorare. Ma a parte questo credo che i miei genitori siano davvero speciali: il cotechino era molto buono e anche mio padre non è male. A proposito: mia madre mi fa: per Natale preferisci le lasagne coi carciofi o… Qui ho pensato: Gesù benedetto e misericordioso, grazie che le hai fatto cambiare idea su questa cosa dei carciofi! Ma lei conclude la frase dicendo: o le crespelle ai carciofi? Ho pensato: e che cazzo, Gesù! Come vuoi, le ho detto con disinteresse, lasciando l'abitazione. Credevo proprio che il periodo dei carciofi fosse finito.

23.12.22

Botswana (1149)

Ho letto che sono in arrivo le bombe intelligenti dagli Usa. Ho pensato per Natale. Le bombe nei supermercati. Su Amazon, non so. La bomba intelligente me la immagino che apri la scatola di Amazon e quando fai per tirarla fuori ti dice: lascia perdere. E tu: eh? E la bomba intelligente: guardiamoci un film di Peter Greenaway. Non stare a farmi esplodere. E tu: mm? E la bomba intelligente: la sai usare una bomba? E tu: veramente… E la bomba: ecco, dai. E si disinnesca. O fa il reso. Oppure la bomba intelligente ti risolve dei problemi, credo. La agiti come la palla magica e lei ti dà una soluzione per un problema, o va al lavoro al posto tuo, e la promuovono, e tu invece esplodi. O le bombe intelligenti esplodono, sì, ma sanno dove, e come. Tu la piazzi sotto la macchina del vicino che fa schiamazzi a ogni ora del giorno e della notte, e la bomba intelligente si sposta, si piazza sotto la tua e poi la fa saltare in aria. Tu ovviamente non capisci perché, ma è intelligente, quindi fidati. O sotto il tuo letto. La piazzi sotto la macchina del vicino e la bomba intelligente subito dopo si sgancia e comincia a seguirti. Ma che cazzo, pensi. Ma lo sa lei. Quando vai a letto, te la ritrovi sulla pancia. Tic, tic, tic. Nel caso dell'articolo in questione, le bombe intelligenti arrivano però in Ucraina, dagli Usa. Il principio è lo stesso. Non esplodiamo, siamo intelligenti. Giochiamo a scacchi, invece. O quando le spari verso la Russia, invece di esplodere vanno a parlare con Putin. E lo convincono. Putin dice: porca puttana, è vero. E si arrende. O tira sette nucleari su obiettivi strategici e vince la guerra. O anche non strategici, dopotutto sono nucleari, tirale un po' dove vuoi. Probabilmente Putin la guerra la vince anche se tira una sola nucleare in Botswana. Senza tra l'altro sapere dov'è. Chissà perché le bombe intelligenti non sono anche nucleari. Oppure tornano in Usa. Prendono l'aereo, dopo aver fatto il biglietto online. Fast check-in, speedy boarding. Passano i controlli. Volano. Arrivano. Bevono un drink. Poi si trovano un lavoro. O trovano un modo per non lavorare. Una invece esplode. Suicida.

15.12.22

Il tempo dei cotechini (1148)

A proposito del giardino di mio padre, ieri vado a pranzo dai miei e noto una grande novità: un'aiuola. Fatta di pietre, o delimitata da pietre, fatta di niente. Terra. Quindi: terra, pietre, terra. Altre pietre all'interno. La guardo un attimo e mi rendo conto che ha la forma di una vagina. Le pietre all'interno formano un cerchio, come a rimarcare l'idea. Rido. Scuoto la testa. Chissà cosa pensa di aver disegnato o rappresentato, con la sua aiuola, mi chiedo. Una mandorla? Un fiore? L'occhio di un angelo? Entro e lo trovo seduto a tavola. Ci salutiamo come sempre: Allora?, mi dice lui. Siamo qua, dico io. Mi tolgo la giacca e mi siedo. Mio padre mi fa: senti, saresti capace di ordinare altri bulbi? Mi fa ridere che non riesca a dire: mi ordini altri bulbi? Lui mette giù la domanda come una piccola trappola coperta di foglie. Uno dovrebbe dire: ma certo che sono capace! Cosa credi? Ora ti faccio vedere io! E gli ordina cinquecento bulbi. Gli dico: certo che sono capace (senza punto esclamativo). Lui: allora me li dovresti ordinare. Così prendo il telefono e faccio l'ordine. A quel punto arriva mia madre reggendo una pentola. Che fate?, chiede. Ordiniamo bulbi, dico io. Lei guarda di scatto mio padre: ancora?!, gli dice. Lui fa spallucce. Lei allora mette giù la pentola e comincia a servire del riso ai carciofi. Poi mi guarda e mi fa: di secondo ho fatto: frittata con carciofi; carciofi. Mi viene in mente che da mia madre c'è un momento dell'anno in cui si mangiano tantissimi carciofi, poi basta. E un momento in cui si mangiano tantissime patate, poi basta. E un momento in cui si mangiano tantissimi cotechini, poi basta. Il momento dei cotechini è alle porte, tra l'altro. Mio padre dice: chissà se un giorno avremo dei carciofi. Nessuno gli risponde. Poi mi viene in mente che anni fa avevano una tovaglia con disegni che dovevano essere piccole aiuole, ma in realtà sembravano peni. Mi faceva ridere che mangiassimo su una tovaglia costellata di peni. Quando arrivano i bulbi?, mi chiede mio padre. Vuoi altri carciofi?, mi chiede mia madre tirando fuori carciofi dalle tasche. Venerdì, dico a mio padre. No, dico a mia madre. Poi mio padre mi dice: hai visto la mia aiuola a forma di vagina?

5.12.22

Bulbi à la coque (1147)

Ieri invece passo dai miei anziani genitori per vedere se sono ancora vivi. Mio padre è in giardino che lavora alacremente. Non capisco mai se il giardino lo sta allestendo o smantellando. Ogni volta vado e mi sembra ci sia meno erba, ci siano meno fiori, ti aspetteresti a un certo punto di trovare solo terra, invece no, c'è sempre un po' di erba, ci sono sempre un po' di fiori. Quando sarà finito?, gli chiedo. Cosa?, mi fa lui sotterrando un bulbo. Poi entro in casa. Sul divano c'è un cane che guarda la tv. Ciao bello!, dico. Il cane non si muove, il canale cambia. Mia madre è al piano di sotto che stira. Il piano di sotto della casa è freddo, le finestre aperte anche a dicembre. Il piano di mezzo è quello della Stufa, controllato da mio padre, e vi si possono cuocere le uova sul pavimento. Uova o bistecche. O zucchine. Scendo e vedo mia madre immersa in una nuvola di vapore. La osservo per un po'. C'è un cane, di sopra, le dico. Altro vapore esce dal ferro. Sì è di tua zia Mariuccia, mi fa lei. E perché è qui?, le chiedo. Non so, dice mia madre, zia Mariuccia è venuta a farcelo vedere e poi è andata via lasciandolo qui. Silenzio. Altre nuvole di vapore. Il vapore le avvolge le mani, il corpo, il viso. Scompare e poi riappare. Le dico: ma il vapore del ferro scotta? Lei mi guarda senza dire niente, poi prende il ferro e si sbuffa una nuvola di vapore direttamente sulla mano. Ahi!, dice sgranando gli occhi e ritraendo la mano, scioccata. Mi guarda. Senza dire niente. Anch'io non dico niente. Poi lei riprende a stirare e dice: sì.

1.12.22

Solitario (1146)

Oggi stavo volando. Io ho paura di volare. Accanto a me c'era però un comandante. Non il comandante dell'aereo. Che fortuna!, ho pensato. Perché quando volo non so mai interpretare i segnali: le virate, i motori che diminuiscono la spinta, le vibrazioni, le turbolenze, le hostess che si lanciano col paracadute. Ma con un comandante al mio fianco…, ho pensato. Avrei capito tutto. Tutto! E volato tranquillo. E così decolliamo e il comandante prende il cellulare e comincia a fare un solitario. Perfetto, ho pensato. L'aereo vira e lui neanche una piega, via di solitario. A posto, ho pensato. Poi qualche sballottamento, ma lui tranquillo: solitario! Bene, bene!, mi sono detto fregandomi le mani. Quando eravamo in quota, però, si è addormentato. Eh no!, ho pensato, così non va. Dunque l'ho svegliato chiedendogli di farmi passare per andare in bagno. Anche se in realtà io non ero seduto dov'era seduto lui, eravamo entrambi col posto che dà sul corridoio. Ma dovevo svegliarlo. Lui ha borbottato qualcosa e poi, visto che ormai era sveglio, si è messo a giocare al solitario. Ottimo!, ho pensato. Poi però l'aereo ha cominciato a fare dei rumori strani. Il comandante, neanche una piega: solitario. Ok, ho pensato, va bene. Poi l'aereo è diventato silenzioso, come se si fossero spenti i motori, e ha cominciato ad andare giù. Guardo il comandante: una pasqua. Mm, ho pensato. Staremo già atterrando? Glielo chiedo: stiamo già atterrando? Lui mi guarda e mi dice: no. Poi riprende col solitario. Nel frattempo scendono le mascherine, a bordo qualcuno comincia a pregare, a piangere. E il comandante? Solitario. Poi il comandante alla guida dell'aereo dice all'altoparlante: signori, purtropppo stiamo precipitando sulle montagne, preparatevi all'impatto, oppure no, cambia poco. Guardo il comandante seduto di fianco a me: solitario. E che cazzo!, dico. Ma non si accorge di niente?!, gli dico mentre con una manata gli faccio partire il cellulare. Lui mi guarda, poi recupera il cellulare dal pavimento, guarda il solitario, poi fuori dal finestrino, poi torna al solitario. Così l'aereo si schianta. Sopravvissuti? Neanche a dirlo, io e il comandante. Non quello che pilotava l'aereo. Gli vado vicino - siamo sul Monte Bianco, fa freddo - e gli dico: comandante, tutto bene? Lui sta trafficando col cellulare. Cerca di chiamare soccorso, penso. Poi guardo il display: solitario. Mm, penso. Lui a quel punto si accorge di me, mi guarda e mi fa: non dovevo mettere la donna di quadri. Io guardo il display e poi gli dico: no.

21.11.22

Fare strada (1145)

Ho acquistato delle scarpe difettose: le stringhe si slacciano. Specialmente quelle della scarpa sinistra. Così sono andato in negozio e ho fatto presente la cosa. A servirmi, se così si può ancora dire, una ragazzetta con la gomma da masticare. La gomma da masticare può indicare: strafottenza; rilassatezza di costumi; nervosismo per il fatto di lavorare in un negozio di scarpe senza sapere nulla di scarpe né aver alcun interesse nelle scarpe; xerostomia. Prendo nota di questo sul mio taccuino cartaceo. Intanto la ragazza mi guarda e mastica la gomma. Ha bisogno?, mi chiede. Certo, le dico, possiamo andare nel suo ufficio? Lei mastica ancora un po' di gomma e mi squadra. Ragazzetta, penso scuotendo la testa, ragazzetta mia. Dove ti condurrà questo atteggiamento? Non è così che si fa carriera nel difficile campo delle commesse di negozi di scarpe a buon mercato. Intuendo che la ragazzetta non ha un ufficio e che consuma i suoi pasti in un camerino, indico le scarpe che ho ai piedi. Lei le guarda. Poi guarda di nuovo me. Silenzio. Si slacciano, dico allora. Specialmente la sinistra, dico. Sono allacciate, dice la ragazzetta senza nemmeno più controllare. E se si fossero slacciate nel frattempo? No no, penso, questa strada porta dritta al licenziamento e a un lavoro meno prestigioso, tipo, che so, mm. Senta, dico allora, adesso cammino cinque minuti per il negozio e vedrà che si slacciano. Faccia come vuole, dice la ragazzetta lasciandomi lì. Così comincio a camminare per il negozio, faccio anche qualche metro di corsa e una capriola. E la scarpa (sinistra) si slaccia. Ah!, penso. Una commessa più anziana mi dice: guardi che ha la scarpa slacciata. Ah!, penso. Esatto, dico togliendomi la scarpa e mostrandola alla commessa anziana. Che poi, anziana. Trent'anni. Ma niente gomma da masticare e uno sguardo che mostra una sincera passione per il suo lavoro. Mi faccia vedere, mi dice prendendo la scarpa. Lei farà strada, le dico. Lei esamina la scarpe e intanto dice: è quindici anni che lavoro qui. Be', dico, tornando alla scarpa: si slaccia. Vedo, dice la commessa. Poi mi restituisce la scarpa. Io torno a indossarla, allaccio le stringhe. So che la commessa mi sta osservando con attenzione. Faccia il doppio nodo, mi dice quando ho terminato. Faccio il doppio nodo, ma la stringa si slaccia. Vede?!, dico. Voglio effettuare il reso, dico. Signore, mi dice la commessa sorridendo pazientemente, da quanto indossa quelle scarpe? Un mese, dico togliendomele e porgendole alla commessa. La commessa le respinge delicatamente. Non possiamo più accettare il reso, mi spiace, dice. E io: cosa?! Ma questo è assurdo, ho sforato il periodo di recesso di soli sedici giorni e tre ore!, dico. Sono tutte segnate, dice la commessa. La gomma è consumata, dice. Ma quale consumata, dico io, una spazzolata con acqua e bicarbonato e torna come nuova. E cos'è quel segnetto nero, ha scritto qualcosa sul lato?, mi chiede la commessa osservando le scarpe. Il mio nome, dico, Joey. Per caso è un reato?, chiedo allargando le braccia e rivolgendo a tutti gli altri clienti presenti nel negozio. Loro mi guardano e poi tornano a valutare scarpe. La commessa sorride. Non è un reato, Joey, ma la politica dei resi del negozio mi impedisce di accettare il reso. Ah!, dico. Bella politica, dico, bella politica davvero! Allora adesso esco e sputo in faccia al primo che passa e se lui si lamenta dico: scusa ma è la mia politica di relazioni sociali!, dico. Oppure prendo sei pullover, vado in cassa e quando mi viene presentato il conto dico: scusate ma non pago, è la mia politica sui pagamenti! Oppure... Mi spiace, dice lei. Sembra davvero dispiaciuta. Va bene, le dico tornando calmo, lascio perdere, ok? La commessa annuisce lievemente e dice: grazie per la comprensione, Joey. E senti, aggiunge, vuoi che provi ad allacciarle io? Le scarpe?!, chiedo, sorpreso. Sì, le scarpe, Joey. Oh, dico, sarebbe inutile ma gentile. Bene, dice la commessa, così si china e mi allaccia le scarpe. Lo fa con sicura maestria. Poi si alza e mi dice: dovrebbe andare. E io: grazie, commessa anziana (lei qui aggrotta la fronte), e se per caso si dovessero slacciare posso tornare qui e me le cambi? No, Joey, mi dice lei, no. Ok, dico io, e me ne vado (le scarpe non si sono ancora slacciate).

8.11.22

1144.

Sul nuovo numero di Wu magazine, qui, spiego con incantevole spensieratezza perché gli attivisti che imbrattano vetri di protezione di opere d'arte avrebbero in realtà un solo modo di lasciare un segno nel mondo: produrre opere d'arte.

7.11.22

Casualità (1143)

A proposito dei miei, oggi sono passato a vedere come stavano, sono un figlio premuroso. La mia visita è caduta proprio all'ora di pranzo. Casualità. Scendo dalla macchina, parcheggiata sui gladioli di mio padre, e mi incammino verso casa dei miei pensando: sottocosce al forno? Fiorentina? Tortelli? Polpette di patate? Lasagne? Ma prima ancora di arrivare ai gradini, noto una cosa strana: un uomo del tutto somigliante a mio padre, in giardino, che gioca con dei tronchi e una motosega. Penso: perché non è a tavola? Così vado a chiederglielo. Presto, gli dico, che si fredda! Lui spegne la motosega e mi guarda. Intorno alla testa uno sciame di moschini. Sono intorno anche alla mia. Quanti moschini!, dico cercando di scacciarli e tirando la zip della giacca fino al collo. Lui dice: non li noto neanche. Che bello!, dico. Poi ripeto la frase che è fondamentalmente il cardine della mia presenza lì: a tavola, si fredda! Lui mi si avvicina. È un po' duro d'orecchi, probabilmente zeppi di moschini morti, penso. Cosa?, mi fa. Terza volta: si fredda!, dico senza neanche bestemmiare. Hai cucinato?, mi fa, ridacchiando. Mi dà noia il fatto che ridacchi. Come se non sapessi cucinare. Non c'è tua moglie?, chiedo. Lui scuote la testa e indica un cumulo di terra lì vicino. Voleva essere cremata, dico. Lui ride e rimette in moto la motosega e dice qualcosa che non posso capire. Deve essere bello essere sordi, penso. Per esempio puoi usare la motosega tutto il giorno e la sera non ti fischiano le orecchie. E non ti danno fastidio i moschini, a quanto pare. E non hai fame! Va be', ciao, dico facendo ciao con la mano. Lui mi saluta toccandosi la tesa del cappello come nel vecchio West. Entro in casa. Figurati se quella non ha lasciato una teglia di qualcosa da qualche parte, penso. O una torta. Fa sempre torte. Non sono quasi mai per noi, ma le fa. E a me non frega niente se qualcuno ha ordinato una torta, se la intercetto me la mangio. La torta è mia finché non esce dalla casa dei due tizi che mi hanno messo al mondo, queste le regole. Ma in casa non c'è niente. Tocco il forno e dico: non viene acceso da giorni. Apro un cartoccio con una biro: finocchi. Scuoto la testa. Prendo il cartoccio e lo butto nella spazzatura. Prima rovisto con la biro nel cestino, facendo luce con il telefono. Si sa mai. Niente, però. Apro il frigo, ci sono tre bottiglie di latte a una mozzarella. Non hanno neanche fatto la spesa, penso. Scendo e apro il secondo frigo: carote, formaggi, yogurt. Mm, penso. Apro il secondo forno: camicie. Mm, penso. Torno di sopra, poi fuori. Passa un gatto, lo saluto. Il gatto affretta il passo. Guardo l'ora e penso: zia Mariuccia! Le scrivo un messaggio: ciao zia! Passo a salutarti? Lei risponde subito: certo, Joey, sto facendo la trippa. Le rispondo: non ho tempo, zia, scusa. Lei non visualizza. Torno a casa.

5.11.22

Segui le istruzioni e basta (1142)

Ieri sono andato a pranzo dai miei. Avevo chiamato mia madre per chiedere del menù. C'è sempre un menù. Ieri prevedeva: ceci. Lo capisci quando non sei gradito o previsto perché le risposte sono assurde. Cosa mangiate oggi? Ceci. Dai. Ti sta dicendo: puoi venire, se riesci a scavalcare il filo spinato, ma troverai solo un secchio di ceci, figliolo. Allora ho scavato un po'. Nella testa di mia madre, dico. E alla fine mi ha detto che faceva ceci con costine di maiale con crostini in umido. Voglio dire, altro che ceci. Così sono andato e lei per dirottarmi dai ceci con le costine ha fatto degli gnocchi e una torta di mele. Perché per lei questo piatto era importante. Mentre sorbiva il brodino, infatti, diceva: questo piatto si faceva il giorno dei morti e si diceva: così moriamo anche noi. Non so perché. Poi così per parlare ho chiesto che fate oggi. Hanno centocinquant'anni in due quindi ti aspetti che la risposta sia: niente, aspettiamo. Invece avevano un programma fitto: comprare una motosega, dei bulbi, poi andare al cimitero a omaggiare i morti. Mia madre dice: Joey, ascolta, quando muoio devi cremarmi. Io?, le dico. Di persona?, le dico. Non saprei da dove comin…, faccio per dirle, ma lei mi ferma tirandomi una costina in testa. Zitto, dice. Ascolta tua madre, dice mio padre mangiando altri gnocchi. Fammi cremare da un'azienda autorizzata, dice mia madre. E fai cremare anche tuo padre, aggiunge. Mio padre intanto mi fa segno di no con il dito. Sembra che lui non sia d'accordo, le faccio notare. Lei scuote la testa. Non hai capito niente, Joey, mi dice. Lui lo cremi insieme a me, dice, punto. Anche se non è morto?, chiedo. Certo, dice lei. Mio padre intanto si sta tagliando una fetta di torta. Dalle dimensioni sembra che la cremazione sia prevista per il pomeriggio. E poi le ceneri le metti nella stessa urna, mi dice mia madre. Che schifo, le dico. Perché?, mi fa lei. Non so, le dico, mi sembra poco igienico. A quel punto cominciano a discutere del luogo della sepoltura. Mia madre vuole essere cremata al suo paese, Puertarocca. Mio padre al suo, San Paco Llorente. Su questo non transigo, dice. Mia madre lo guarda e sorride, poi mi fa: tutti e due a Puertarocca, stessa urna. Ok, le dico. Scusa però, le chiedo prima di andarmene, voi credete nell'aldilà, no? Allora che vi frega di dove vi seppelliscono e come? Mio padre dice: noi crediamo sia nell'aldilà che nell'aldiquà. Mia madre dice: sono già d'accordo con mia cugina Sabrina che viene a cambiarmi i fiori, Joey, segui le istruzioni e basta, ok? Ok, le dico, e vado via.

2.11.22

Snack volanti (1141)

Ieri ho aggiustato la lavatrice. È stato semplice, si trattava soltanto del filtro intasato. Così ho estratto il filtro e dentro ho trovato lanugine e alcuni pezzi di ferro arrugginiti che non mi ricordavo di aver lavato. Ho immaginato fossero pezzi della lavatrice, cose che erano dentro e che per qualche ragione (uscire?) erano finite fuori. Poco male, ho pensato, e le ho ributtate dentro, nel cestello, ho fatto un programma di centrifuga e scarico e voilà, i pezzi di ferro arrugginiti erano tornati dentro l'elettrodomestico, che poi ho cominciato a usare come fosse nuovo. Amo le lavatrici. Anche le lavastoviglie. Meno i frigoriferi. Ma dei frigoriferi parliamo un'altra volta. Quello che mi piace di lavatrici e lavastoviglie è che, fondamentalmente, sono delle scatole vuote con tre pulsanti. È questo che mi aspetto dalla tecnologia: semplicità. E pulsanti. Metti dentro la roba sporca, premi un pulsante (uno qualsiasi, sono uguali), te ne vai, torni, ecco fatto, ci puoi mangiare in quei pullover. Ho scoperto tra l'altro che lavatrice e lavastoviglie sono intercambiabili, così ormai non ci faccio più caso e mi capita di prendere le stoviglie sporche e buttarle nel cestello della lavatrice, prendere i pullover sporchi e buttarli nel cestello della lavastoviglie, scambio i detersivi, i programmi, eccetera. Nessuna differenza. Per estrarre le stoviglie dalla lavatrice devo usare ovviamente l'aspirapolvere, altro elettrodomestico che amo, essendo semplice (scatola vuota con tre pulsanti e un tubo), ma che odio perché, a differenza di lavatrice e lavastoviglie, si sposta e fa molto rumore. Ma sto dicendo ovvietà. Però a volte immagino un aspirapolvere che non si sposta e aspira tutto da fermo. Sarebbe bello. Se fossi il proprietario di un'azienda che produce e vende aspirapolvere, direi ai miei ingegneri: fatemi un aspirapolvere silenzioso che aspira da fermo, e quando dico silenzioso intendo dire che non ci deve essere alcuna differenza tra quando è acceso o spento. Così immagino polveri e oggetti di vario genere che fluttuano per casa a mezz'aria, in silenzio. Potrebbe accadere durante una cena con gli ospiti: si sta mangiando e parlando e intanto nuvolette di polvere aleggiano sopra il tavolo. Gli ospiti sarebbero istruiti a ignorare la cosa. Certo immagino un'arachide, ogni tanto, in mezzo alla polvere, può capitare. Un ospite non particolarmente intelligente la prende e la mangia. Io non direi nulla. Forte questo sistema di snack volanti, direbbe prendendo un ragnetto rinsecchito. Io sorriderei versandomi altro vino. E, adesso che ci penso, anche la lavatrice e la lavastoviglie forse potrebbero aspirare panni e stoviglie, no? Perché devo essere io a metterceli? Altri due flussi. Certo se accendessi tutti e tre contemporaneamente la roba si mescolerebbe. Va be', a questo penseremo dopo, intanto facciamo queste modifiche. Purtroppo non c'è tempo per parlare del frigorifero.

1.11.22

Ma certo (1140)

Sono andato in un negozio a prendere un caricatore per il telefono. Il commesso, un indiano, me ne ha dato uno e mi ha detto: «Se non dovesse andar bene, torna qui e te lo cambio». Perché non dovrebbe andar bene?, ho pensato. Gentile, comunque. Il tizio mi guardava come se fossi un coglione, ho notato di sfuggita. Perché dovrei essere un coglione?, ho pensato. Certo mi sono detto che se fai quel lavoro vedi un sacco di gente e i coglioni li riconosci al volo. Me lo sono immaginato mentre, a cena con amici, dice: se fai il mio lavoro vedi un sacco di gente e i coglioni li riconosci al volo. Prendete il tizio che è venuto oggi, un bianco alto che cercava un caricatore per il suo telefono: ho capito subito che era un coglione. Allora mi sono detto: Yamir, aiuta questo coglione e verrai ricompensato da Vishnu. Così gli ho detto: «Se non dovesse andar bene torna qui e te lo cambio». Lui era contento. Mi sono detto: Yamir, hai fatto una buona azione, vedrai che tornerà. Ero sicuro che sarebbe tornato. Dopo tanti anni che faccio questo lavoro capisco subito se uno torna o no. Infatti questo è tornato. In mano aveva il caricatore che gli avevo appena venduto, il suo telefono e il cavo per ricaricare. Io lo guardo con calma, cercando di trasmettergli la mia stessa calma. Sapete, amici, quanto io sia calmo. Ma il tizio era agitato e mi dice: «Purtroppo il mio cavo non entra nel caricatore». Me lo dice mostrando il cavo, un normale cavo usb. Allora ho preso il caricatore e l'ho esaminato, poi ho sollevato la linguetta della pellicola protettiva e gli ho detto: «Hai provato a togliere la pellicola protettiva prima di inserire il cavo?». Qui il tizio bianco è diventato ancora più bianco. Mi ha sorriso e ha detto: «Mi sento uno stupido». Io ho pensato: lo sei. Gli ho sorriso e lui se n'è andato. Tornerà, ho pensato. Infatti è tornato. Torna e mi dice: «Mi scusi, volevo dirle che non sono uno stupido, sono molto intelligente invece». «Ma certo» gli ho detto, impassibile.

26.10.22

Cavatappi (1139)

Una domanda che mi faccio spesso è: mi bevo o non mi bevo una birra? O del vino. Insomma bevo o non bevo? Me lo chiedo continuamente. Non la mattina, certo. Diciamo verso sera. Come l'altra sera, che passo a trovare zia Mariuccia e lei mi parla delle sue ortensie e io annuisco e dico le ortensie, certo, ma in realtà sto pensando: me la bevo o non me la bevo, 'sta birra? A quel punto basta davvero niente per farmi decidere per il sì o per il no. Per esempio zia Mariuccia mi dice di entrare, che ci beviamo qualcosa. Ti bevi una birra, Joey?, mi chiede. Io faccio finta di pensarci su. Di non averci pensato fino a quel momento, di non pensarci continuamente. Mm? Una cosa? Una birra? Ma sì, dai, dico come se fosse uguale. Lei allora mi fa: o se preferisci una bibita. Zia Mariuccia dice ancora bibita. Io faccio finta che sia allettante, una bibita. Una bibita invece di una birra. Mm, penso, come se stessi soppesando. Ma sì, vediamo, dico. Poi quando siamo dentro, prima che arrivi al frigo e le venga in mente di darmi davvero una bibita, dico: senti, zia, mi sa che bevo una birra. Allora lei prende la birra dal frigo. Lo fa con calma. Mi dà un tovagliolo. Boh. Poi il bicchiere. Lo guarda in controluce. No questo non va bene, dice. Altro bicchiere. Io intanto sorrido e la osservo con calma, come se non me ne fregasse niente, ma sì, mettiamoci tre ore. Dammela, questa birra, o non darmela, è uguale! Ecco cosa dice il mio sorriso. Poi mi mette la birra sul tavolo. Chiusa. E comincia a cercare il cavatappi. Ma dove l'ho messo?, dice frugando in un cassetto dove è evidente, lo vedo da lì, che il cavatappi non c'è. Magari è il cassetto dei bottoni. Dei tovaglioli. Delle supposte. E lei cerca. Stupida vecchia, penso. Purtroppo non so stappare la birra con qualcosa che non sia un cavatappi, il mio amico Giorgio usa un accendino, la mia amica Carla le chiavi della macchina, la mia amica Paola il bordo del tavolo, il mio amico Roberto i denti. A me invece serve il cavatappi. Ma zia Mariuccia non lo trova. Allora arriva e fa per riprendersi la birra. Io afferro la birra con la mano. La tengo stretta. Zia Mariuccia mi guarda. Non ho il cavatappi, tesoro, dice. Trovalo, penso. Lo cerco io, zia, le dico sorridendo. Penso di averlo prestato alla Carolina, dice zia Mariuccia. La Carolina è la vicina di casa, altra vecchia. Ah sì?, dico, allora vado a riprenderlo! Zia Mariuccia mi guarda dubbiosa. Io le sorrido. Ho una bibita, se vuoi, mi dice, quella ha il tappo a vite. Le sorrido. Le accarezzo la testa. Le do un bacio in fronte. Ci metto un attimo, le dico. Ma guarda che… comincia a dire lei, ma io sono già fuori, scavalco la rete, attraverso il giardino di Carolina, arrivo alla porta, suono, busso, grido: Carolina! Carolina! Ma niente. Non c'è. Impreco, prendo a calci un vaso. Carolina!, grido ancora. Passa uno in bici, in strada. Rallenta, mi guarda. Ha un cavatappi?, grido mostrando la birra. Lui se ne va pedalando più forte. Imbecille, penso. Con una bici figurati se non riuscivamo ad aprire una birra, penso. Dopo cinque minuti sono di ritorno da zia Mariuccia, col cavatappi e un'espressione trionfante. Mi siedo, stappo la birra, ne bevo metà con un sorso. Ahh, dico. Zia Mariuccia mi fa: dove l'hai preso il cavatappi? Sta bevendo una Fanta. Meglio, penso, più birra per Joey. Mm?, le dico. Da Carolina, dico. Zia Mariuccia aggrotta la fronte. Ma è andata in pellegrinaggio martedì, mi fa. Stavo per dirtelo, mi fa. Ah sì?, dico io. Pensa un po', dico. E finisco la birra. Poi vado al frigo e ne prendo un'altra, la stappo, mi siedo e comincio a berla. Pellegrinaggio, eh?, dico. Eh già, dice zia Mariuccia, sospettosa. Forte, le dico mentre vado a prendere la terza birra.

19.10.22

Cala (1138)

Dopo l'appunto sulla tizia obesa ho ricevuto alcune mail di protesta da tre lettori obesi e da un lettore non obeso ma che vorrebbe tanto esserlo. Sostanzialmente dicevano tutti: cattivo! Ma io cosa c'entro?, ho risposto, è stata Carla a dire tutte quelle insensibilità. Loro: non è colpa nostra se siamo obesi, siamo nati così! Bah. Comunque a proposito di non essere cattivo, stamattina stavo facendo colazione con il mio amico Giorgio e a un certo punto si avvicina un mendicante. Tende la mano, sul palmo ci sono delle monetine. No, grazie, gli dice Giorgio. Il mendicante allora guarda me, io esamino le monetine. Mm, dico, prendo quella da cinquanta centesimi, mi serve per il parcheggio. Quant'è?, gli chiedo. Due euro, dice lui. No no, dico io rimettendo la monetina sul palmo della sua mano, troppo! Un euro e cinquanta, dice allora il mendicante. Cala cala, dico io ridendo, ti do al massimo un euro, prendere o lasciare. Il medicante ci pensa su, poi accetta. Va bene, dice. Così prendo la monetina da cinquanta centesimi, gli do un euro, lui se ne va a un altro tavolo cercando di vendere la monetina da un euro a cinque euro. Mica scemo, dice Giorgio. Eh, caro Giorgio, è così che si fanno i soldi, gli dico buttando la monetina da cinquanta centesimi nel posacenere. Non ti serviva per il parcheggio?, mi fa Giorgio. Ma va', dico io, era solo per farlo contento.

3.10.22

Apecar (1137)

Ieri pranzo con la mia amica Carla. Al tavolo vicino al nostro c'erano due tizie, di cui una in evidente sovrappeso che a un certo punto si è messa a parlare con l'amica del suo problema, cioè, per l'appunto, l'essere evidentemente in sovrappeso. Da quel momento io e Carla abbiamo smesso di parlare e ci siamo dedicati all'ascolto della conversazione. La tizia sovrappeso ha detto «Guarda, ho passato la vita a seguire diete». Carla ha tagliato la punta di un asparago scuotendo la testa. Poi la tizia ha detto «E non sai che fastidio gli sguardi e i commenti della gente». Carla ha bevuto un sorso di spremuta di carota alzando gli occhi al cielo. Poi la tizia ha detto «Ogni giorno combatto contro il mio corpo e il mio metabolismo». Carla si è accesa una sigaretta e ha cominciato a mangiarsi un'unghia. Poi la tizia ha detto «E ti giuro che mi sono allenata tanto, anno dopo anno». Carla ha fatto una risatina. Poi la tizia ha detto «Ho provato qualsiasi cosa per perdere peso, credimi». Carla è sbottata in un «Ah!», tanto che le due tizie si sono voltate. Carla le ha fissate. Le tizie sono tornate ai loro affari. Carla ha spento la sigaretta nei resti della sua triglia, poi ha ordinato il caffè. Quando le tizie se ne sono andate, le ho detto:
«Dai».
«Dai cosa?» ha detto lei.
«Commenta».
«I discorsi di quella? Be', non c'è molto da dire».
«Ok, allora possiamo parlare d'alt...».
«A parte che se avesse davvero passato la vita a seguire diete, adesso sarebbe magra».
«A meno che non abbia passato la vita a seguire diete per ingrassare» ho detto io.
«Giusto».
«Vai dal dietologo e ti dice: "Allora, mi raccomando, colazione con nove krapfen alla crema, due panini al prosciutto, un litro di latte con venti zollette di zucchero e cinque fette di cotechino, poi a metà mattina…"».
«Esatto. Se invece una segue diete per dimagrire, di solito dimagrisce».
«A meno che non abbia un morbo x che impedisce al suo corpo di dimagrire».
«Ok, ma in quel caso dovrebbe fare una dieta per guarire dal morbo x».
«Sì» ho detto io.
«Dieta che non seguirebbe».
«Immagino di no».
«Perciò la frase corretta era: ho passato la vita a seguire diete, fallendo».
«Poveretta, però».
«Ma per favore. Poi cos'è che ha detto? Ah sì: che le danno fastidio i commenti e gli sguardi della gente. Ma che sguardi, poi?».
«Non so, tipo delle persone con gli occhi».
«Povera stella. Ma a quanto pare non le danno veramente fastidio, no? Altrimenti sortirebbero qualche effetto».
«Mm, dici che i non-obesi non si impegnano abbastanza per insultare in modo più stimolante ed efficace gli obesi?».
«Forse. Ma secondo me gli obesi vorrebbero essere incoraggiati, premiati, celebrati per la loro obesità».
«Vorrebbero il primo presidente obeso» ho detto io. «O il primo recordman sui cento metri piani obeso. Se io fossi obeso e non volessi dimagrire, penso che farei il lottatore di sumo. Ehi ciccione!, mi direbbe la gente, perché non fai un po' di sport? E io: faccio sumo. E loro: ah».
«Forse dovremmo ingrassare noi. Così loro sarebbero normali».
«Io non riesco a ingrassare, Carla, per quanto mangi. Non so perché».
«Hai le ossa piccole. E poi, scusa, ancora la storia del metabolismo. E cos'è che ha detto? Ah sì, combatto contro il mio corpo».
«Non credi sia vero?».
«Ma il corpo poverino, cosa vuoi che faccia? È solo un sacco e lei ci ficca dentro quintali di immondizia. È il suo corpo che combatte ogni giorno. Per restare in vita».
«Però ha detto che si allena, tanto, da anni».
«Sì, e ora può frantumare putrelle con le mandibole. Dai, Joey, per favore. Io mi alleno, tanto, da anni. Credi che questo fisico incredibile si mantenga da solo?».
«Non so, come ti ho detto sono magrissimo pur mangiando tutto quello che voglio, mangio cinque pizze a settimana e non metto su un grammo».
«Avrai il verme solitario. E poi quando ha concluso dicendo "ho provato di tutto per dimagrire"? Volevo dirle: hai provato anche a mangiare meno?».
«Avresti dovuto dirglielo».
«Dici?».
«Sì, secondo me non ci ha mai pensato».
«Da che parte è andata?».
«Di là».
«Non sarà lontana, considerata la stazza».
«Magari la sua amica ha un Apecar».
«Vero. Tu non vieni?».
«No, resto qui a mangiare la torta con la panna».
«Bravo».

28.9.22

Come non barare a scacchi (1136)

Come sapete tutto il mondo parla della querelle tra Magnus Carslen, il campione del mondo di scacchi, nonché tra i più forti di sempre se non il più forte e persona estremamente gentile e simpatica per cui tra l'altro faccio il tifo, e Hans Niemann, un tizio che ha ammesso in passato di aver barato online e che sembra molto meno simpatico il che ovviamente non è una colpa né una prova di colpevolezza ma comunque non aiuta specialmente in casi come questo, visto che la suddetta querelle riguarda proprio il fatto che, secondo Carlsen, Niemann ha barato in una loro recente partita. Non sto qui a riassumere né mi addentro nella questione anche se mi piacerebbe. Siccome nessuno, di quelli che pensano che Niemann abbia barato, finora è riuscito a capire come possa aver fatto, è stato ipotizzato che ricevesse informazioni da un suggeritore esterno tramite perline anali vibranti wireless. Dico davvero. Niemann ha detto che è disposto a giocare nudo. Ora, credo che non verrà fuori molto da questa storia e che al massimo si cercheranno altri modi per impedire in futuro alla gente di barare, o per impedire alla gente di avere il dubbio che qualcuno abbia barato. Secondo me, la soluzione è in realtà semplice e si chiama scacchi bullet, una specialità dove barare è impossibile, e di cui lo stesso Magnus dà qui una gradevole dimostrazione:

27.9.22

Acqua di scarico e miele (1135)

Vado dal nuovo medico. Perché un nuovo medico? Semplice: sono in corso le selezioni per trovare il mio nuovo medico. I candidati non lo sanno. Ma in fondo lo sanno. Intendo: non ci sentiamo un po' tutti sempre sotto esame? Prendete la persona che vi sembra la persona più sicura di sé del mondo. Ecco, quella persona, anche se non ci credete, si sente sempre sotto esame. Anzi oserei dire che più una persona sembra sicura di sé e più si sente sotto esame, perché ha una responsabilità verso la propria immagine di persona sicura di sé, ma la caduta è sempre dietro l'angolo. Cristiano Ronaldo, per dire. Io quando guardo Cristiano Ronaldo e vedo tutta quella sicurezza di sé, tutta quella spacconeria, penso: poverino, sembra terrorizzato. Da se stesso, intendo. E questo vale per tutte le persone sicure di sé, mi verrebbe voglia di farle sedere, mettere loro addosso una coperta (non ho freddo/certo, certo) e dire: adesso riposati, tranquillo, per cinque minuti puoi essere una merda anche tu. Ma torniamo al nuovo medico, alle selezioni. Il precedente candidato non ha superato l'esame, anzi diciamo pure che ha fallito dopo settantanove secondi, quasi un record. Come fallisce l'esame un candidato? Semplice. Sono in sala d'attesa con visita regolarmente prenotata presso il Ministero della Salute, arriva una tizia all'ultimo momento, si fa vedere dal medico attraverso il buco della serratura e lui la fa entrare prima di me. Io non batto ciglio, prendo il taccuino e segno un meno, anzi due, uno al medico e uno alla tizia (categoria: cittadini. Ora che ci penso dovrei mettere un doppio meno al medico: uno in quanto medico e uno in quanto cittadino, perché un cittadino che fa male il mestiere di medico non è solo un cattivo medico ma anche un cattivo cittadino). Poi entro, la tizia mi incrocia, mi sorride e si scusa (segno un meno: ipocrita). Il medico non indossa il camice (meno), non porta la mascherina (meno), è in sovrappeso (meno), puzza di sigaretta (meno), non si veste rispettando i dettami del cerchio di Itten (meno). Qui siamo a dieci secondi. Peggio poteva fare solo dandomi un cazzotto. Veniamo alla visita. Prima volta che mi presento, mi aspetto che ascolti tutto quello che dico anche se decido di partire da quando mia nonna si è curata una scottatura immergendo il dito nell'acqua di scarico della lavatrice (o bevendola, non ricordo). Ma il medico neanche mi guarda (meno) e giocando a campo minato sul pc (meno. Fossero stati scacchi: più) mi dice «dimmi» (non mi dà del lei: meno). Cioè, potrei avere un'accetta conficcata nel cranio. Potrei essere verde. Avere un occhio che mi penzola dall'orbita. Schiuma che mi esce dal naso. Non ci siamo. Segno svariati meno sul taccuino e poi spiego che cos'ho. Il medico effettua la sua diagnosi sulla base del mio racconto senza fare domande (meno), non mi visita (meno, e qui siamo a settantanove secondi), mi prescrive un farmaco (meno), mi parla dei cazzi suoi, della sua personalità, dei suoi progetti (meno, meno, meno) e alla fine mi congeda. Arrivederci!, mi dice. Certo, dico io, e intanto sul cellulare sono già collegato al fascicolo elettronico e sto cambiando medico. Così arriviamo a quello nuovo, testato ieri. Mi fa entrare senza nemmeno alzarsi per accogliermi, anche lui niente camice, niente mascherina, non mi guarda, intento com'è a giocare a campo minato. Faccio per dirgli cos'ho, ma lui alza una mano. No, dice, non me lo dire. Eh?, dico io. Non mi dire niente, mi fa, non voglio suggerimenti. Resto in silenzio. A quel punto mi osserva. Mm, fa. Tosse?, mi chiede. Sì, dico, e… No!, dice lui, non dire niente. Tosse, tosse, tosse… secca!, dice. Resto impassibile. Bravo, mi dice lui. Allora, pressione… pressione 130/90. Resto impassibile. Pulsazioni 90. Febbricola intermittente. Bronchite. Leggera. A quel punto dico: mi ausculta i polmoni? Lui prorompe in una fragorosa risata. Ti faccio un test per il Covid, dice poi. Oh, bene, penso. Mi fissa per trenta secondi, poi dice: negativo. Prendi queste, mi dice lanciandomi una scatolina. E queste, mi dice lanciandomi un'altra scatolina. E queste e queste, mi dice lanciandomi altre scatoline. Non muovo un dito, le scatoline mi finiscono addosso, poi sul pavimento. Alcune a stomaco vuoto, altre a stomaco pieno, vedi tu, dice mentre torna a giocare a campo minato. Tutto qui?, dico io. Ma lui è già completamente assorbito dal gioco. Altrimenti sai cosa?, dice lui mentre me ne sto andando, me sempre dandomi le spalle, senza smettere di giocare. Mi fermo, la mano sulla maniglia. Cosa?, dico. Meglio di tutto, il vecchio rimedio della nonna: latte e miele. Io: o latte e cognac. Lui: ancora meglio. Io: o solo cognac. Lui: ancora meglio. Anzi, dice prendendo da un cassetto due bicchierini e una bottiglia, cominciamo subito. Versa il cognac, poi mi guarda e mi fa un cenno con la testa. Torno a sedermi. Alla tua, dice porgendomi il bicchierino. Brindiamo. Beviamo. Versa altro cognac. Perché non indossa il camice?, chiedo al terzo giro. Lui sbuffa, ride: non me ne frega un cazzo. Rido. Quarto giro. Mi sento già meglio, dico. Lui sorride: ci credo. E versa ancora. Ha delle patatine?, chiedo, sa, per non bere a stomaco vuoto. Lui: non servono, prendi queste. E mi lancia una scatola di gastroprotettori. Comincio a sgranocchiare le compresse. Delle salse?, chiedo. Lui mi passa del gel disinfettante. Al limone, mi fa strizzando l'occhio. Sorrido mentre intingo le compresse nel gel. Lei gioca a scacchi, dottore?, gli chiedo al quinto giro mentre, collegato al fascicolo sanitario, cambio medico. Lui: no. Poi mi chiede: tu giochi a campo minato? Io: certo. E ci mettiamo a giocare, felici.

25.9.22

1134.

Sul nuovo numero di Wu magazine, qui, spiego con incantevole ponderatezza perché i camion non dovrebbero mai sorpassare.

24.9.22

Rimedi per la bronchite (1133)

Avete la bronchite? Poco male. Un po' di bronchite ogni tanto ci vuole. Intanto, come l'avete presa? Non preoccupatevi, non è un virus, non sono neanche batteri: è il cambio di stagione, se sta cambiando la stagione, o l'aria condizionata, se l'avete usata, o un colpo d'aria, se c'è aria, e se non c'è allora sarà un'allergia, ai pollini se ci sono pollini, alle mandorle se vi piacciono le mandorle (anche se non le avete mangiate, non importa). Ma alla fine conta davvero sapere la causa della bronchite, per curarla? O sapere la causa delle cose in generale? Ecco la buona notizia: no! E occorre andare dal medico? A nessuno piace andare dal medico, hai solo da perdere ad andare dal medico, non è che il medico ti toglie la tosse, no? Io quando sono andato dal medico con la tosse, sono sempre uscito con: un ventaglio di diagnosi di malattie; farmaci da prendere; esami da fare; probabilmente nuove malattie contratte nella sala d'aspetto; cattivo umore; la tosse. In caso di tosse, il medico aggiunge solo problemi alla tua condizione. Oppure, se fosse onesto, niente: ti visiterebbe, ti ausculterebbe, direbbe mm, mm, e alla domanda «Dottore, cos'ho?», direbbe: «Non lo so e non mi interessa». Io poi spesso sono andato dal medico nascondendo i sintomi. «Dimmi tutto» diceva il medico. E io: «Sto bene». E lui: «Non hai una bella cera». E io: «Sto alla grande!». E lui: «A posto, allora». E io: «Arrivederci!». Poi appena in sala d'aspetto tossivo e sputavo roba nella sputacchiera (dove molta gente incivile mette l'ombrello). No, dal medico ci si va solo se si ha, per esempio, una spina conficcata da qualche parte. Ma ecco una seconda buona notizia (quante buone notizie, fanno quasi venir voglia di averla, questa bronchite): non occorre andare dal medico, o prendere medicinali, o spendere soldi, la bronchite si cura con alcuni semplici rimedi naturali, vediamoli insieme: il più conosciuto, il cosiddetto rimedio della nonna, è intanto avere una nonna, possibilmente viva, e ricavare dal suo corpo un fluido medicamentoso (vedete voi come) che andrà poi sciolto in una tazza di latte di nonna bollente (bollente il latte). Un secondo rimedio è preparare un intruglio di limone e aglio. Limone e aglio sono antibiotici naturali. Uno dirà: a cosa serve un antibiotico se la mia bronchite non è causata da batteri, o se è causata da virus che, notoriamente, sono immuni all'effetto degli antibiotici? Be', questo uno è troppo intelligente e pignolo, ne converrete, un tipo di soggetto che per fortuna è abbastanza difficile da incontrare nel mondo reale. Possiamo dunque ignorare l'obiezione e farci tranquillamente la nostra bruschetta limone e aglio. Potete mettere anche il peperoncino, un disinfettante naturale, così come lo zenzero, altro disinfettante naturale, la camomilla, l'aceto e il pino. Sì, il pino, disinfettante naturale misconosciuto, potete metterlo nella vasca da bagno e farvi un bagno rilassante e disinfettante, oppure tenerlo in piedi nella doccia. I suoi aghi potete invece spargerli sulla superficie della bruschetta e quando arriveranno in gola vi daranno un piacevole pizzicorio, nei bronchi faranno il loro lavoro disinfettante rilasciando delle cose e poi scenderanno con gradualità lungo tutto il tratto digerente spazzandolo come fibre dure e acuminate, cosa che in effetti sono. Attenzione però: gli aghi di pino possono dare problemi a chi soffre di emorroidi, o dare emorroidi a chi non ne soffre, quindi fate il possibile per non espellerli. Dovesse succedere, però, niente paura: in quel caso sì che ha senso andare dal medico, che, armato di pinzette e pazienza, risolverà effettivamente la cosa.

19.9.22

1132.

Una donna dovrebbe spingersi al di là di ciò che la sua mano arriva a stringere, o a cosa serve il cielo?

Quando siete felici, fateci caso, K. Vonnegut 



17.9.22

Sognare (1131)

Oggi sono andato a mangiare dai miei. Verso ora di pranzo mia madre mi chiama e mi fa: Vuoi venire a pranzo? No, forse vado al cinese, le dico. Ok!, mi dice lei. Poi mette giù. Due minuti dopo richiama. Ti ho fatto le tagliatelle col ragù, dice. Va bene, va bene, le dico, e dieci minuti dopo sono seduto al tavolo con loro. Come antipasto mia madre ha preparato panini col prosciutto. Vuoi un succo di frutta?, mi dice mettendo sul tavolo nove tipi diversi di succo. L'acqua va bene, grazie, le dico, e lei mette sul tavolo nove tipi diversi di acqua. Questa è al succo, mi dice indicandone una viola. Questa è al panino al prosciutto, mi dice indicandone un'altra. Grazie, le dico. Poi arriva con le tagliatelle. Queste sono per te, mi dice. Ma quante ne hai fatte?, le chiedo. Due etti, mi fa lei. Per questo hai dovuto metterle in una bacinella?, le chiedo. Lei sorride. La guardi la corsa di bici?, mi chiede mio padre. Perché dovrei?, gli dico annusando l'acqua viola. Passa sotto casa tua, mi fa lui. Mi verso un bicchiere di acqua normale. Odio quando passano cose sotto casa mia, gli dico, che mettono le transenne e non posso uscire liberamente. E dove devi andare?, mi fa lui ridacchiando. Da nessuna parte, gli dico, ma le transenne mi fanno venire una voglia irrefrenabile di andarci. Lui fa spallucce. Non te la prendere, caro, gli dice mia madre passandogli un cestino di panini al prosciutto. Lui ne prende due e li butta giù al volo con un sorso d'acqua. Perché dovrebbe prendersela?, dico io, mica è un ciclista. Adesso basta!, dice mia madre a mio padre, arrivato al quinto panino. Ne vuoi ancora?, mi chiede poi. Non ho ancora assaggiato queste, le dico indicando la bacinella di tagliatelle. Lei me ne dà un altro etto e mezzo da una bacinella più grande. Quando ho finito mi fa: se vieni domani ti faccio gli gnocchi. Le dico: sai che non mi piacciono. Lei: ma fanno bene. Dopo il pranzo torno verso casa. Lungo la via incontro alcuni ciclisti in tenuta da ciclista che si muovono contromano come dei veri ciclisti. Hanno il tipico sguardo incazzato dei ciclisti. Chissà perché sono sempre incazzati, i ciclisti. Io quando faccio qualcosa che mi piace sono contento, sorrido. E poi non ho mai capito perché i ciclisti devono fare le loro gare o gli allenamenti su strada, in mezzo alle macchine. Mi sembra pericoloso. Perché non li fanno nei campi?, mi chiedo mentre li supero zigzagando. Una volta nel mio appartamento, mi metto a fare le mie cose: lavatrici, scrivere opere letterarie, raccogliere cacche di gatto, sognare. Poi, dopo un po', sento in strada rumori di clacson, raggi di ruote, urla, fischietti. Mi affaccio, non so perché. Vedo passare uno stormo di ciclisti colorati, macchine, moto, ambulanze. Le corse ciclistiche non si capisce mai se sono già cominciate, penso. Poi guardo un vecchio con occhiali da sole e paletta, in mezzo all'incrocio. Quando sono passati i ciclisti usa la paletta per dirigere cose: traffico, gente, uccelli, nuvole. Lo immagino tornare a casa, la sera. Mettere la paletta su due apposite staffe, prendere una spuma dal frigo, sedersi in poltrona, accendere la tv, guardare Tempesta d'amore.

10.9.22

Ma che diamine (1130)

Stasera sono uscito e ho fatto un aperitivo da solo. Ovviamente come sempre tutti erano con qualcuno. Poi però ho visto, seduto a un tavolo, un tizio che anche lui faceva l'aperitivo da solo. E ho pensato: ma che diamine. Così ho preso la mia birra, le mie patatine e mi sono andato a sedere al suo tavolo. Lui non ha protestato. Chiaro. Sono rimasto lì in silenzio e mi sono fatto gli affari miei, e lui i suoi. Mangiavamo le patatine, ciascuno le proprie, e abbiamo bevuto le nostre proprie birre. A un certo punto mi è caduto un tovagliolo e lui non l'ha raccolto. L'ho raccolto io e non ho detto niente. Poi lui ha starnutito e io mi sono coperto il naso, non gli ho detto salute. Lui non mi ha detto grazie. Quindi ha guardato nella mia direzione e io ho guardato il display del cellulare. Poi io ho guardato nella sua e lui si è grattato la testa. È arrivato il cameriere e ha detto: vi porto altro? Non abbiamo risposto. Finito il suo drink, è andato via. Senza salutare. Io non lo stavo guardando, comunque. Poi ho finito la mia birra e sono andato a casa.

5.9.22

Davvero? (1129)

Allora, senti questo soggetto.
Vai.
C’è un tizio.
C’è sempre un tizio.
Sì ma qui c’è un tizio che quando tocca le persone…
Già fatto.
No, aspetta.
La zona morta, Unbreakable.
No.
Quando tocca le persone vede cosa faranno nel futuro.
No.
Nel passato.
No!
Vede le persone morte.
Be’…
Be’?
Sì.
Il sesto senso, Bruce Willis.
Non è un quiz, aspetta.
Ok.
Quando tocca le persone stabilisce un contatto con i morti.
Casper.
No, con i morti di quelle persone, i cari estinti, capisci, c’è un aldilà, la vita non finisce con la morte, c’è un oltre, c’è speranza, forse un Dio.
Ok, poi?
Come sarebbe poi?
Cosa succede dopo.
È questa l’idea.
Questa.
Questa.
Ah.
Naturalmente potremmo ideare storie parallele che poi…
Babel, Magnolia, America oggi.
Smettila.
Scusa, non volevo… storie parallele che poi?
Che poi convergono in quella principale.
Ahh… tutto è collegato!
Esatto.
I piccoli gesti che determinano grandi avvenimenti.
Esatto.
Signs!
No!
Ho capito, ho capito… se non avessi fatto questo allora non sarebbe successo quell’altro…
Precisamente.
Sliding doors.
Piantala.
La mosca che sbatte le ali a Pechino e…
La farfalla.
Eh?
Era una farfalla.
E c’è il terremoto a Stoccolma?
Sì. Cioè, non so, da qualche altra parte.
Non a Pechino, comunque.
Ma anche a Pechino, se vuoi.
Alla fine era una cazzo di farfalla.
Appunto.
Molto piccola rispetto a Pechino.
Esatto.
Non c'è bisogno di cambiare città.
No, infatti.
Molto piccola anche rispetto a, che so, Pizzighettone.
Sono molto piccole, confermo.
Molto piccola anche rispetto al mio soggiorno.
Sì.
Cioè una farfalla non dovrebbe essere in grado di causare un terremoto. Né altro. Anche a livello ambientale, se sparisse una farfalla, non è che…
Torniamo all'idea per il film?
The mothman prophecies?
No.
Allora mi arrendo.
Non era un quiz.
Lo scafandro e la farfalla.
Sì, bravo!
Davvero?!
No.

1.9.22

Il domatore di lycis (1128)

Ieri sera in pizzeria sento un cameriere dire a un altro cameriere:
«Il cameriere è il lavoro più difficile del mondo».
Mi è andato di traverso un lycis (avevo preso la pizza gamberetti e lycis). Sono caduto dalla sedia. Ho avuto le convulsioni. Intanto i camerieri si muovevano confusamente intorno a me senza però sapere come rianimarmi. Hanno provato a portarmi posate, tovaglioli, lattine di Sprite, persino il conto. Ma niente. Poi mi sono ripreso. Mi sono rimesso a sedere, mi sono fatto da solo la manovra di Heimlich e ho sputato il lycis in fronte ai camerieri (a entrambi: dopo aver colpito il primo sono andato a raccogliere il lycis che era rotolato sotto un tavolo, tra i piedi di una signora, sono tornato, ho rimesso in bocca il lycis e l'ho sputato sulla fronte del secondo cameriere) e ho chiesto al cameriere che aveva detto "il cameriere è il lavoro più difficile del mondo": «Ma più difficile del neurochirurgo?».
«Cosa?» mi ha chiesto lui.
«Più difficile del direttore d'orchestra?» ho chiesto.
«Eh?».
«Fare il cameriere, dico» ho detto io. «Mi chiedevo: è più difficile dell'ingegnere spaziale? Più difficile del pilota di caccia? O di F1. O di elicottero del soccorso alpino. Più difficile dello sherpa? Più difficile del vigile del fuoco? Più difficile dell'artificiere? Più difficile del funambolo? Più difficile del domatore di tigri? Più difficile dello stuntman? O dell'attore. O del cantante. Del drammaturgo. Più diff…».
«Ha finito?» mi ha detto lui.
«No» ho detto io, e sono andato avanti finché, circa mezz'ora dopo, arrivato a «più difficile del pizzaiolo?», il cameriere ha finalmente detto «sì», il pizzaiolo ha sentito, ha scavalcato il banco dove stende le pizze e si è avventato sul cameriere e si sono azzuffati mentre io mi gustavo una fetta di Torta della Foresta Nera pensando: certo non più difficile del pasticciere.

28.8.22

Meriti (1127)

Oggi mentre eravamo a pranzo al Gou Sheng, il mio ristorante cinese preferito, mia madre ha detto che mio padre, quando si confessa, dice al prete solo i suoi meriti. Mi ha fatto ridere.

27.8.22

Una sorpresa (1126)

Due giorni fa invece ho preso un aereo. L'aereo è partito con molto ritardo e mi sono ritrovato a volare a mezzanotte, che è stato bello, anche se volare per me è solitamente un'esperienza di pre-morte, morte, post-morte e rinascita con reincarnazione in me stesso, ma più stanco. Guardavo fuori dal finestrino e pensavo: siamo troppo bassi. Volevo anche dirlo al comandante ma purtroppo non si può. Così l'ho detto a una hostess, Sabrina. Sapevo che si chiamava Sabrina sia perché ce l'aveva scritto sul cartellino appeso alla camicetta, sia perché quand'ero salito sull'aereo le avevo chiesto se potevo andare al bagno e lei mi aveva detto sì e mi aveva custodito il trolley e io avevo pensato che era gentile come mia cugina Sabrina, una delle persone più gentili che conosca. Ho fatto un cenno a Sabrina, ho indicato il finestrino alle mie spalle e ho detto: Sabri, non è che stiamo volando un po' bassi? Sabrina ha dato un'occhiata fuori dal finestrino, benché dal corridoio fosse quasi impossibile, credo, e ha detto: no, Joey, tranquillo, è l'altezza giusta per quando hai un foro nella carlinga. Cosa?, ho detto io. Tranquillo, mi ha detto lei, e io mi sono tranquillizzato. A un certo punto il comandante ha annunciato che avrebbe cominciato le manovre per l'atterraggio nonostante fossimo ancora a un'ora dall'arrivo. Per una scommessa tra piloti, ha precisato. Il tizio seduto di fianco a me scuotendo la testa ha commentato: incredibile. Io gli ho detto: può scendere dal velivolo, se non le sta bene. Lui non mi ha risposto e si è messo a dormire con il laptop sulle ginocchia, che io gli ho rimboccato. Più tardi passa Sabrina con un'altra hostess e il carrellino. Joey?, mi chiede. Vorrei una bottiglietta d'acqua e un KitKat, Sabri, le ho detto. Lei me li ha passati, io le ho passato la carta di credito del tizio di fianco a me, lei mi fa un cenno come a dire: offre la casa. Grazie!, le ho detto io con gratitudine. Che belle le cose gentili, ho pensato. Poi mi sono messo il KitKat in tasca perché l'avrei mangiato più tardi in macchina, in autostrada. E infatti quando un paio d'ore dopo mi ritrovo in macchina, in autostrada, mi ricordo improvvisamente del KitKat e mi sento felice: è vero, penso, ho il KitKat! Per quello lo avevo preso anche se non mi andava di mangiarlo al momento: per farmi una sorpresa. Prendo la giacca e sfilo il KitKat dalla tasca, ma con grande dolore mi accorgo che è mezzo sciolto. Oh no, penso, e dopo aver valutato di mangiarlo lo stesso, rinuncio all'idea e penso solo a come sbarazzarmene. Chiaramente lanciarlo dal finestrino a 160 all'ora è un'opzione sempre valida, ma non sopraggiunge nessuno, così decido di metterlo nel vano della portiera, non so come si chiami, quello dove metti i cd e tutte le cose che non sai dove mettere: cartacce, biglietti dei parcheggi, gomme da masticare masticate. Così lo metto lì e riprendo a guidare e ovviamente me ne dimentico. Arrivato a casa è notte, lascio la macchina nel parcheggio, poi dopo la notte viene il giorno, con il giorno viene il sole, l'abitacolo raggiunge i 75 gradi, poi notte, poi di nuovo il sole, eccetera. Chissà. Questo mi ricorda quando ho dimenticato in macchina un Vhs preso a noleggio, il mese scorso. Qui a San Paco c'è un videonoleggio che ha ancora solo Vhs, è il negozio del signor Pascelli, ci vado da quando ero bambino. La cassetta era finita sotto il sedile della macchina e quindi l'ho riportata con un mese di ritardo. Il signor Pascelli mi fa: devo farti pagare il ritardo, Joey. Va bene Arturo, gli dico. Chiamami signor Pascelli, mi fa lui. Ok, gli dico. Senti, ti faccio un prezzo da amico, mi fa. Grazie signor Pascelli, gli dico. Qui lui calcola e un po' e alla fine dice: 90 euro. Fortuna che ce li avevo giusti giusti nel portafogli perché il signor Pascelli accetta solo contanti.

21.8.22

Non c'è bisogno (1125)

A proposito del mio amico Roberto, sono passato a casa sua, stamattina, e in cucina c'era un cartone della pizza con dentro una pizza. Intera. Ehi Roberto, gli dico, qui c'è una pizza intera. La vuoi mangiare?, mi chiede mentre traffica con la sua chitarra e delle corde (per chitarra, immagino). No che non la voglio mangiare, gli dico, sembra qui da due giorni. Anche tre, mi fa lui. Ma perché non l'hai mangiata?, gli chiedo. L'avevo presa per fare gli hot dog, mi dice. Per fare gli hot dog, certo, gli dico, non ci avevo pensato, scusa. Lui allora continuando a trafficare ma senza guardarmi mi fa: volevo farmi gli hot dog ma non avevo i wurstel, era tardi, mi sono detto: dov'è che posso trovare dei wurstel a quest'ora? Sollevo un lembo di pizza e gli dico: non c'è bisogno che tu aggiunga altro, Roberto, davvero. Ok, dice lui. Potevi chiamare me, gli dico. Li avevi?, mi fa lui. No, gli dico. E allora..., mi fa lui. Ma tu non lo sapevi, gli dico. Roberto alza le spalle. No, aspetta, gli faccio, hai detto al pizzaiolo di metterli sulla pizza interi, i wurstel, o tagliati per il lungo? Eh?, mi fa lui, no, non ho detto niente. Perciò erano a rondelline, gli dico. Mm?, mi fa lui, rondelline? Sì. Ah ok, gli dico, ora non c'è bisogno che tu dica altro. E lui: bene.

Una serata come tante (1124)

Ieri sera al pub il mio amico Roberto ha visto una ragazza che gli piaceva. Ha preso un tovagliolino bianco con sopra il disegno di un calice e ha scritto il suo numero con la matita per gli occhi della mia amica Paola. Che è anche sua amica. Della nostra amica Paola, allora. Poi si è alzato e è andato al tavolo della ragazza. Non si è seduto. Io e Paola lo guardavamo, mentre Carla e Giorgio non potevano, essendo di spalle. Roberto ha lasciato il numero alla ragazza, poi è tornato al tavolo. Paola ha scosso la testa e ha detto: coglione. Roberto le ha dato un bacio sulla guancia. Carla ha dato fondo al suo Cosmopolitan e si è accesa una sigaretta e ha soffiato una nuvola di fumo che però non era azzurra come nei romanzi, ma grigia come nella realtà. Giorgio ha letto un messaggio di sua moglie Abigaille che diceva: Nicola sta mangiando il divano. Nicola è il loro pechinese. O loro figlio, non ricordo. Intanto il telefono di Roberto non squillava. Abbiamo guardato tutti (e tre) la ragazza, che ci guardava a sua volta. Poi l'abbiamo vista prendere il tovagliolino con il numero di Roberto, stringerlo nel pugno, strapazzarlo, lasciarlo ricadere sul tavolo tutto spiegazzato, spazzarlo via con la mano e mettersi a parlare con un'amica. Siamo rimasti impassibili. Stronza, ha detto Paola. Starà parlando di me?, ha chiesto Roberto. No, ho detto io. Come lo sai?, ha detto Roberto. Lo sa, ha detto Paola. Poi è arrivata una cameriera e ha raccolto i vuoti. Le ho detto: mi porti una bottiglia di champagne e un calice? Grazie, ha detto Paola. E due calici?, ho detto allora. Lo sai che non abbiamo champagne, Joey, ha detto la cameriera. Non puoi andarla a prendere al Gato Negro?, le ho detto. Il Gato Negro è il bar rivale del Cerveza Enojada, qui a San Paco Llorente. Non che abbiano champagne, al Gato Negro, era solo stizza, la mia. Lei comunque non mi ha risposto. Mi porti due pomodori ripieni?, le ho chiesto. Ripieni di cosa?, ha chiesto lei. Maionese, capperi, uovo sodo, pomodoro, non lo stesso pomodoro, chiaramente, gomma di guar, ho detto io. Lei se n'è andata senza rispondermi. Paola intanto ha cominciato a mangiare un cesto di pop corn. Pensi che me li porterà?, le ho chiesto. Cosa?, ha detto lei infilandosi in bocca un'altra manciata. Ma poi non ingrassi, così?, le ha chiesto Roberto. No, li vomito, ha detto Paola. E poi non sono cazzi tuoi, ha detto Carla fumando un'altra sigaretta. Intanto sul telefono di Giorgio è arrivato un altro messaggio di Abigaille: Nicola vomita gommapiuma. Abigaille non va a dormire finché Giorgio non è a letto. Giorgio però non si fa condizionare e torna alle quattro, anche quando ha molto sonno già alle due. A volte si ferma da me a dormire fino alle quattro, poi va a casa. Per non dargliela vinta, ha detto. Io alla fine ho bevuto birra, niente pomodori, né ripieni né no. Roberto ha continuato a sperare in una telefonata, anche quando la ragazza è andata via senza degnarlo di uno sguardo, il tovagliolino con il numero ancora sotto il tavolo. Alle tre di notte siamo andati via. Messaggio di Abigaille: Nicola dorme.

16.8.22

Ecco (1123)

Mi manda un vocale la mia amica Paola. Lo ascolto, sta guidando. Mentre mi parla, a un certo punto del messaggio fa: «Ecco, ho sbagliato strada, mi hai distratto». Mi ha fatto ridere.

12.8.22

Sei serio? (1122)

Passo dai miei. Mio padre ormai si limita a sorridermi mentre passa con una carriola. Un tempo diceva «allora? come va?», ma non dovevi rispondere. Se cominciavi a rispondere, tipo, che so, «tutto ok, grazie, ultimamente mi sto interessando allo studio delle…», lui passava con la carriola e scompariva in una siepe. Sempre sorridendo, chiaro. Quindi abbiamo finalmente abbandonato il come va. Tra un po' credo che non ci guarderemo nemmeno. Il rapporto è splendido. Ma perché salutarsi? Voglio dire, sono io, sei tu. Entro in casa e trovo mia madre che fa una torta. Sta sempre facendo una torta. Ci sono persone che arrivano, si affacciano alla finestra della cucina e le dicono: e la torta? Lei la mette in una tortiera e la regala. «Ti piace tanto fare torte, eh?» le ho detto una volta ritirando una Sacher. «È la cosa che odio di più dopo fare regali» mi ha detto lei addentando un panino con la coppa, l'unica cosa che vorrebbe fare nella vita, oltre a fare binge watching su Netflix. Ovviamente la cosa dei regali non è vera. Forse neanche quella delle torte. Mia madre dice cose a caso, finché la coppa non arriva nello stomaco. Per esempio da quel che mi risulta lei ama moltissimo fare regali, far felici le persone con dei regali, penso a quando mi ha regalato una jeep. «Joey? Esci, c'è una sorpresa per te!». Esco e in cortile trovo una jeep nuova fiammante. Peccato avessi quattordici anni. «Non ti piace?» mi ha chiesto lei mentre tiravo calci alle gomme. «Evidentemente no» ha detto a mio padre, quindi è salita sulla jeep ed è partita salutando con un braccio dal finestrino e gridando «ciao!». Oppure quella volta che quando avevo vent'anni ha regalato tutti i miei videogame a mio cugino Camillo. Torno a casa dopo una sbronza, vado nella mia stanza, mi metto alla Play, pronto a giocare a Pro Evolution Soccer, ma al posto della Play c'è un vaso di fiori e in mano mi accorgo di non avere il gamepad ma un phon. Vado in camera dei miei. «Dove cazzo è la mia Playstation?» dico tirandogli addosso una secchiata d'acqua gelida. Si svegliano. Mi guardano. «L'ho regalata a tuo cugino Camillo» dice mia madre stropicciandosi gli occhi. «Ma era la mia cazzo di Playstation, erano i miei videogiochi, porca puttana!» grido. «Ma che ore sono?» chiede mio padre. «Dormi tu!» gli ordina mia madre, e lui si addormenta subito. Io gli tiro un altro po' d'acqua. Si sveglia. «Ha diritto di sentire» dico. «Senti,» mi fa mia madre «tu ormai sei grande, che ne so che giochi ancora ai videogiochi?». «Ma Camillo ha la mia età!» protesto dal bagno mentre riempio il secchio. Va bene, ho divagato troppo. Chiudo. Mia madre sta facendo una torta, dicevo. Entro, prendo una Coca dal frigo, comincio a berla mentre esco. «Non ti vedo mai» dice lei senza voltarsi. «Mm» dico io mentre attraverso il cortile. Vedo mio padre su un albero che pota cose. Lui mi vede, mi sorride, gli sorrido, torna a potare. Ci lavora da dieci anni, a 'sto giardino, penso, dovrebbe essere Boboli ormai. Intanto incrocio un tizio. «Sono qui per una crostata» mi fa. «Fanno trenta euro» gli dico. «Ma mi avevano detto che era in regalo» piagnucola. Lo guardo come a dire: sei serio? Allora mi sgancia i soldi. «Segua il profumo» gli dico, e lui procede. Lo guardo salutare mio padre, attraversare il cortile. Infilo le banconote nella lattina vuota, la getto tra le bocche di leone, salgo in macchina, schizzo via.

6.8.22

Passa a trovarmi (1121)

Oggi sono passato da zia Mariuccia per vedere come stava. Zia Mariuccia come al solito non c'era. Ti dice sempre passa a trovarmi!, e poi non è mai in casa. Ieri l'avevo incontrata per caso dal panettiere. Joey! Passa a trovarmi!, mi ha detto. Non si può dire a zia Mariuccia eh zia ma non sei mai in casa. Si offende. Così le avevo detto va bene, però senza nessuna intenzione di andare. Ma poi oggi mi sono detto e che diamine, andiamo a trovarla 'sta vecchietta (non si può dire a zia Mariuccia che è vecchia). Per sicurezza, prima, le ho scritto un messaggio. Zia, sei a casa?, le ho scritto. Sì!, mi ha risposto. Allora sono passato a trovarla. E non c'era. Le ho scritto: zia dove sei? Sono qui a casa tua. Mi ha scritto: sono dal parrucchiere. Porca troia, ho pensato, ma come dal parrucchiere. Va be' passo un'altra volta, le ho scritto. No!, ha scritto lei, tra dieci minuti sono lì. Non avevo voglia di mettermi a cavillare, ma il primo parrucchiere a piedi (zia Mariuccia non guida e non prende i mezzi perché dice che la gente le fa schifo) dalla casa di Zia Mariuccia è a venti minuti, con il passo di zia Mariuccia, quindi anche se fosse stata diciamo alla cassa, non ce l'avrebbe fatta. Entra!, mi ha scritto, la chiave è sotto lo zerbino (chiaramente non è sotto lo zerbino, non posso dire dove tiene la chiave). Ti ho fatto il frullato alla banana, il tuo preferito, mi ha scritto, bevilo! Sono entrato, sono andato in cucina e ho visto il bicchiere con il frullato alla banana sul tavolo. Poteva essere lì da dieci ore, per quanto ne sapevo. La zia ci aveva messo sopra un tovagliolo. Come se un tovagliolo potesse impedire al frullato di diventare veleno. L'ho preso e l'ho versato nel cesso, ho tirato l'acqua e poi sono tornato di là, ho scelto un libro dalla libreria e mi sono messo in poltrona a leggere. Hai bevuto il frullato?!, ha chiesto la zia via messaggio, sto arrivando. Ero lì già da mezz'ora. Sì, buono!, le ho scritto. Non si può non bere il frullato della zia, ci resta male. E non si può dire che è meno che buono. Dopo un po' finalmente è arrivata. Ti ho preso la pizza!, mi ha detto. Sa che mi piace la pizza di Brad Pizz, la pizzeria al trancio in centro a San Paco. Però dal parrucchiere a lì è una deviazione di quindici minuti. Ma non ho detto niente. Hai bevuto il frullato?, mi ha chiesto ispezionando il bicchiere nel lavandino. Certo, le ho detto mangiando un po' di pizza. Faccio la pipì e arrivo, ha detto lei. Sto poco, zia!, le ho detto mentre andava, perché era capace di restarci un'ora. Intanto ho finito la pizza. Non puoi non finire tutta la pizza che ti prende zia Mariuccia, si sa. Cinque minuti dopo zia Mariuccia è riemersa dal bagno. Cos'è questo?, mi ha detto mostrandomi un dito. Non un dito staccato dalla mano, un dito della sua mano. Sul dito c'era qualcosa. Non so, cos'è?, le ho chiesto. Lei si è avvicinata. Ho notato che la cosa sul dito era una poltiglia beige. La zia l'ha annusata, poi all'improvviso ha avvicinato il dito al mio naso. Mi sono ritratto. Annusa, ha detto lei. Ma cos'è?, le ho chiesto. Annusa, mi ha detto lei, seria. Così ho capito. Non avevo bisogno di annusare, sapevo cos'era. Ok, le ho detto, alzandomi. Hai buttato il mio frullato nel water?, mi ha chiesto. No, no, ho detto andando via, sei pazza? Perché c'è della banana nel water, allora?, mi ha chiesto lei. Senti, le ho detto, non lo so, magari ce l'avevi nei capelli, grazie per la pizza, ma devo andare. E per il frullato!, ha detto lei. Cosa?, le ho detto. E grazie per il frullato!, ha detto lei. E per il frullato, certo!, le ho detto. Non ti dimenticare che lo hai bevuto e che ti è piaciuto!, ha detto zia Mariuccia. Vero!, le ho detto uscendo. Mentre camminavo nel vialetto mi sono voltato e ho visto zia Mariuccia osservarmi da una finestra, seria. L'ho salutata con la mano. Non mi ha risposto.

1.8.22

1120.

Dopo che mi dicesti di andare a casa, scendesti con l'ascensore per farti baciare. Sapevi bene che mi avresti trovato seduto sugli scalini.

Atti innaturali, pratiche innominabili, D. Barthelme

29.7.22

Discorso all'uomo che non fa la spesa (1119)

Uomo che non fa la spesa, ascolta. Perché vieni al supermercato? Mi irriti. Stai fuori. Perché vieni al supermercato e ti piazzi in mezzo ai coglioni con le mani in tasca o le braccia conserte o ancora peggio penzoloni lungo i fianchi come fossero imbottite di gommapiuma? Stai a casa. O fuori. Fuori c'è un cagnolino legato al guinzaglio. Stai fuori col cagnolino. Quando tua moglie ha finito di fare la spesa, esce e ti dice: dai, andiamo. E tu la segui. Poi a casa ti apre lo sportello e ti fa: dai, scendi. E tu scendi. Poi mentre gratti la porta per entrare in casa, lei cercando le chiavi mentre sorregge buste della spesa, acqua, posta, borsetta e quant'altro ti dice: un attimo, un attimo. Ma tu continui a grattare perché pensi solo: porta porta porta porta. E quando la porta si apre (sei stato tu ad aprirla col pensiero!) fili dentro e fai quello che devi fare, che so, cagare. A me va bene. Basta che non mi stai lì impalato tra le cassette di frutta, o in qualsiasi altro posto, perché al supermercato se ti fermi per più di sette secondi rompi le palle a qualcuno, è la regola, è come funziona il meccanismo. L'unico posto dove puoi stare fermo immobile in piedi per un po' sono i banchi del pesce, della carne o della gastronomia, quindi al massimo vai lì e stai in piedi e aspetti che tua moglie venga a riprenderti. Ma in realtà anche lì sei in mezzo, perché a un certo punto ti chiederanno che numero hai, e tu non saprai cosa rispondere (suggerimento: prova a dire un numero finché la persona che te l'ha chiesto non sembra soddisfatta della risposta e, se ha un buffo copricapo, ti chiede che cosa può darti. Poi scappa), e farai perdere tempo e pazienza alla gente. Quindi non stare fermo in piedi. Mai. Ma non solo perché sei d'intralcio, non solo perché mi irriti sotto il profilo etico e umano e sociologico, ma anche perché non riesco a non pensare che tu sia un ritardato. Infatti dovrei avvicinarmi a tua moglie mentre valuta la lucentezza dei peperoni e chiederle: scusi, suo marito è ritardato? E lei quasi al cento per cento: sì. O: come se. E rideremmo. Ma davvero, perché non fai qualcosa? Devo credere che tu non sappia prendere un oggetto e riporlo in un carrello? Qui diresti: «Eh ma le sa lei queste cose», indicando tua moglie. Ma le sa lei queste cose cosa? A casa lo vedi se c'è ancora la carta igienica o no? O se finisce la carta igienica cosa fai? Lo capisci quando un rotolo di carta igienica sta finendo? Hai notato la variabilità dello spessore bianco? Noti le differenze tra le dimensioni delle cose? O quando non ci sono più le uova. Se apri il frigo e… aspetta un attimo, tu lo apri il frigo, vero? Non dico per bere. Va bene, senti, ti sto chiedendo troppo. Io non voglio che diventi una persona normale, non me ne frega niente. Voglio che non mi stai impalato tra i piedi mentre faccio la spesa, che anch'io voglio andarmene in fretta, sai? O pensi che la scelta fosse tra andare al supermercato o andare al cinema? E poi mi irriti. Quindi facciamo così: ti diamo un cestello. Un cestello speciale. Ne mettiamo tanti all'ingresso, perché siete in tanti, voi uomini che non fate la spesa. Di un colore diverso, il cestello, con scritto su R. R sta per Rambo, uomo che non fa la spesa, tranquillo. Oppure H. H sta per Highlander, come in quel film con le spade. Tu prendi il cestello e tua moglie ti darà una piccola lista della spesa. Una lista facilitata. Signora mi spiace darle un altro incarico ma così forse riusciamo a velocizzare le cose. E lo so, mi creda, lo so che suo marito probabilmente riuscirà a farla incazzare anche con la lista facilitata, lo so che lei sulla lista scriverà Yogurt Yomo fragola e lui tornerà con della ricotta, o con il Gatorade. E lei dirà «ma questo ti sembra Yomo alla fragola?!», e lui farà spallucce come fa sempre quando ha fatto una stronzata o non ha fatto proprio niente quando invece doveva fare qualcosa e a lei verrà voglia di bere d'un sorso tutto il Gatorade e poi di spaccargli un melone in testa, e lo so che non c'è nessuna speranza, per lui, ma è un modo per toglierlo dal cazzo mentre siamo al reparto frutta e verdura, ok? Scriva cose a caso, sulla lista, lui le prende, sta fuori dai piedi per un po', poi torna e lei dice: bravo, bravo. E poi lascia da qualche parte la roba che ha preso. Anzi i cestelli semplificati H vengono lasciati alle casse e poi un addetto li prende e va a riportare la merce al suo posto. Suo marito non si accorgerà mai che gli articoli da lui acquistati non sono arrivati a casa, lo sappiamo entrambi. Suo marito non si accorge, in generale. È una strategia. E lo ha portato fino a qui. Certo non metta niente che si prende ai banchi, suo marito non riuscirebbe mai a imparare a procurarsi il numero, riconoscere quando il numero chiamato corrisponde al numero sul bigliettino, leggere un etto di prosciutto Parmacotto per favore e dire ad alta voce «un etto di prosciutto Parmacotto per favore», poi aspettare (fermo impalato. No, quello lo sa fare), prendere il pacchettino e dire arrivederci, grazie. E poi basterebbe una domanda del tipo «vuole questo appena tagliato o questo alla fine?» che andrebbe tutto a puttane. E non metta niente che richieda l'apertura di uno sportello. Suo marito non sa aprire gli sportelli, ricorda? (Strano perché magari di lavoro progetta aerei. Però prendere un etto di cotto, no, non sa farlo). O non sa chiuderli. Quindi farebbe scongelare tutti i surgelati, deperire le carni, le insalate, ucciderebbe delle persone, tipo me. No. Cose semplici. Per tenerlo impegnato. Per non irritarmi. Per tornare alle nostre case in fretta. Felici.

28.7.22

Blu mandorla (1118)

Ieri la mia amica Paola mi ha detto che il suo colore preferito è il mandorla. Mandorla non è neanche un colore, le ho detto. Bianco mandorla, forse. Grigio mandorla. Giallo mandorla. Marroncino mandorla. Verde mandorla. Nero mandorla. Dipende dal momento della vita della mandorla in cui guardi la mandorla, dipende da come sta la mandorla, le ho detto. Ma dire solo mandorla, Paola, non ha senso. Devi dire un colore, prima, e poi specificare magari dove lo si reperisce in natura. Tipo blu di Prussia. Sai che in Prussia c'è quel blu lì, o che ce l'hanno solo lì. Sempre a patto di trovare la Prussia, cosa non scontata, le ho detto, né, probabilmente, utile a qualchecosa. Paola ha bevuto un sorso della sua birra, ci ha pensato su e poi ha detto: anche il color birra mi piace.

25.7.22

Come crepare di caldo (1117)

Benvenuti al consueto appuntamento con le dritte di Joey. Oggi vediamo brevemente come crepare di caldo. Vi serviranno: del caldo, un forno, dieci bastoncini di pesce surgelati (strano, vero?!), una gatta (viva, a temperatura ambiente). La gatta può essere di qualunque razza, ma se è a pelo lungo è meglio. Io avevo solo una thai, me la sono fatta andar bene. Per prima cosa spegnete l'aria condizionata se l'avete accesa. Questo potreste farlo, ad esempio, perché vi sembra che in casa ci sia abbastanza fresco o perché siete stupidi, è indifferente. A questo punto preriscaldate il forno a 220 gradi, chiudendo le porte della cucina perché se no la gatta entra e non è igienico. Andatevene a fare altro, quello che vi pare, purché non sia rinfrescante. L'ideale sarebbe una partita a squash, ma non è obbligatorio. Potete anche leggere un libro di Cormac McCarthy. Quando il forno è caldo, infornate i bastoncini di pesce. È importante che porte e finestra della cucina siano ben chiuse, perché il forno soffia da una fessura dell'aria calda, questo perché altrimenti fonderebbe (non lo so in realtà) e bucherebbe il pavimento finendo di sotto, dovreste scendere, aprire lo sportello e separare i bastoncini dai frammenti di testa del vicino, comunque croccanti ma, ahimè, poco adatti ad accompagnare il pesce. A proposito: i bastoncini di pesce, se ve lo state chiedendo, sono un tipico piatto estivo, infatti se trovate un vecchio in piazza sotto il sole alle sedici che sta agonizzando, niente di meglio, dicono, che idratarlo con tre o quattro bastoncini bollenti, lo sanno tutti, un paio glieli fate mangiare e gli fate passare gli altri due sulla fronte e sulla nuca, lo apprezzerà. La curcuma presente nell'impanatura è inoltre un antiossidante naturale (non che a quel punto faccia differenza usare lo Smac Brilla Metalli), e sappiamo quanto siano antiestetici i vecchi ossidati, con quei fastidiosi riflessi verdognoli. Ma torniamo a noi. Dopo quindici minuti i bastoncini saranno pronti e in cucina sembrerà di essere su Mercurio. A questo punto è fondamentale mangiarli lì, perché spostarsi in una stanza più fresca? Andrebbe a farsi benedire tutto il procedimento e dovreste ricominciare da capo. Mi raccomando mangiateli quando sono ancora roventi, non bevete niente di freddo - acqua a temperatura ambiente andrà benissimo - poi andate a letto, sotto le coperte, e aspettate. Entro dieci, quindici minuti al massimo dovreste crepare.

24.7.22

Occhio, però (1116)

Stamattina colazione al bar con il mio amico Giorgio. Al tavolino di fianco al nostro ci sono due ragazzi. Uno sta scrivendo al cellulare, l'altro fuma una sigaretta e guarda lontano, anche se a cinque metri c'è un muro. Ma lui guarda oltre il muro, si capisce. Il suo amico scrive, poi mette il cellulare sul tavolino, dice qualcosa, poi arriva un altro messaggio, riprende il cellulare, scrive di nuovo e così via. Dopo un po' il suo amico comincia a scuotere la testa, soffia una nuvola di fumo e gli fa: «Ma stai scrivendo a Chiara?» E il suo amico: «Sì». E lui: «Ma no, non devi fare così, si vede che ci tieni troppo! Ascolta, ti dico un segreto: si prende il cuore e lo si mette in un cassetto. Poi stai con la ragazza. Poi, quando vai via, riprendi il cuore dal cassetto». L'amico gli dice: «E si vive bene?». E lui: «Alla grande! Guarda, faccio così da una vita, l'ho fatto centinaia (!) di volte». Poi ci pensa su, diventa serio e dice: «Certo. Occhio, però. Il rischio è che un giorno non senti più niente. E l'amico: «Cioè apri il cassetto per riprenderti il cuore ma il cuore non c'è più». E lui: «Eh». Quando se ne vanno, dico a Giorgio: «Preso nota?» E Giorgio: «Cassetto, ragazza, cassetto». E io: «Bravo».

23.7.22

Qualcuno può (1115)

Sette del mattino. Mi sveglio, mi alzo, apro le imposte. Passano due ciclisti, giù in strada, e nel silenzio più completo uno dice all'altro: «…nessuno può dire 'la Monica mi ha detto'…». Io grido: «La Monica mi ha detto!». I ciclisti si voltano. Mi guardano. Poi vanno.

22.7.22

Ok? (1114)

«E così ti piace il cinema?».
«Sì, molto».
«A me non dispiacerebbe andarci, qualche volta, ma non ho nessuno che ci venga».
«Oh, è un vero peccato».
«Nessuno che mi inviti».
«Che disdetta».
«Dico: un'altra persona appassionata di cinema come me».
«Che cosa?»
«Non la trovo».
«Stessa cosa potrei dire io, sai?»
«L’avevo capito, sì».
«Anch’io non trovo nessuno con cui andare. C’è una penuria di appassionati di cinema, sembra».
«Stasera vai al cinema?»
«Eh? Oh, mi piacerebbe. Ma con chi?»
«Anche a me piacerebbe andarci, stasera».
«Al cinema?»
«Sì. Al cinema».
«Abbiamo lo stesso problema, è pazzesco. Una ragazza come te, che non trova nessuno con cui andare al cinema».
«Ascolta».
«Sì?».
«Passami a prendere alle otto. Voglio venire al cinema. Con te. Mi piaci. Al cinema possiamo anche non andarci. Ok?».
«Ok».

Puro frassino (1113)

Passo dai miei. Non appena entro in casa vengo intercettato da mio padre.
«Mi serve una forca a quattro denti» mi fa. Lui e mia madre mi usano per comprare le cose su internet.
«Ok» gli dico. Prendo il telefono e cerco una forca a quattro denti. Gliene mostro una, lui la esamina.
«No, mi serve con il manico in legno».
«Questa ha il manico in legno» gli dico.
«Sicuro?» dice lui guardandomi con un sopracciglio alzato e un sorriso come a dire ma cosa ne puoi mai capire tu di: forche, manici, legno, vita.
«In frassino» dico mostrandogli la scritta "Manico in puro frassino!". «Così ci puoi uccidere pure i vampiri, se vai nell'orto di notte» aggiungo.
«Mm» dice lui. «E quanto costa?».
«40 euro».
«Va bene, prendila».
A quel punto arriva mia madre, che probabilmente si materializza ogni volta che mio padre si compra qualcosa.
«Ho comprato una forca» le dice subito lui cercando di lasciare la stanza.
«E quanto hai speso?»
«Poco. Ci sono ancora dei gelati?».
«No».
Silenzio.
«Non puoi mangiarli».
«Va bene» dice lui, poi se ne va. Poi sentiamo il rumore come di un orso che fruga spasmodicamente in un cassonetto dell'immondizia refrigerato.
Mia madre si rivolge a me.
«Senti, a me invece serve la pompa della lavatrice, vieni a vedere».
«Non serve a niente che venga a vedere, non so niente di lavatrici».
«Mi spruzza acqua su tutto il pavimento e poi lava ogni sei ore».
«In che senso ogni sei ore?».
«Lava ogni sei ore, non sappiamo perché. Ma quello va bene, basta ricordarsi. Invece la pompa mi serve».
Mio padre ritorna. Mia madre lo guarda.
«Hai mangiato il gelato?».
«No» dice lui andando a sedersi sul divano e leccandosi le zampotte.
«Senti,» le dico «cerchiamo questa pompa».
«No, adesso devo andare. Cercala tu».
«Devi andare dove?».
«Ho il lavaggio delle undici e cinque».

21.7.22

Le ragazze (1112)

Ieri sera a un certo punto è arrivata una ragazza, e un'altra ragazza seduta lì con noi, quando l'ha vista, è partita come una scheggia ed è corsa ad abbracciarla, e poi sono rimaste abbracciate per cinque minuti buoni, e intanto si davano dei baci ed emettevano dei suoni, come dei pigolii e dei gridolini, e poi si sono messe a piangere dalla gioia (lacrime vere) e mentre si accarezzavano la testa si dicevano delle cose carine e poi si sono messe a fare dei saltelli tenendosi per mano e poi sempre abbracciate si sono rotolate per terra ridacchiando e poi si sono tirate su e hanno danzato e alla fine si sono staccate e la ragazza è tornata al nostro tavolo e, con ancora un sorriso in faccia, tutta un po' affannata ha detto: un mese che non la vedevo. Allora io ho guardato uno che era di fianco a me e gli ho detto: sono molto emotive, le ragazze. E lui: le ragazze? Sì.

20.7.22

Apple, dai (1111)

Volevo dire una cosa alla Apple. Dopo qualche anno ho cambiato telefono e non c'è più il tasto Home. Sicuramente i cervelloni della Apple avranno studiato questo nuovo sistema senza il tasto Home, lo capisco, e avranno determinato che è migliore e via dicendo, e forse è così. Però il tasto Home intanto non c'è più, o è stato spostato, non ne sono sicuro. Comunque ormai negli anni si era creato un automatismo nel mio cervello direttamente collegato al tasto Home e adesso mi capita ancora di premerlo, il tasto Home, solo che non succede niente, perché non c'è più nessun tasto e sto premendo del vetro. Non credo sia giusto. Come spostare all'improvviso tutte le maniglie delle porte. Prima o poi ti capiterà quando sei sovrappensiero di fare il movimento come se la maniglia fosse ancora al suo posto, ma non c'è, e ti sentirai stupido o goffo. O spostare il wc. Novantanove volte ti ricorderai che adesso è in cucina, ma la centesima sicuro che pisci sul pavimento (cosa tra l'altro che al mio amico Giorgio è successa anche con il wc al proprio posto). Detto questo, il telefono nuovo è oggettivamente più bello del precedente, si usa anche meglio. Il tasto Home era un po' stupido. Voglio dire: un tasto, nel 2022. Dai. Ma anche nel 2016. Dai. Bello poi sbloccare il telefono guardando il telefono, fa molto Mission Impossible. Però, qui, un suggerimento: forse è già obsoleto, come sistema, no? In fondo Mission Impossible è degli anni Novanta, cioè, Tom Cruise era giovane, mentre il sistema di sblocco con l'impronta digitale c'era già in Star Trek, negli anni Sessanta. Secondo me per il 2022 ci vorrebbe che il telefono si sblocca appena lo prendi in mano. Non un rilevatore di impronta ma di presa, non so se mi spiego. Ti riconosce perché sei tu, per certe tue ineliminabili caratteristiche. Le dita appiccicose perché mangi sempre le pesche, il modo in cui ti servi delle articolazioni, la forza con cui stringi le cose, le pulsazioni, l'ossigenazione del sangue, il profumo della pelle. Se ci prova un altro, no, il telefono spruzza vernice e chiama la polizia. O gli esplode in faccia e la colpa è sua, e a te arriva un telefono nuovo il giorno dopo pagato da lui. Oppure che si sblocca con il pensiero. Lo prendi perché pensi di usarlo e si sblocca. E se non si sblocca non è che non funziona, è che forse non stai davvero pensando di usarlo. O anche che decide lui se sbloccarsi o no, se è davvero il caso di usare il telefono o no, tipo quando sei sbronzo e stai per mandare quel messaggio. E se è no, allora lo metti giù e fai altro, e poi il telefono ti riporta a casa, magari col teletrasporto, che è sempre una tecnologia che usava già il capitano Kirk, non mi sembra niente per cui gridare al miracolo. Mi aspetto questo, dalla Apple, oggigiorno.

19.7.22

Concordia (1110)

Una ragazza ieri al pub mi ha detto: ma tu farai strage di cuori. Io: zero, proprio. E lei: ma per favore, non ci credo. E io: fidati. Poi è andata via col suo moroso. Giorni fa un'altra ragazza, sempre al pub, mi ha detto: è uno spreco che tu sia single! E io: grazie! Poi è andata via col suo moroso. Due secondi dopo mi si è avvicinata un'amica e io le ho detto: sai cosa m'ha detto quella là? E lei: cosa? E io: che è uno spreco che io sia single. Concordo, ha detto la mia amica. E poi è andata via col suo moroso. Mi ha fatto ridere.

18.7.22

Non è vero (1109)

La mia amica Paola è stata mollata dal tizio con cui usciva. Stamattina facciamo colazione insieme.
«Sono triste» mi dice a un certo punto, sospirando.
Io la guardo con gli occhi ma con la mente sto guardando la brioche con la marmellata, lì sul piattino, e mi chiedo se sia da insensibile prenderla e mangiarla. Così prima le dico:
«Tranquilla, amica mia, il tempo guarisce ogni cosa». Poi prendo la brioche e le do un morso.
«Non è vero» mi fa Paola.
«Mm?».
«Non è vero che il tempo guarisce ogni cosa»
Io mastico la brioche, bevo un po' del mio cappuccino, poi le dico: «No, non è vero. Il più delle volte a guarire ogni cosa sono gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina».
Silenzio. Poi.
«Il bignè al cioccolato ti interessa?».

17.7.22

Poco da ridere (1108)

Ieri ho visto un film con Robert Redford e Jennifer Lopez, c'è anche Morgan Freeman ma solo come tappezzeria. E c'è anche una bambina antipatica. Il titolo non prometteva bene, Il vento del perdono, anche se è il titolo italiano (il titolo originale è An unfinished life), come sapete agli italiani bisogna mettere un titolo scemo e didascalico altrimenti non guardano il film, strano che Inception non l'abbiano tradotto con Intrigo onirico (no, Intrigo onirico è già troppo sofisticato) o Se non mi svegli ti cancello, ma sarà merito di qualche clausola contrattuale. Ma, su questo, un'altra volta. Comunque ho deciso di guardare Il vento del perdono perché nell'anteprima c'era questa scena: Robert Redford è un vecchio arrabbiato che vive in un ranch di montagna isolato dal mondo perché nel suo passato gli è successa una cosa brutta che lo ha fatto diventare, da buono, apparentemente cattivo (e arrabbiato, e vecchio) ma solo in quanto disilluso e pessimista. Isolato dal mondo eccetto qualche animale e Morgan Freeman, che però sta tutto il tempo a letto a sputare sentenze come fa di solito. A un certo punto arriva al ranch Jennifer Lopez, e parliamo di Jennifer Lopez del 2005, quindi una superbomba sexy, che con un faccino triste gli chiede di poter stare lì al ranch un mesetto, e Robert dice: «Qui non ti ci voglio». Mi aveva fatto ridere, perché nella realtà il vecchio scorbutico direbbe «solo un secondo», poi andrebbe a prendere Morgan Freeman, lo infilerebbe in un bidone, lo farebbe rotolare giù dalla montagna e poi direbbe a Jennifer «vieni, cara, ti ho preparato il letto». E questo nonostante Jennifer si sia presentata con una bambina antipatica (altro bidone, eventualmente, no problem). Ma no, nel film Robert rifiuta Jennifer, così mi sono detto che dovevo proprio vederlo per farmi due risate. Inizialmente sono rimasto deluso perché quasi subito viene detto che Robert è il nonno della bambina antipatica che è a sua volta figlia di Jennifer, quindi, ho pensato, ah, Jennifer è la figlia di Robert, perciò è plausibile che lui non la voglia al ranch, non potendo farsela (cioè, non potendo teoricamente farsela), ma poi fortunatamente viene fuori che Jennifer è la moglie del figlio morto di Robert (la cosa brutta del passato), quindi nella realtà se la farebbe eccome, perciò il film è rimasto divertente, almeno in questa assurda impalcatura, perché per il resto è un film piuttosto noioso, con dialoghi scadenti e centinaia di cliché. No, dai, decine. Per esempio la scena in cui due brutti ceffi mancano di rispetto a una cameriera grassa e chiamano Robert nonnetto e allora Robert fa il giustiziere di montagna e gli dà una bella lezione e loro se la filano piagnucolando; mentre, nella realtà, delle due l'una: lo pesterebbero a sangue (Robert ha settant'anni e li minaccia con una forchetta); direbbero ok ok ce ne andiamo, non ti scaldare, e poi gli farebbero un semplice agguato nel parcheggio pestandolo a morte con una chiave inglese e poi gettandolo in un fosso. Tra l'altro va notato che, abbandonando i cliché moralisti e scegliendo le versioni più realistiche da me suggerite, la trama avrebbe delle impennate pazzesche. Peccato. Altra nota interessante: nemmeno Morgan Freeman sembra sessualmente interessato a Jennifer, almeno finché ho visto io (dovevo uscire), il che fa ridere perché Morgan, forse in quanto nero, viene usato come coscienza etica asessuata completamente innocua. Ma credo che la sua presenza serva a dire allo spettatore che Robert, anche se si comporta male ed è molto antipatico - come sua nipote, del resto - in realtà è buono e simpatico, lo dimostra il fatto che Morgan gli è amico. E a dire agli americani che i neri sono buoni e inoffensivi e che forse, accudendoli, i bianchi possono ritrovare la retta via. Tra l'altro a un certo punto la bambina antipatica chiede a Robert e a Morgan se sono gay (credo perché nessuno dei due ha cercato di farsi la madre) e loro ridono di gusto, ma tutti i giorni Robert spalma un unguento sulla schiena di Morgan, quindi forse c'era poco da ridere, a pensarci bene.

15.7.22

1107.

La ragazza con la coda si fece un po' avanti e lei e il ragazzo alto si baciarono, e furono gomme da masticare cancerogene e magia.

Creature ostinate, A. Bender

Un po' di rispetto (1106)

Oggi mi è venuta un'idea per un racconto: c'è un tizio che muore e allora la famiglia comincia a organizzare il funerale, chiamano le pompe funebri e insomma si mette in moto tutto il meccanismo. Solo che a un certo punto il morto apre gli occhi, si tira su dalla bara ancora aperta, durante la veglia, e dice: non sono mica morto. Ma i presenti gli abbassano la testa e gli dicono: sì che sei morto, stai buono. Lui allora resta un po' nella bara così, che ci sta anche comodo, e riflette, un po' dubbioso. Poi decide di uscire dalla bara. Basta, dice, sono vivo, esco. Sua moglie si indispettisce, sua madre piange, suo padre scuote la testa: sempre il solito. Sempre a piantar grane. Ma lui era così, dice il padre a uno zio, lui doveva sempre far diverso dagli altri. Il morto però gli va vicino e gli fa: sono vivo, ho detto, non parlare di me al passato. Per favore, gli dice suo padre, sto parlando con lo zio Giovanni. Facci il piacere, dice lo zio Giovanni, torna nella bara. Ma il morto non ci pensa proprio. Mamma, dice uno dei figli del morto, papà è vivo o morto? La figlia più piccola piange. Morto, dice la mamma al figlio. Guarda che così la spaventi, dice poi la donna al marito. Ma se sono vivo!, dice lui. Ssst, fa qualcuno, un po' di rispetto. Lui, il morto, si scusa. Gli si avvicina uno del servizio funebre: per favore, niente schiamazzi, gli fa. Siamo a una veglia. Il morto si scusa. Poi però lascia la stanza e va di sopra, in camera, e comincia a cambiarsi. Sua moglie lo segue e gli dice: ma che cosa fai? E lui: vado a giocare a tennis. Ma che tennis!, gli dice la moglie, torna giù nella bara, che figura mi fai fare? Ma se sono vivo!, protesta il morto. Allora la moglie apre un cassetto e prende dei fogli: guarda, certificato di morte firmato dal medico. Sei morto, gli dice. Il morto legge il certificato. Poi si tasta il polso. Senti, le fa, mi batte il cuore! Lei si lascia cadere sulla sedia e sbuffa. Non ce la faccio più, dice. A quel punto arriva il tipo delle pompe funebri. Qualche problema?, chiede. Sono vivo!, dice il morto. Non vuole andare nella bara, dice la moglie. Il tipo delle pompe funebri guarda il morto con un filo di disapprovazione, senza dire niente. Qualcuno nella bara dobbiamo pur metterlo, dice poi. Ah non io, dice il morto, sono vivo… Mettiamo uno zio?, chiede il tipo delle pompe funebri? E il morto: non si può lasciarla vuota e basta? Ma che vuota, dice la moglie. Metta lo zio Giovanni, per favore. Ma povero zio!, dice il morto. Eh no, adesso non rompere, non mi rovini il funerale, con quello che m'è costato, dice la moglie, che figura mi fai fare con gli invitati? Non sono invitati, dice il morto. Mettiamo lo zio, signora?, chiede l'impresario funebre. Sì sì, metta lui, dice la donna. Allora l'impresario scende e mentre sotto si sente un po' di trambusto, la moglie guarda il marito e gli fa: tanto la sua vita l'ha fatta. Ma sì, dice il morto. Avevo già disdetto le vacanze, gli dice lei. Non importa, dice il morto, l'importante è che sono vivo. La moglie scuote la testa e poi si mette un po' a ridere. Io torno giù, dice al morto. Ok, le dice il morto, mi cambio e arrivo.

14.7.22