1024.

Benvenuti. Oggi per il consueto appuntamento della rubrica Truchetti a gogò vi spiegherò come sporcare di olio di oliva e sgombro dei pantaloni nuovi che vi piacciono. Può sembrare un’operazione difficile e magari non alla portata di tutti, ma in realtà seguendo pochi semplici passaggi vedrete che anche i più inesperti potranno riuscire ad avere dei pantaloni completamente spruzzettati di olio e sgombro, bastano un po’ di pratica e di attenzione. Allora per prima cosa vi servono dei pantaloni più o meno nuovi, questo sta al gusto personale, che vi piacciono. A volte le persone mi fermano per strada e mi chiedono: «Joey Baruffa (è il mio nome), posso macchiare anche pantaloni che non mi piacciono?». Be’, certo, che domande, si può macchiare quasi tutto, ma le emozioni che vi dà rovinare una cosa che vi piace sono speciali e particolarmente intense. Avete indossato i vostri pantaloni? Perché vanno indossati, eh. Bene, adesso vi servirà una scatoletta di sgombri sott’olio, mi raccomando che siano sott’olio, quelli al naturale non vanno altrettanto bene. La marca può essere una di vostra scelta, non cambia molto, ma questo tutorial prende in considerazione gli sgombri Rio Mare. Ora vi dovete posizionare con la scatoletta davanti al lavandino. Mi raccomando non scaricate l’olio d’oliva nel lavandino, è molto inquinante, dovete scaricarlo sui vostri pantaloni. Chiaramente non tutto, anzi la maggior parte andrà raccolta in un apposito contenitore che conserverete per un mese in attesa che sia pieno e dunque pronto per essere portato in discarica dove un addetto allo smaltimento lo sverserà nei terreni circostanti, ma di questo parleremo in un’altra puntata. Ora è importante che per aprire la vostra scatoletta siate posizionati in modo da dover tirare la linguetta di apertura verso di voi. A questo punto, tenendo la scatoletta sul lavandino (non troppo in basso, però!) tirate in modo deciso, cercando di aprire la scatoletta in un colpo solo. Se il movimento è abbastanza forte e secco, quando la parte superiore della scatoletta di staccherà da quella sottostante sentirete un bello schiocco e una nuvoletta di olio e sgombro si nebulizzerà verso di voi, depositandosi sui pantaloni. Vi consiglio di indossare una copertura per proteggere il pullover o la camicia, altrimenti si macchierà insieme ai pantaloni. Bene, per questa puntata è tutto, alla prossima e grazie per i vostri like.

28.12.21

1023.

Ieri sera come da tradizione ho visto un film basato su Canto di Natale e a un certo punto ho pensato che sono come Scrooge, con la differenza che a me il Natale piace e non sono malvagio.

24.12.21

1022.

Quando nessuno ti può spiegare cosa accade e le parole sono ancora segni superficiali, tutto si deposita in una regione nascosta del corpo, il luogo dove viene custodita per sempre la tua versione dei fatti.

Maestoso è l'abbandono, S. Gamberini

23.12.21

1021.

L’altra sera mentre guardavo Breaking bad – sono un po’ in ritardo con le serie tv – e mi sentivo particolarmente inutile ho chiesto ad Alexa se conoscesse Stephen King, e lei lo conosceva. Poi così per ridere ho chiesto se conoscesse me – il mio nome lo sapete benissimo, non c’è bisogno che lo scriva qui, per comodità fingiamo che sia Joey Baruffa – e, con mia incommensurabile gioia, mi conosceva. «Joey Baruffa è un autore nato nell’Italia (?), il tal giorno, nella tal città». Wow, elettrizzante! Era quasi mezzanotte e non potevo certo telefonare a tutti quelli che conosco per vantarmene, quindi sono andato direttamente a casa del mio amico Giorgio e di sua moglie Giosefina, ho suonato il campanello e, dopo altre cinque o sei scampanellate, più alcuni sassolini e una scarpa sul vetro della finestra della camera da letto (so dov’è la loro camera da letto perché un tempo mi arrampicavo sul mandorlo che hanno in giardino e li spiavo mentre sonnecchiavano davanti alla tv), finalmente è venuto ad aprirmi.
«Joey Baruffa» mi fa.
«Sì».
«Ma che ore sono?».
«Non so, possiamo chiederlo ad Alexa» ho detto intrufolandomi.
«Ma che succede?» ha chiesto Giosefina, scendendo le scale. «Chi è?».
«Mm,» ho detto io a quel punto «sono Joey Baruffa, e se per caso vista l’ora e il comprensibile intontimento non sapessi bene di chi si tratta, vediamo se Alexa può aiutarci a capirlo».
«Eh?» ha detto lei.
«Alexa? Chi è Joey Baruffa?».
E Alexa: «Joey Baruffa è un autore nato nell’Italia (?)…» eccetera.
Giorgio e Giosefina mi hanno guardato senza commentare. Troppo lo stupore, suppongo.
Allora ho detto: «Alexa? Chi è Giorgio Smizzicaglia?», che sarebbe il mio amico Giorgio, il cognome l’ho inventato.
«Purtroppo non lo conosco, mi dispiace» ha detto Alexa.
«Alexa? Chi è Giosefina Tancredi?».
«Non so proprio chi sia».
«E Joey Baruffa, invece?».
«Joey Baruffa è un autore nato nell’Italia…», eccetera. Poi me ne sono andato, e dal giorno dopo sto facendo questa cosa presso tutte le case di tutti quelli che conosco, entro e chiedo ad Alexa chi è Joey Baruffa, lei lo dice, poi chiedo chi è il padrone di casa, e lei non lo sa, e ridiamo (io e Alexa). Non so se questo sia il modo giusto per suscitare ammirazione e affetto nei miei confronti ma, insomma, chi se ne frega, viva Joey Baruffa!

22.12.21

1020.

Su questo numero di Wu magazine, qui, spiego con l'immancabile piacevolezza perché i no vax sono come i micini.

21.12.21

1019.

Stamattina mi sono imbattuto nel video di un litigio su Rai 3 tra un giornalista e un professore. Il professore era un negazionista, credo, purtroppo urlavano per tutto il tempo e non si capiva quasi niente. Il titolo però diceva proprio così, «professore». Sono andato a controllare e ho scoperto che era sì professore, ma di comunicazione, e di lavoro faceva o aveva fatto il pubblicitario. Si era presentato in tv con dei fogli sui quali aveva stampato dei numeri (che tenerezza) e diceva: «Ci sono i dati!». Il fatto è che i dati uno deve saperli leggere, di per sé possono dire tutto e niente. I suoi dati erano che negli ultimi due anni il fumo e l’obesità hanno fatto più morti della Covid. Gli è stato fatto notare che tabagismo e obesità non sono contagiosi, ma in fondo il problema non è ribattere alle stupidaggini, il problema è offrire a certa gente l’opportunità di andare in tv e dirle. Noto però che ormai è prassi comune chiamare dei tizi che non hanno competenze in fatto di vaccini e virus a parlare di vaccini e virus. Anche su altri canali vedo filosofi che esprimono dubbi sull’efficacia dei vaccini. Ora, se domani un astronomo mi dicesse che un meteorite sta per schiantarsi sull’Emilia Romagna e che la prima regione sicura è la Toscana, andrei in Toscana. E se un pubblicitario o un filosofo venisse con dei fogli stampati con la sua Epson a dirmi «no guarda ho calcolato la vera traiettoria e il meteorite non colpirà l'Emilia Romagna, anzi l'Emilia Romagna è l'unica regione sicura», io andrei in Toscana. Gli direi: «Ok, senti, io per puro caso devo andare comunque in Toscana perché devo sbrigare alcune faccende che adesso non ti sto qui a dire, ma tu devi salvarti, ok? Devi assolutamente salvarti, sei troppo importante per l'umanità, perciò eccoti le chiavi di casa mia, promettimi che resterai qui. Promettimelo!». Me lo farei promettere, e poi andrei in Toscana. Tra l’altro vorrei sapere cosa penserebbe uno così se, una volta in ospedale, mi presentassi io a curarlo. «Ecco il dottore» direbbe l’infermiera. «Ma lei è il dottore?» mi direbbe lui. «Sì, dottore in filosofia», direi io «ora vediamo di togliere questa cistifellea. Infermiera, mi passi il cavaturaccioli».

15.12.21

1018.

Eravamo troppo liberi, comunisti, disinvolti, aleggiava per casa un'atmosfera sensuale che mi faceva spesso ammalare di tonsillite.

Maestoso è l'abbandono, S. Gamberini

8.12.21

1017.

I no vax sono passeggeri del Titanic che rifiutano le scialuppe per paura che affondino.

7.12.21

1016.

Leggo che una tartaruga marina ha salvato la modella Giselle Bündchen, intrappolata in una rete, e nonostante il peso è riuscita a liberarla in mare. Intervistata, la tartaruga marina ha detto di non sentirsi un’eroina: ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque. E poi sono anch’io una modella e so cosa si prova. Il giornalista ha poi chiesto alla tartaruga marina di raccontare com’è andata. Questa mattina stavo passeggiando, ha detto la tartaruga marina, e ho visto un mucchio di spazzatura sulla spiaggia, mi sono avvicinata e solo allora mi sono accorta che invece era Giselle, intrappolata in una rete da pesca. L’ho capovolta, ma non camminava. Così me la sono caricata sul guscio e l’ho portata in acqua. Sono stata molto felice di vederla finalmente libera, lei mi salutava festosamente, poi si è immersa ed è andata via. E il giornalista: Giselle non sapeva nuotare, ne era al corrente? Mm?, ha detto la tartaruga.

6.12.21

1015.

Oggi chiamo mia madre e le dico: «Senti, visto che non ho fatto testamento biologico lo dico a te: non voglio essere tenuto in vita artificialmente, se non posso interagire con l’esterno. Anzi il criterio dovrà essere questo: se non sono in grado di giocare partite di scacchi, o se, pur giocando, dovessi perderle tutte, uccidetemi». Lei: «Va bene».

2.12.21

1014.

Un film perfetto.

25.11.21

1013.

Ieri sera ho visto Joker, il film. Lo davano su Canale 5 ed ero abbastanza emozionato non per Joker, di cui non mi fregava granché, ma per il fatto di vedere un film su Canale 5 dopo non so quanti anni, forse dieci. È stato bello perché tutto è rimasto identico, su Canale 5, a com’era nel 2011, e nel 2011 era già rimasto tutto identico a com’era nel 2001. C’era Striscia la notizia, robe da matti. È stato come aprire un cassetto e trovarci un walkman e accenderlo e sentire Wild Boys. O aprire l’armadio e trovarci il vestito della festa di mio nonno Raymond. Con il nonno dentro. Vivo. Anche il totale disprezzo per la programmazione è rimasto: film annunciato alle 21.20, film cominciato alle 22. E la pubblicità, ma va be’ quella c’è anche su Youtube. E il non poter mandare avanti. Ecco, quello invece non mi è piaciuto, perché io adesso i film li guardo con il telecomando in mano e appena mi sembra di aver afferrato il concetto di una scena mando avanti: un personaggio piange? Avanti. Due personaggi litigano? Avanti. Inseguimento in auto? Sparatoria? Sesso? Avanti. Ma su Canale 5 non ho potuto e quindi mi sono beccato tutto Joker senza mai mandare avanti e con la pubblicità e pure un telegiornale e il meteo, forse anche una televendita con Mastrota, non ne sono sicuro, o forse era Joaquin Phoenix. Ma veniamo al film: parla di un malato di mente che smette di prendere le medicine e sbrocca di brutto.

17.11.21

1012.

Leggo che, dopo la disfatta di ieri sera, l'allenatore dell'Italia Roberto Mancini ha detto: «Andremo ai mondiali e magari li vinceremo». Mi ha fatto ridere. Non è ancora il momento del mio pronostico, visto che i play-off si giocano in primavera, ma sospetto che non andremo ai mondiali e che non li vinceremo. Poi leggo che il figlio di Lando Buzzanca ha detto «mio padre ha la demenza senile, non è in grado di sposarsi». «Non è vero, vuole» ha risposto la fidanzata. Anche questo mi ha fatto ridere.

16.11.21

1011.

E voilà.

15.11.21

1010.

Ogni tanto mi piace sbilanciarmi in pronostici sportivi, benché da buon intellettuale non segua lo sport (passo tutto il giorno a leggere e rileggere À la recherche du temps perdu, ormai sono diventato un vero esperto e riesco a leggerla tutta in mezz’ora). In estate, qualcuno lo ricorderà – tipo una di quelle persone affette da sindrome ipermnestica – avevo azzeccato la vittoria degli Europei della nostra nazionale di calcio, nonostante il mio amico Giorgio fosse convinto che saremmo usciti subito. Bene, ora l’occasione si ripresenta, perché questa sera giocheremo a Belfast contro l’Irlanda del Nord (curiosamente, non esiste l’Irlanda del Sud), il cui allenatore ha dichiarato: «Abbiamo la chance di far vedere quello che valiamo contro i campioni d’Europa, la miglior squadra del continente. Ma non avremo paura. Sappiamo che a volte ci troveremo schiacciati nella nostra area, che avremo poco la palla, ma vogliamo battere i numeri uno». Ci ho messo un po’ a capire che parlava di noi, quando diceva «la miglior squadra del continente». Mi ha fatto ridere. No, non lo siamo, quella è la Francia (lo so perché è scritto nella Recherche). Inoltre noi italiani conosciamo noi stessi e la nostra nazionale e sappiamo fin troppo bene che, trattandosi di una partita cruciale, non schiacceremo proprio un bel niente, così come sappiamo che l’Irlanda la palla ce l’avrà tantissimo, che segnerà un gol un certo John McIntosh di professione assicuratore e che molto probabilmente non vinceremo o al massimo vinceremo con un golletto striminzito al novantesimo che però non basterà. Il mio pronostico dunque è: andremo ai play-off. Come ci comporteremo poi ai play-off, ancora non lo so. Ma non precorriamo i tempi. Intanto godiamoci l’ennesimo psicodramma sportivo italiano e lasciamo pure agli irlandesi del Nord, quando ci avranno messo sotto assedio, la convinzione che sia merito loro, del loro carattere, della loro determinazione, Davide contro Golia eccetera eccetera. Ne hanno bisogno, specie se un giorno dovessero farsi vivi gli irlandesi del Sud.

1009.




Preti - Il mistero della fede
, A. Smeriglia

13.11.21

1008.

Poi ho guardato anche il finale di quel film, quello del ragazzo cinese. La cosa che mi ha colpito di più è che il ragazzo cinese sembrava depresso. Non dico il personaggio ma l’attore proprio, e questo rendeva molto credibile il personaggio. A volte mi domando se gli attori possano essere depressi. Crediamo che la loro vita sia favolosa ma non avranno anche loro i problemi che abbiamo noi? In fondo sono esseri umani e gli esseri umani, lo sapete, non sono mai felici. E quelli che sono felici è solo che non hanno capito di non avere motivi per esserlo, è tutto un fraintendimento, in realtà dovrebbero essere infelici. Ma di questo parleremo un’altra volta. Tornando al film, credo non ci sia bisogno del cosiddetto spoiler alert perché trattandosi di un canovaccio già vecchio ai tempi di Plauto sappiamo tutti che poteva finire in un solo modo e cioè: la bella ragazza americana si è poi resa conto di amare non il bel ragazzo americano, cioè l’esterno delle persone, ma il ragazzo cinese, cioè l’interno, e da tutto questo ha pure tratto una lezione: sii te stesso. Questo ci fa capire come sia tutto incredibilmente ciclico. Quand’ero un adolescente la morale dei film era: sii te stesso. Ora che morale hanno i film per adolescenti? Sii te stesso. Ma come, dico, non ha funzionato la prima volta, come può funzionare la seconda? Perché ripropinarlo? Ma evidentemente il modo in cui doveva funzionare non era in termini edonistici, o forse sì, ma per i produttori, non per gli spettatori. Comunque sia, la ragazza torna dunque dal ragazzo cinese e davanti a tutti i suoi familiari – genitori, nonni, eccetera – lo bacia e loro applaudono entusiasti, poi si spogliano – i due ragazzi, dico – e cominciano a fare sesso lì nel vialetto e i familiari sempre ad applaudire e a incitarli, e nel frattempo si sono spogliati anche loro ma giustamente non partecipano, sono una famiglia discreta, e in questo caso sono tutti felici (ma è finzione), però in questo modo naturalmente le cinquemila stelline se le sogna.

11.11.21

1007.

Ieri ho visto Lovehard, un film su Netflix in cui una bella ragazza americana di Los Angeles si innamora di un bel ragazzo americano di una piccola cittadina di provincia conosciuto online, decide di fargli una sorpresa presentandosi a casa sua il giorno di Natale e quando arriva scopre che il bel ragazzo americano non era il bel ragazzo americano delle foto viste online ma un ragazzo cinese, e quando lo vede è disgustata e se ne va. Mi ha fatto ridere. A quel punto ho deciso di continuare a vederlo benché fosse chiaramente un film da quattromila stelline massimo. Il ragazzo cinese la rincorre e per farsi perdonare (di essere cinese) decide di aiutarla a mettersi con il bel ragazzo americano, tipo Cyrano de Bergerac ma con Cyrano cinese e senza le lettere e le rime. Per tutto il tempo mi sono chiesto se, secondo il classico canovaccio di film di questo tipo, alla fine la bella ragazza americana si sarebbe resa conto di amare non il bel ragazzo americano, cioè l’esterno delle persone, ma il ragazzo cinese, cioè l’interno, di essere cioè non una bella ragazza americana superficiale ma una bella ragazza americana non-superficiale, il ragazzo cinese non c’entra assolutamente nulla in questa vicenda, si tratta di un viaggio di autoconoscenza e autoindividuazione della bella ragazza americana, quindi penso che alla fine – non ho visto tutto il film perché poi mi sono messo a guardare un tizio che guardava dei tizi che giocavano a scacchi – la bella ragazza americana capirà grazie al ragazzo cinese di essere non solo bella ma anche non-superficiale, lo ringrazierà penso con un bacio sulla fronte (sarebbe più corretto masturbandolo, ma non è quel genere di film, è un film natalizio) e tornerà a Los Angeles dove immagino diffonderà l’originale filosofia della bellezza dell’interno delle persone, e tutti a Los Angeles saranno sbalorditi e diranno non avevamo mai sentito niente di simile e si cercheranno un ragazzo cinese per avere la medesima esperienza e rivelazione. Un bel film, tutto sommato, penso che, se il finale è questo, potrebbe arrivare anche a cinquemila stelline.

10.11.21

1006.

Ieri mi sono arrivati dei mobili da montare. Penso: e che ci vuole? Bastano un cacciavite e la voglia di farlo. Due cose di cui al momento sono sprovvisto. Così esco e vado a comprare un cacciavite. Non sapendo dove si acquista, provo in cartoleria. La signora dice «non ne abbiamo». Io dico «eh, possibile? Nel retro non avete una cassettina degli attrezzi con un cacciavite?». «Se anche fosse,» mi fa lei «e non sto dicendo che è così, non sarebbe in vendita». Mi fa sempre ridere quando qualcuno dice che una cosa non è in vendita. Tutto è in vendita, e in quei rarissimi casi in cui una cosa non è vendita per nessuna cifra, sarà in vendita per qualcos’altro, che so, la vita eterna, tornare al giugno 1984, la vista a raggi x, diventare belli, eccetera. Metto dunque sul bancone una banconota da 10 euro. «Sicura?» dico alla signora. La quale vacilla. La osservo osservare la banconota. «Sicura» mi dice prendendo la banconota e infilandosela nella camicetta. Mm, penso, non so se funziona così. Apro il portafoglio e vedo che mi restano solo una banconota da 50 euro e un preservativo. Quale dei due mi farà vincere la sfida? Opto per la banconota. «Sicura sicura?» dico. Osservo la donna deglutire. 50 euro. «Pensi a tutti i cacciaviti che potrebbe comprarsi. Potrebbe comprarsi un set di cacciaviti Stanley da ventisei pezzi e avanzare ancora qualcosa per comprare altri cacciaviti» dico alla donna. «Perché mai, dopo essermi comprata un set di cacciaviti Stanley da ventisei pezzi, dovrei volere altri cacciaviti?» mi fa lei, bluffando. Buona mossa, lo ammetto. «Si riprenda i suoi soldi e se ne vada» dice prendendo la banconota e infilandosela nella tasca del vestito a fiori. Un osso duro, la signora, penso mentre lascio il negozio. Comunque non era questo ciò di cui volevo parlare, mi sono dilungato come al solito su dettagli di nessuna importanza. In breve: alla fine ho trovato il cacciavite, era proprio sotto il mio naso, nel cassetto del garage della casa del mio amico Roberto. Mentre lo prendevo, mi ha sorpreso sua moglie Abigaille. «Ciao Abi» le ho detto. «Ciao,» mi ha detto lei «che fai?». «Prendo un cacciavite di Roberto, posso?» le ho detto. «Prendi, prendi,» mi ha detto lei «tanto quel buono a nulla non aggiusta mai niente» ha detto riferendosi a Roberto. Siccome Abigaille è una bella donna, le ho detto: «Abi, ricorda che, se ti stufi di Roberto, io per te ci sono sempre». «Ti prendi il pacchetto completo?» mi ha detto lei, intendendo anche Roberto Junior. «Non esageriamo,» le ho detto «pensavo giusto a una cena romantica». Abigaille non ha commentato. Alla fine comunque sono riuscito a tornare a casa con questo benedetto cacciavite. Ho aperto un pacco, ho avvitato la prima vite ma, a metà dell’opera, ho pensato: no, non fa per me. E ho chiamato mio padre. Ma di questo, vista l'ora, parleremo un’altra volta.

3.11.21

1005.

Sul nuovo numero di Wu magazine, qui, spiego con immarcescibile chiarezza perché non dovete regalare libri.

1004.

È una scoperta recentissima della cultura occidentale: è meglio non morire.

In tutto c’è stata bellezza, M. Vilas

1.11.21

1003.

Ho preso una cuccetta per gatti, ma Gateau non ci dorme. Avevo un lettino per gatti, ma Gateau non ci ha mai dormito. L’ho dato ai miei che hanno otto gatti, nemmeno loro ci dormono (i gatti, dico, ma pure i miei), alcuni non lo hanno neanche ispezionato. Avevo un cuscino per gatti, snobbato. Una coperta per gatti con tanto di zampette di gatto disegnate sopra, dormici tu. Anche i giochi per gatti, ignorati. Pallina per gatti, la lanci e dentro ha un campanellino che suona. La lancio, il campanellino suona, Gateau mi guarda e mi fa: dai, prendila! Topolino per gatti, con coda e baffi eccetera. Lo lancio, Gateau si fa le unghie sulla sedia. Dove dorme Gateau? Su un portacomputer alla rovescia. In una scatola per bottiglie. Nell’armadio, affondata in un piumone. Su di me. Con cosa gioca Gateau? Mollette. Tappi. Castagne. Segnalibri. Insetti. Conclusioni: nessuna.


(nella foto: Gateau legge)

29.10.21

1002.

L'universo ci abbandona in tutte le direzioni.

Disturbi atmosferici, R. Galchen

28.10.21

1001.

Mio padre è un settantenne fanatico di Netflix. Guarda tutto, purché sia su Netflix. Filmate un lombrico che fissa una foglia per tre ore, mettetelo su Netflix e mio padre lo guarderà. Poi attenderà la seconda stagione. Così, quando mi capita di vedere qualcosa di interessante, qualcosa che raggiunga almeno le seimilacinquecento stelline, gli suggerisco di guardarlo. E un paio di settimane fa vado a pranzo da loro e suggerisco a mio padre di guardare Squid game. Lui fa spallucce. Sì, ho presente, mi fa, ma non è il mio genere. Ok, dico io, però provaci, almeno. Mm, dice lui. Dopo qualche giorno lo rivedo e gli dico: hai visto Squid game? No, mi fa lui. E io: guardalo, non è male. Lui non dice niente. Poi ancora: visto Squid game? No. Guardalo. Ok. E così via. Gli dico di guardare Squid game ancora un paio di volte, poi mi dimentico della faccenda e vado avanti con la mia vita. Finché, ieri, mi chiama mia madre: «Senti, tuo padre è due giorni che guarda una serie in coreano. Gli ho detto: ma sei diventato scemo? Cosa guardi una serie in coreano, che non capisci niente? E lui: "Capisco, capisco!". Però così tira scema me». Solo a quel punto mi rendo conto di due cose: la prima è che Squid game non è stato ancora doppiato e dunque, se uno sa soltanto l’italiano e il dialetto piacentino, servono i sottotitoli; la seconda è che mio padre, vedendoci come un cavallo da giostra, i sottotitoli non li legge. «Tu ne sai qualcosa?» mi fa mia madre. «Io?» le dico «No, niente».

27.10.21

1000.

Qualcuno di voi, cari lettori di questo umile taccuino elettronico, ricorderà quando, ai tempi dell'appunto 901, scrissi «vi ricordo la grande festa per l’appunto numero 1000, non prendete impegni». Bene, spero che abbiate preso impegni, invece, perché la festa che volevo organizzare nel pub del mio amico Thomas non si terrà in quanto a causa della pandemia le condizioni per la realizzazione della suddetta festa non esistono più, il suddetto pub non esiste più, mentre il suddetto Thomas esiste ancora ma adesso fa il pizzicagnolo. Rimandiamo dunque la grande festa all'appunto 1500.

26.10.21

999.

Giorni fa sono andato a casa di Giorgio e di sua moglie Giosefina e abbiamo giocato al gioco delle poesie. Le regole del gioco sono queste: ciascuno dei partecipanti porta tre poesie italiane che possono essere di un Vero Poeta o di un poeta dilettante, le legge nel modo più neutro possibile ad alta voce e gli altri due devono decidere se sono di un Vero Poeta o di un poeta dilettante. Per definire un Vero Poeta eravamo partiti con un semplice «deve avere una pagina Wikipedia nella quale è indicato come poeta», ma poi ci siamo resi conto che molta gente la pagina Wikipedia se la scrive da sola. Allora abbiamo aggiunto «deve aver pubblicato un libro di poesie con una casa editrice di questo elenco», ma poi ci siamo resi conto che ci sono persone che rispettano entrambi i requisiti ma che non possiamo accettare come Veri Poeti, per esempio Giosefina ha segnalato un tizio che ha la pagina Wikipedia nella quale è indicato come poeta e che pubblica con editori dell’elenco, ma le sue poesie sono così:

Io sono uno di quelli
che ci scherza sopra
poi però si innamora
e ci resta sotto


Giorgio si è opposto. E anche Giosefina. E anch’io. Quindi, dopo averci pensato, abbiamo deciso di aggiungere una terza condizione: un Vero Poeta è Vero Poeta solo se morto. Questa condizione è piaciuta a tutti. Così abbiamo giocato, in palio c’erano 5 euro e non per vantarmi (invece è per vantarmi) ma ho vinto, realizzando ben cinque punti su sei. Ci siamo divertiti tantissimo e ci siamo pure resi conto che il gioco in pratica diventa una specie di laboratorio di poesia, molto interessante se per esempio lo fate con tante belle ragazze, potrebbe quasi sicuramente scapparci del sesso perché le ragazze vanno in brodo di giuggiole per i poeti. In questo caso ovviamente no, cioè, non per me, ma immagino che Giorgio e Giosefina lo abbiano fatto, dopo. Eravamo anche parecchio sbronzi e sono tornato a casa in taxi, nonostante Giorgio e Giosefina vivano al piano di sopra.
Nel caso vogliate cimentarvi, vi propongo una delle tre poesie che ho portato al concorso:

All’amore non si resiste
perché le mani vogliono possedere la bellezza
e non lasciare tramortite anni di silenzio.
Perché l’amore è vivere duemila sogni
fino al bacio sublime.


Bella, no? 
Vero Poeta o poeta dilettante?

24.10.21

998.

L’uomo che io avevo sposato era talmente serio e concentrato da risultare inesistente, in casa c’era come presenza, questo sì, come c’è lei di fronte a me in questo momento, ma era un mobile, quasi un armadio o un tavolino, un mobile che si spostava in continuazione, una volta lo trovavi in camera da letto, un’altra in soggiorno. A cosa pensasse non l’ho mai capito.

I racconti, D. Del Giudice

20.10.21

997.

Mi telefona Paola e mi fa: vai a passeggiare, oggi? Io: no, diluvia. Lei: ahh, qui c’è il sole, invece, ho anche steso i vestiti fuori. E io: Paola, viviamo a cinquecento metri di distanza, come fa a esserci il sole da te, se da me diluvia? Al che Paola ha emesso un gridolino e ha abbandonato la conversazione.

996.

Sembra che ci siano un sacco di appassionati di musical e momenti musicali nei film, là fuori, ho ricevuto centinaia di e-mail e una lettera di carta. Tra i tanti, mi ha scritto una certa Anna (nome di fantasia, si chiama Simona Alessandrini, di Ravenna) chiedendomi, dei musical che ho citato, quali siano le mie scene preferite. Grazie per la domanda, Anna!, le ho detto. Allora, di Tutti dicono I love you la mia scena preferita è il finale, ma, essendo il finale, non posso linkarla, è un film che va visto con champagne e tartine di gamberi, mano nella mano con la persona che amate, o mano nella zampa, se la persona che amate è un gatto, come nel mio caso, o un ramarro o un cane. Sono stato molto combattuto tra quella di Edward Norton in gioielleria e quella del funerale con i morti che ballano dicendo «Divertiti, è più tardi di quanto credi», e alla fine ho scelto quella in gioielleria. Di Moulin rouge! (grazie Anna per la correzione!) come non citare il duetto McGregor-Kidman, con la Kidman all’apice della sua bellezza. Infatti è un duetto anche se la Kidman non canta. Di Sweeney Todd non so, Anna, le ho detto, non ricordo. Mentre de La piccola bottega degli orrori è impossibile non citare la scena di Steve Martin dentista sadico. Spero che la mia risposta ti abbia soddisfatto, le ho detto. (Sì!, mi ha risposto).

15.10.21

995.

Anche se, chiaramente, le regine dell'Internet restano loro.

13.10.21

994.

Mi piace tantissimo quando nei film cantano, non i musical  eccetto quel capolavoro di Tutti dicono I love you e come si chiamava quell’altro, ah sì, Moulin rouge! E forse anche Sweeney Todd, e La piccola bottega degli orrori (mi piacciono i musical?!)  ma quando, a un certo punto in un film normale, cantano, o ballano, o insomma fanno cose con la musica. Ho pensato alle scene di questo tipo che più mi piacciono, e ho scelto queste: quando una piccola rappresentanza dell’umanità ascolta Yesterday per la prima volta nella storia (da 0 a 1.26); quando Baby driver va a prendere i caffè; quando Gordon-Levitt ha finalmente fatto sesso con Zooey Deschanel, il che tra l'altro mi riporta sempre al video della sconosciuta Katie Gould che aspetta un aereo, qualche anno fa. Non è un film, ma è comunque una delle mie scene preferite in assoluto.

993.

Quando vado a trovare la mia amica Carla mi imbatto sempre nel Portoncino. Il Portoncino, che a vederlo sembra un innocuo portoncino, ha spedito e spedirà ancora parecchia gente all’inferno, grazie alle bestemmie che suscita in chi deve averci a che fare senza saperlo padroneggiare alla perfezione. Tra le tante, una sua particolarità è che, quando ti aprono dagli appartamenti dopo che hai suonato un citofono, poi la serratura smette di funzionare e il Portoncino non ne vuole sapere di chiudersi. Postini, corrieri, idraulici, visitatori e molti condomini hanno perso sudore, dita, sangue, pazienza, affetti e per l’appunto la possibilità di andare nel Regno dei Cieli grazie alla serratura del Portoncino. Io non sono tra questi, perché dopo la prima volta che mi ci sono imbattuto, Carla mi ha spiegato il trucco: basta aspettare dieci secondi e si chiude. Come mai?, ho chiesto io. Credo sia opera di una fattucchiera, ha detto Carla sorseggiando un Bloody Mary. È stato chiamato anche un fabbro, il quale, dopo essersi mostrato scettico di fronte all’ipotesi della fattucchiera, ha sentenziato: è la molla. Nella serratura c’è una molla che – ma qui Carla lo ha interrotto alzando una mano e dicendo: non voglio sapere nulla, mai. Lo ripari e basta. Ma dopo la sostituzione della molla non è cambiato niente, così si è deciso che il Portoncino è un Portoncino magico e basta, e non è rimasto che arrendersi alla regola dei dieci secondi. Il punto è che Carla non ha diffuso il segreto agli altri condomini, che tra l’altro nel suo palazzo cambiano spesso. Ognuno ci deve arrivare da solo, è la via verso la saggezza, dice. Tu come ci sei arrivata?, ho detto io. Me l’ha detto il vecchio inquilino, ha detto lei. Mentre se ne andava?, ho detto io. Sì, all’altro mondo, ha detto lei, era rimasto schiacciato nel Portoncino e poco prima di spirare mi ha preso una mano e sputacchiando sangue mi ha sussurrato: devi… aspettare… dieci… seco… secon… e poi è morto. Carla dunque non ha diffuso il segreto e ogni persona o famiglia che va a vivere nel suo palazzo deve arrivare a capire da sola come funziona la serratura del Portoncino. Alcuni ci arrivano dopo qualche tempo e terapia farmacologica, altri, disgraziatamente, mai. Non sarebbe un gran problema, se non fosse che quando sono da Carla a bere una birra si sente spesso la gente che entra e che poi sbatte il Portoncino con una rabbia e una violenza inquietanti. Per non parlare del baccano, che sembrano i botti di capodanno. Ma perché non metti un cartello?, ho chiesto. Non sono mica la governatrice del palazzo, ha detto lei, e poi alla gente non piace essere catechizzata. E se metto un cartello che invece di catechizzare stimola l’arguzia delle persone?, ho detto io. Ok, fa pure, ha detto lei, più che altro perché a Carla non piace parlare della stessa cosa per più di tre minuti. Così ho scritto, stampato e appeso questo cartello:

Attenzione! Per chiudere il Portoncino occorre seguire uno di questi metodi:

1. Aprire e chiudere il Portoncino con violenza per 10 secondi.
2. Aprire e chiudere il Portoncino con media forza per 10 secondi.
3. Aprire e chiudere il Portoncino delicatamente per 10 secondi.
4. Abbassare e alzare la maniglia per 10 secondi.
5. Colpire il Portoncino con la mano destra chiusa a pugno per 10 secondi.
6. Schiaffeggiare il Portoncino per 10 secondi.
7. Bestemmiare per 10 secondi.
8. Cercare di aggiustare il Portoncino con la sola forza del pensiero per 10 secondi.
9. Fare capriole per 10 secondi.
10. Introdurre banconote nella cassetta postale della signorina Carla O. per 10 secondi.
11. Pregare Gesù chiedendo che il portoncino si chiuda, per 10 secondi (occhio alla virgola, quando pregate!)
12. Pregare Gesù chiedendo qualunque altra cosa per 10 secondi.
13. Piagnucolare per 10 secondi.
14. Leggere questo cartello per 10 secondi.
15. Dire "per dieci secondi" per 10 secondi.
16. Aggiungere a questa lista altri metodi di propria invenzione per 10 secondi.

Grazie!


Dovrebbe funzionare.

11.10.21

992.

Ma perché nei film, quando il cattivo punta una pistola nella schiena del protagonista sequestrandolo per strada e gli dice sali in macchina, il protagonista lo fa? Cioè, niente di quello che ti potrà succedere una volta che sarai salito in macchina con uno che sequestra la gente per strada può essere peggio di essere ucciso sul posto lì in mezzo a tutti con una bella pistolettata in fronte. Io non salirei mai.

Sali in macchina.
Fossi matto.
Sali!
Non ci penso proprio.
Se non sali ti sparo.
Mi spari anche dopo che sono salito, ma prima magari mi porti in una vecchia fabbrica abbandonata e mi strappi tutte le unghie.
Dopo averti fatto bere piscio di vacca.
Appunto.
Senti, sali o…
Spara, spara. Anzi, ma perché sto qui a parlare con te? Perché non sto scappando? Perché non sto urlando? Perché non sto scappando urlando? (Scappando) Aiuto! Aiuto! Aiuto!

6.10.21

991.

La caratteristica delle droghe è che puoi lottare contro di loro per tutta la vita ma stai lottando contro un cervello che ti vuole morto.

Viscere, A. Gray

5.10.21

990.

Ero in libreria e ho visto un libro intitolato Vivi ogni giorno come se fosse il primo. Ho immaginato di svegliarmi, domani, in ospedale, di piangere e strillare, di cagarmi e pisciarmi addosso, avere coliche gassose, la pelle arrossata, non camminare, non parlare, non pensare, non capire quello che mi dicono le altre persone, non sapere chi o cosa sono le altre persone, non leggere un libro, giocare a scacchi, guardare un film, bere champagne, non potermi nemmeno masturbare, insomma niente, infine addormentarmi e, il giorno dopo, nessun progresso, tutto da capo, fino alla fine. Mi ha fatto ridere.

3.10.21

989.

«Reg, può dire a Oberon di non strizzarmi i capezzoli durante la scena del litigio?».
«Secondo me funziona per la scena, Sarah».
«Li strizza troppo forte. Non mi piace se me li strizza così forte» ha detto, e se n’è andata tutta offesa verso la sua pergola.
«Piove» ha esclamato una voce maschile accanto a me.
«Ti sarei grato se ti concentrassi sulla recitazione senza preoccuparti del meteo, Billy».
«Come facciamo a recitare se il palcoscenico non è altro che una buca per terra?».
Il ragazzo aveva ragione. E io avevo una risposta. «I motivi circolari tracciati dai nostri movimenti intorno alla fossa esemplificheranno la vicinanza all’abisso del genere umano, cosa che a sua volta richiamerà a livello drammaturgico il tema della rivoluzione e del rinnovamento nel ballo del Morris inglese che, come ricorderai dalla prima settimana di prove, Billy, è una fonte popolare riconosciuta delle commedie shakespeariane di calendimaggio».
Vorrei poter dire che ero soddisfatto del mio discorso a braccio. Le osservazioni da addetti ai lavori riguardo alle più amie implicazioni scenotecniche conviene lasciarle in aula, perché sul campo, diciamo così, tendono a confondere più che a chiarire le idee. Billy sembrava disperato. Evidentemente ci avevo azzeccato la settimana prima, mentre provavamo la scena di sesso, immaginando che fosse figlio di una famiglia infelice. Gli ho posato un braccio sulla spalla e ho detto, con tutto il tono paterno che mi è riuscito di improvvisare al momento: «Lo so, Billy, sembra una voragine. Dovremo stare attenti a non caderci e spezzarci le gambe. A volte nel teatro, come nella vita, i risultati migliori si ottengono soprattutto quando siamo intenti a non renderci ridicoli».

La luce smeraldo nell’aria, D. Antrim

29.9.21

988.

A proposito di gattini salvi: leggo inoltre che giorni fa degli agenti di polizia hanno trovato sulla superstrada nei pressi di Melegnano un gattino ferito, lo hanno salvato e lo hanno chiamato Beppe. Mi ha fatto ridere (oltre a rendermi felice per Beppe).

28.9.21

987.

Su un giornale sportivo leggo questo titolo: «Bruno Fernandes tira il rigore al posto di Ronaldo e succede un disastro!». Ora, mi dico, un rigore o lo segni o lo sbagli, come fa a essere un disastro? Un disastro è se Bruno tira il rigore, lo sbaglia, la palla esce dallo stadio, finisce in strada, colpisce un autobus strapieno di modelle o gattini, l’autobus (guidato da una modella o da un gattino) sbanda (avrebbe sbandato comunque, prima o poi, ok), precipita dal viadotto (era un viadotto), atterra su un camion dell’esercito carico di (modelle o gattini? Mm, anche, sì) razzi, esplode, i razzi partono e colpiscono tutti i vigneti dello Champagne e la mia macchina. Oppure: Bruno tira il rigore, la palla colpisce la trasversa, rimbalza e colpisce Cristiano Ronaldo, uccidendolo. Non che a questo punto mi interessi granché di Cristiano Ronaldo, ma lo si potrebbe comunque definire oggettivamente un disastro, se si considera la situazione di partenza, cioè un rigore che ti permetteva di pareggiare. In effetti ora che ci penso avremmo un disastro in presenza di qualunque danno provocato da un rigore sbagliato oltre al fatto di averlo sbagliato. Però, va be’, fortunatamente era solo un altro caso di titolo-esca: modelle, gattini e champagne (e la mia macchina!) sono sani e salvi.

986.

Cose degne di nota: il mio vecchio amico Astutillo ha scritto e disegnato un libro a fumetti, Il mondo più pazzo del mondo.
Se vi interessa leggerlo (e guardarlo, suppongo) lo trovate in libreria, nelle librerie online, a casa sua e a casa mia.

27.9.21

985.

Questa mattina spulciando un giornale online ho visto un articolo dove spiegavano come avere il rimborso da Dazn per il danno conseguente a dei problemi tecnici di qualche giorno fa (ti collegavi per vedere la partita di calcio e invece ti beccavi un quartetto di Schubert o un documentario sulle rane artigliate africane), ma per leggere l’articolo mi sarei dovuto abbonare al giornale online, in pratica avrei dovuto usare il rimborso di Dazn per sapere come avere il rimborso di Dazn, rimborso di Dazn che, per ragioni squisitamente logico-temporali, ancora non avevo e, ho compreso in quel preciso istante, probabilmente non avrei mai avuto.

25.9.21

984.

Mi scrive un lettore in merito all'appunto sul frullato alla banana. Mi dice che si può fare anche con altra frutta. Tipo banane più piccole?, gli chiedo. Lui: sì, ma anche fragole. E sa di banana?, gli chiedo. No, mi dice, sa di fragola. Ah, dico io, frullato alla banana che sa di fragola, interessante, grazie! No, mi riscrive lui poco dopo, in quel caso non sarebbe frullato alla banana ma frullato alla fragola. Ahh, dico io, capisco, e scusa tanto, un'ultima domanda. Dimmi, mi dice lui. Queste fragole di cui parli, gli dico, per caso sanno di banana? No, mi fa lui. Nemmeno un pochino?, gli dico. Be', un pochino forse sì, mi fa. Ah, bene bene, gli dico, vado subito a comprarle. Sono gialle, vero? No, mi fa. Ok ok, gli dico, adesso ho davvero capito, grazie, vado a comprarne un intero casco. (Non mi ha più risposto).

24.9.21

983.

Mio nonno Raymond era molto saggio, ricordo: «Anche quando c’è l’amore, o una grande amicizia, non si può andare sempre d’accordo» diceva mentre seppelliva mia nonna Rachele. «Nonno, credo che la nonna sia ancora viva,» avevo detto io «sento dei lamenti». «No, figliolo,» aveva detto lui «sono i rumori tipici di una vecchia casa». «Ma siamo nell’orto» avevo detto io. «Un vecchio orto, allora», aveva detto lui.

23.9.21

982.

Quando la mia amica Carla ha saputo che vado a passeggiare con la sua (nonché mia) amica Paola, ha voluto che andassi a passeggiare anche con lei. Certo, le ho detto, lo dico anche a Paola. E lei: no! Hai passeggiato da solo con lei, ora passeggi da solo con me (è molto competitiva). Ok!, le ho detto. Così andiamo a passeggiare per San Paco Llorente. A differenza di Paola, Carla non fa sterrati e roba simile, lei vuole camminare per le strade dove ci sono persone e negozi. Una caratteristica di camminare con Carla è che, siccome Carla conosce tutti, tutti la salutano, sembra di camminare col Papa, mentre me non mi saluta nessuno, anzi quando ci siamo fermati a scambiare due parole con una persona che stranamente conoscevamo entrambi, questa a un certo punto mi fa: ma tu dove vivi? E io: qui a San Paco. E lei: ah. Poi si è rimessa a parlare con Carla. Così a un certo punto mentre passeggiamo dico a Carla: senti, facciamo una gara, vediamo chi viene salutato più volte, solo che le persone che salutano me valgono cinque. Carla si mette a ridere e dice: ok. Dopo mezz’ora di camminata, a ormai poche decine di metri dall’arrivo (casa mia), siamo sull’incredibile punteggio di 18 a 15 per Carla. Al che le dico: pazzesco, che partita emozionante! Dobbiamo incontrare in quest’ultimo tratto ancora solo una persona e vincerò 20 a 19 (davo per scontato che l’avrebbe conosciuta anche Carla). Pochi passi dopo, ecco il signor Arrigo S., mio vicino di casa. Ciao Carla!, dice subito. Io penso: porca puttana, Arrigo, sono il tuo vicino di casa e saluti prima Carla? Va be’. Poi comunque il signor S. saluta anche me, ovviamente, portandomi in vantaggio a pochi metri dalla fine del match. Ah ah, dico a Carla dopo che ci siamo lasciati alle spalle il signor S., che vittoria fenomenale! Mm, dice Carla, quindi all’improvviso sterza – vieni, mi fa –, entriamo in un bar dove un gruppetto di sanpacollorentesi sta facendo l’aperitivo, Carla prende un tovagliolo, usciamo e il risultato è di 34 a 20 per lei. Mi sembra di aver vinto, dice appallottolando il tovagliolo e infilandomelo nel colletto della polo (per asciugarti le lacrime, dice). Mm, dico io. Bello camminare, dice poi, adesso però andiamo a farci due birre, ok?

22.9.21

981.

Oggi la giovane Gateau – la gatta, non l'omonimo taccuino elettronico – è un po' meno giovane, visto che compie cinque anni, ma è comunque ancora molto giovane. Buon compleanno, giovane Gateau!

21.9.21

980.

Oggi ho fatto la pizza. Ne faccio sempre due, una per me e una per il me di domani, e le faccio di pomeriggio per poi riscaldarle la sera, potrei spiegare perché ma sarebbe una divagazione inutile. A volte comunque vengo preso da improvvisi raptus di generosità e chiamo qualcuno a cui so che piace la mia pizza e gli dico: senti, ho fatto due pizze, se vuoi te ne do una. Così è successo oggi pomeriggio. Faccio due pizze e dopo aver riflettuto decido che una può essere ceduta alla mia amica Paola, che ama la mia pizza almeno quanto me. Dunque la chiamo. Paola?, le dico, senti ho fatto la pizza e se vuoi te ne do una. Paola è entusiasta, ovviamente, chi non lo sarebbe? Sì!, dice, quando passo? E io: tra un quarto d’ora, l’ho appena sfornata. Ok!, mi dice, ti chiamo quando sono lì. Intanto copro la pizza destinata a Paola con un foglio di carta forno, per proteggerla dagli agenti atmosferici e dalle avversità. Ma quando Paola ormai sta per arrivare, tolgo il suddetto foglio e scorgo con orrore un moscerino adagiato su un pezzetto di mozzarella. Il moscerino mi guarda e mi fa: mm, deliziosa. Qui scatterebbero i consueti protocolli e la pizza finerebbe nella spazzatura, che uno dice: ma come, butti una pizza? E io: tranquilli, qui nel quartiere abbiamo il barbone Dorito che non si lascia sfuggire nemmeno una buccia di kiwi, figuratevi la mia pizza. Ma prima chiamo Paola. No, prima prendo il moscerino e lo gambizzo. Poi chiamo Paola. Senti, le dico, purtroppo sulla tua pizza si è posato un moscerino, la butto. E lei: no ma che butti? Ho mangiato una pizza con le formiche, sai che mi frega di un moscerino. E io: cosa? Ma quando? E perché? E lei: che ne so, credevo fosse origano.

18.9.21

979.

Quando incontro degli amici per strada mi dicono come prima cosa che sono magro. Prima di dirmi che sono bello, che sono intelligente, che sono felici di vedermi. Ma quanto magro potrò mai essere? Io rispondo che non so cosa farci, mangio quattro pizze a settimana cercando di ingrassare ma non funziona. Avrò qualche verme nella pancia, dico. Loro ridono, questa risposta piace. Sono andato dal dottore perché mi fa male un dito, lui ha snobbato il dito e mi ha detto: sei magro. Se fosse stata una dottoressa le avrei detto: senta, perché non la smettiamo con questa sceneggiata e non mi invita a cena? Ma era un dottore, quindi ho detto: sarà perché mangio poca carne, doc? Lui mi ha detto: perché mangi poca carne? Io: non mi piace il sapore. Lui: nemmeno cruda? Io: mm? Alla fine abbiamo concluso che mangiare tutto quello che mi pare, fare sei pasti al giorno più l’aperitivo, zero attività fisica e restare magro e bello è una gran fortuna. A meno che non si tratti di qualche malattia mortale che scopriremo solo dopo l'autopsia, ha borbottato il dottore prescrivendomi degli integratori. Una cosa?, ho detto io appallottolando la ricetta e tirandogliela in fronte. Niente, ha detto lui, prendendo la palletta di carta e gettandola nel cestino, si vede che sei fatto così.

17.9.21

978.

Ecco come funziona: quando un ministro sposato di un altro credo si converte al cattolicesimo, può richiedere a Roma una dispensa per diventare un prete cattolico sposato. Proprio così, ha il permesso di tenere la moglie. Ha addirittura il permesso di tenere i suoi figli, per quanto siano cattivi. Il Vaticano deve esaminare il suo caso e dichiararlo idoneo al servizio. (La pratica di mio padre venne approvata da Joseph Ratzinger, che in seguito avrebbe assunto il nome di papa Benedetto XVI per poi dimettersi dal papato e diventare un enigma, passeggiando nei giardini privati con le sue eleganti scarpe a punta, gli occhi tra i cespugli come imperturbabili rose nere.) Ottenuta l’approvazione, l’uomo può iniziare la formazione al sacerdozio e ricevere gli ordini, ma solo dopo che tutti i parenti più stretti avranno superato il test per la psicopatia.

Priestdaddy, P. Lockwood

15.9.21

977.

Squilla il telefono, è mio padre, rispondo. Sì?, dico. Comincia a spiegarmi un problema con i Drm degli ePub, anche se lui li chiama «i bup» (sorprendente come riescano a sbagliare anche con un numero così esiguo di lettere), mentre Drm non lo dice davvero, lo si evince dal contesto. Intanto sento sullo sfondo rumore di uccellini, sterpaglie, saluti e ossequi. Ma dove sei?, chiedo. Sto camminando con tua madre, mi fa. Ok, gli dico, senti, forse devi provare un altro formato quan… A questo punto sento che si mette a parlare con qualcuno, mentre passeggia, anzi si mettono a parlare entrambi con qualcuno. Mi lascia in sospeso senza alcun tipo di remora, quindi mentre li ascolto che parlano di malattie e medicinali, valuto se: mettere giù; restare pazientemente in attesa sorbendomi sia la conversazione tra pensionati sia la mancanza di rispetto quasi intimidatoria implicita nel lasciarmi appeso come se il mio tempo e di conseguenza la mia vita non avessero alcun valore. Trattandosi di mio padre, decido di restare pazientemente in attesa e intanto penso che da ragazzo mi immaginavo nel 2021 al telefono con Jennifer Lopez mentre sorseggiavo un Bronx alle dieci del mattino nel mio lussuoso appartamento sulla Fifth Avenue. Be’ il Bronx potrei farmelo, in effetti, ma il resto sembra ormai precluso. A un certo punto sento una voce di donna che dice, in merito agli acciacchi del marito: la sera gli spalmo il Voltaren sulla schiena. E mio padre dice: attenta, però, poi potrebbe fingere di avere ancora dolore solo per farsi massaggiare. La signora ridacchia. Mio padre ridacchia. Quindi si salutano. Finalmente mio padre si ricorda di avere un essere umano, aka suo figlio, al telefono. Scusa, mi fa. E io: non avevo proprio idea che alla vostra età faceste ancora battute ambigue. Lui ride, io no. Poi torniamo ai Drm, gli spiego cosa dovrebbe fare, lui non capisce, ci salutiamo, io compongo un numero a caso sperando che risponda Jennifer, risponde invece un elettrauto: salve, c’è Jennifer?, chiedo. No, risponde l'elettrauto. Allora vorrei prendere un appuntamento per la mia Bugatti. Resti in attesa, mi fa. Ci mancherebbe dico io, e riattacco.

14.9.21

976.

Perché i tifosi di calcio scrivono gli striscioni in rima? I cori posso capire, ma gli striscioni? È strano soprattutto quando sono arrabbiati, per via dell’effetto filastrocca che invece fa pensare a qualcosa di allegro o infantile. Prendiamo l’ultimo striscione dei tifosi della Juventus. Hanno scritto: La stagione è una battaglia, chi sosterrà la maglia? Cara dirigenza, senza tifo, passione e curva assente, questo spettacolo è indecente. Non so. A parte i dubbi sulla metrica, sulla ripetizione del concetto di assenza di tifo e su un’apparente incongruenza logico-sintattica (sembrava più sensato scrivere senza tifo, passione e curva, ma probabilmente non veniva la rima con curva, però forse bastava invertire l’ordine, tipo: senza curva, tifo e passione, questo spettacolo è una delusione), a rovinare tutto secondo me è per l’appunto la rima. Sarebbe interessante sapere da dove viene quest’abitudine e perché è tanto radicata. Una breve ricerca mi ha fatto scoprire che alcuni siti di tifosi raccolgono addirittura poesie e sonetti (!), che esiste una pubblicazione intitolata Poeti della curva. Un’analisi sociolinguistica degli striscioni allo stadio e ovviamente dei meme. Mi ha fatto ridere.

13.9.21

975.

Un'altra espressione che non vuoi sentire è «Torno subito». In codice significa «Vai a farti fottere», almeno a sentire una donna che ha lavorato sugli aerei della Northwest e che mi ha insegnato diversi termini specifici del suo lavoro.
«Hai presente le bottigliette d’acqua che in volo diventano tutte grinzose?» mi ha chiesto. «Ecco, la stessa cosa succede alle persone, ma dentro. Per quello abbiamo tutti la pancia piena d’aria».
«Ah, ecco» ho detto.
«Allora io e le altre ragazze cosa facciamo, ogni tanto scoreggiamo mentre andiamo avanti e indietro per il corridoio. Non ci sente nessuno perché c’è il rumore dei motori. Noi comunque lo chiamiamo “spargere il diserbante”».

Esploriamo il diabete con i gufi, D. Sedaris

9.9.21

974.

Sul nuovo numero di Wu magazine, qui, spiego con la consueta nitidezza perché la felicità è andare al supermercato e trovare tutta merce, niente persone.

973.

Ieri passa a trovarmi zia Mariuccia. Senza avvertire, ovviamente. E senza portarmi una bottiglia di Clos des goisses per il disturbo. Né i pasticcini. Va be’, zia Mariuccia insomma. Mi fai un bel gingseng?, mi dice. Non ce l’ho, zia, le dico. Ce l’ho io, dice lei, e dalla borsetta tira fuori il ginseng. Mettimelo in una tazzina da gingseng, però, tesoro, mi dice. Non ho tazzine da ginseng, zia, le dico. Ce l’ho io, dice lei, e dalla borsetta tira fuori una normale tazzina da caffè. E non dimenticare lo zucchero di canna!, mi dice mentre sono in cucina a leggere le istruzioni del suo ginseng. Non ne ho!, le dico. Lei non emette altri suoni. Alla fine torno di là con il suo ginseng. Ahh, ci voleva proprio, dice lei sorseggiandolo come fosse ambrosia. Poi prende il cellulare e mi fa: senti, mi è arrivato questo messaggio ma credo sia per te. Mi mostra il display e c’è un chiaro messaggio di spam che dice: signore, l’appuntamento di tuo nipote è prenotato. Verranno cambiati i gommini. Richiama questo numero per conferma. Segue numero telefonico probabilmente del Botswana. Non so di che si tratti, zia, dico a zia Mariuccia. E lei: eh ma non hai un appuntamento? Io: per cambiare i gommini? Non sono mica una bicicletta. Silenzio. Zia Mariuccia studia il messaggio e poi mi fa: ingrandisci l’immagine di chi l’ha mandato, magari lo conosci. Prendo il cellulare e ingrandisco l’immagine. Appare un grosso pupazzo blu, un dinosauro per la precisione. Zia, le dico, ma è un pupazzo. Lei mi scruta per qualche istante come un fondo di ginseng. Poi: lo conosci?

4.9.21

972.

Che noioso il dizionario quando cerchi un termine e ti rimanda a un altro. Pedologo? Studioso di pedologia. Eh sì, dai, lo so! Dimmi cosa vuol dire e basta, no?

3.9.21

971.

Ascoltarlo sarebbe stato come leggere il genere di libri che mi piace di più, quelli che raccontano di persone che fanno una vita sostanzialmente diversa dalla mia. E con questo intendo diversa in peggio. Se uno abita in una villa fatta d’oro massiccio, chi se ne frega, ma se casa tua è un vecchio frigorifero accanto a un canale di scolo, chiamami! Anche a carico.

Esploriamo il diabete con i gufi, D. Sedaris

970.

Sta di fatto che durante una delle mie passeggiate solitarie l’altro giorno incontro la mia amica Paola, anche lei che passeggia. Anche tu passeggi?, mi chiede. Certo, le dico. E da quando?, mi chiede. Da tre giorni, le dico. Ma perché non passeggiamo insieme, qualche volta?, mi dice. Ok!, le dico. E così ci accordiamo per fare una passeggiata e ieri alle sei vado sotto casa sua e suono il campanello, come da accordi. Paola scende in tenuta da runner. Credevo di far due passi per il centro, le dico mostrando i miei pantaloni normali e la mia polo normale e soprattutto le mie scarpe di tela normale completamente prive di qualunque tipo di comfort o ammortizzazione. Paola, facendo una specie di riscaldamento saltellando sulle sue scarpe aerodinamiche e gommatissime, poi piegando prima una gamba e poi l’altra e compiendo altri esercizi di stretching, mi fa: pronto? Io: sì, dove andiamo? Lei: di qua. A quel punto cominciamo a camminare e a chiacchierare. Camminiamo lungo viali, strade, stradine, in zone residenziali, attraversiamo un piccolo parco, un parco giochi, tagliamo per viuzze, eccetera. Poi Paola dice: tagliamo di qua. E scendiamo lungo una stradina seguendo un marciapiede che poi finisce. A quel punto stiamo camminando sull’asfalto, lungo il ciglio della strada. Le dico: siamo in strada come due macchine, Paola. Paola ride. Per di qua, dice poi, e passiamo in mezzo a dell’erba e su dei sassi e poi in una zona con case diroccate, ci sono degli spacciatori che ci guardano, io sorrido come a dire: togliamo subito il disturbo, sorry. Di qua, dice Paola a un certo punto, indicando il cortile di un’abitazione. Della gente sui balconi ci osserva. Qualcuno chiama la polizia. Entriamo in un palazzo. Scendiamo delle scale. Prendiamo l’ascensore. Usciamo da una porta sul retro, poi ancora un pezzo in strada, scavalchiamo un muretto, facciamo una salita, scappiamo da un cane, attraversiamo un boschetto, guadiamo un torrente, facciamo un ponticello, passiamo in mezzo a delle erbacce, sbuchiamo su una pista ciclabile, evitiamo tre anziani, attraversiamo il parcheggio di un supermercato, poi una strada provinciale, un benzinaio chiuso, e infine eccoci di nuovo in mezzo alle abitazioni, alla gente. Stanco?, mi fa Paola. Vorrei sdraiarmi in quella pozzanghera, le dico indicando una pozzanghera immensa che riflette il cielo stellato anche se è giorno. Lei ride, poi mi accompagna fin sotto casa mia. Ne abbiamo fatti di chilometri, dice togliendosi delle spine dal polpaccio. Sì, dico io togliendomi un chiodo da un piede. Be’ quando vuoi camminare fammi un fischio, mi fa. Ok, le dico. E la guardo correre via.

2.9.21

969.

In questi giorni mi sono messo a fare delle passeggiate da solo per San Paco Llorente, e siccome uno che passeggia da solo mi mette tristezza e non mi piace sembrare uno che mette tristezza, lo stratagemma che ho pensato è di fare commissioni, andare in determinati posti a fare delle determinate cose, per esempio vado in un bar e compro le sigarette, poi esco, butto le sigarette e vado in panetteria, prendo del pane, poi esco butto il pane e vado in farmacia, prendo delle Zigulì poi esco mi mangio le Zigulì, poi vado in edicola e prendo il giornale, lo accartoccio e vado dal fruttivendolo, prendo tre kiwi, quelli li mangio, vado in tintoria a ritirare i pantaloni, quali pantaloni?, mi dice la signora, allora vado a comprare dei pantaloni e poi torno in tintoria e così via, sembro uno che ha mille cose da fare, non uno che sta passeggiando da solo, la gente mi saluta con bei sorrisi e mi dice giusto due parole ma percepisce che sono di fretta, molto indaffarato e allora dice «non ti trattengo!» e mi lascia andare e magari dopo cinque minuti mi vede passare di nuovo, sbucato da un’altra stradina, e pensa: mm? Nelle mie passeggiate ho anche pensato che non sarebbe male se ci fosse un negozio di noleggio cani, così se ti serve un cane per passeggiare vai e ne noleggi uno e poi ci cammini, la gente se ti vede pensa ah guarda quello che porta a spasso il cane e tu la guardi a tua volta e dici certo, è il mio cane, stiamo facendo due passi, e se ti fermano si possono fare anche due chiacchiere sul cane, che bello come si chiama? Jeffrey. Ciao Jeffrey. Eccetera. Poi quando hai finito il cane però lo riporti, e il giorno dopo se Jeffrey non è disponibile e ti danno un cane completamente diverso? Poi magari incontri quello del giorno prima che ti fa: bello! Come si chiama? E tu: Jeffrey. E quello: tutti Jeffrey, i tuoi cani? E tu: ma no è lo stesso Jeffrey di ieri, lasciaci in pace. Immagino però che io mi affezionerei, forse tutti si affezionerebbero e quindi i cani non li riporterebbe nessuno. Be’, buon per loro. Quel negozio potrebbe essere il canile, dunque, basterebbe cambiargli il nome, da Canile a Negozio noleggio cani per passeggiate e poi mettere un cartello all’ingresso con scritto: Attenzione, i cani vanno riportati al negozio dopo la passeggiata!, in questo modo siamo abbastanza sicuri che la gente si terrà i cani, anche se, ora che ci penso, noi non vogliamo che i cani finiscano nelle grinfie di persone disoneste, quindi no, sul cartello scriveremo Attenzione, se non riportate il cane dopo la passeggiata verremo a cercarvi e ve la faremo pagare. O qualcosa di simile e, be’, ci penseremo.

1.9.21

968.

Oggi pranzo domenicale dai miei. A un certo punto mia madre dice a mio padre: cosa fai con quel bicchiere? Mio padre si paralizza. La mano sul bicchiere. Nel bicchiere: acqua naturale. Io: che ha che non va? Lei: non capisco perché deve prendere il bicchiere se sta ancora masticando. Io: e a te cosa te ne frega, scusa? Lei: non vedi? Sembra uno che ha fretta e deve andare via. Dove devi andare? Mio padre, sempre paralizzato, mano sul bicchiere, non risponde e mastica lentamente cercando di non dare nell’occhio. Io: io vedo solo uno che sta aspettando di deglutire per poi bere. Lei: e non può aspettare senza tenere il bicchiere? Tanto finché non avrà deglutito non potrà bere. Io: farà un po’ come vuole, no? Mia madre allora prende un bicchiere e comincia a mangiare tenendo il bicchiere in mano. Cosa ti sembro?, mi fa. In effetti mi sembra una persona con un principio di demenza, ma non lo dico. Io: mi sembri una che non ha niente di meglio da fare che rompere l’anima al prossimo. Intanto mio padre ha finalmente finito di masticare ma non si è ancora azzardato a bere. Lei continua con la pantomima. Io: perché hai dell’astio nei suoi confronti? Sembra un tipo tranquillo. Lei: dovresti provare a viverci ventiquattro ore su ventiquattro, ti logora i nervi. Io: ma dai. Lei: lo vuoi? Te lo porti a casa e poi mi racconti. Io: no no, grazie, sto benissimo così. Ma non dovevi sposartelo, allora. Lei: ma no, cosa c’entra. Guarda mio padre e gli sorride, poi gli dice: bevi, tesoro, bevi. E solo allora mio padre beve.

29.8.21

967.

Ahh...

26.8.21

966.

E-mail di Amazon: ciao, il tuo pacco contenente viscere è in consegna.

965.

Rimandavo la visita. La rimandavo. Un cane nell'appartamento accanto al mio si metteva ad abbaiare, e per un attimo mi distraevo. Poi il cane smetteva di abbaiare, ed era passato un anno.

La vita dopo, D. Antrim

23.8.21

964.

Chi mi segue da quando era bambino sa che ogni tanto, circa una volta ogni sei anni, condivido qui sul taccuino elettronico una delle mie ricette. Oggi ne stavo gustando una (cioè non la ricetta ma il risultato della ricetta ben eseguita) e mi sono detto: penso sia arrivato il momento di condividere una ricetta. Così eccomi qua. Si tratta di un piatto semplice ma gustoso e sano che si prepara in pochi minuti: il frullato alla banana. Pronti? Partiamo! Per un buon frullato alla banana vi servono: una banana (se non avete tempo potete usare direttamente un frullato alla banana), un bicchiere di latte scremato, un frullatore, un bicchiere, la corrente elettrica. Se avete solo del latte intero potete uscire e comprare quello scremato, oppure scremarlo voi stessi con una garza e un calzino. Alcuni preferiscono poi aggiungere anche la buccia della banana e il cartone del latte, ma io trovo che così il frullato venga troppo corposo. Se non avete un frullatore potete usare un recipiente e frullare gli ingredienti con le mani, in questo modo ci vorrà più tempo e il frullato si scalderà e quindi andrà poi raffreddato in frigo, se ne avete uno, altrimenti non so cosa dirvi (mi spazientisco in fretta quando insorgono delle complicazioni, scusate). Se avete un frullatore, non dovete fare altro che tagliare la banana con un coltello, se l’avete, altrimenti potete spezzettarla con le mani ma a me in questo modo non piace perché i pezzi di banana poi sono tutti irregolari, invece per un frullato perfetto dovrebbero essere delle stesse dimensioni, tagliati con un angolo di trentasei gradi. È vero che poi la banana verrà frullata, ma, credetemi, la differenza si sente. Una volta tagliata la banana, versatela nel bicchiere del frullatore, quindi prendete il latte, il bicchiere non del frullatore e versate il primo nel secondo (attenti a non fare il contrario, altrimenti il frullato non verrà bene), quindi versate il latte nel bicchiere del frullatore (scusate ci sono un sacco di bicchieri in questa ricetta, è essenziale non fare confusione). Alcuni qui vanno a occhio ma in questo modo a volte vi verrà un frullato liquido e a volte troppo denso, è vero che si può correggere aggiungendo un po’ di banana da una seconda banana nel primo caso e un altro po’ di latte dal cartone del latte nel secondo, ma non è detto che questi aggiustamenti funzionino al primo colpo, una volta mia nonna Rachele è finita per far bere a mio nonno un frullato con due litri di latte e nove banane e per nascondere l’errore si è portata il bicchiere del frullatore in soggiorno dove il nonno stava guardando un film di guerra e l’ha nascosto dietro il divano, poi ogni volta che il nonno beveva un sorso di frullato e posava il bicchiere e si distraeva guardando il film, zac!, la nonna faceva subito il rabbocco, poi il nonno beveva e così via, solo che anche così ci stava mettendo troppo e allora la nonna a un certo punto con un movimento lesto ha sostituito il bicchiere normale con il bicchiere del frullatore, il nonno era così preso dal film che è andato avanti a bere senza accorgersi di nulla, solo che alla fine non è stato bene (era intollerante al lattosio e al potassio e allergico al lattice, materiale di cui erano fatti il bicchiere e le gocce di cioccolato che mia nonna aveva aggiunto al frullato) ed è rimasto anche mentalmente disorientato per un bel pezzo. Quindi: non andate a occhio, ok? Una volta che tutti gli ingredienti sono nel bicchiere del frullatore, mettete il coperchio – oppure no, se vi piace bere il frullato mentre lo fate –, inserite la spina e avviate il frullatore alla massima velocità (il mio ha solo una velocità, la massima velocità) per una decina di secondi, quindi staccate la spina, togliete il coperchio – o mettetelo, se prima non lo avevate fatto – staccate il bicchiere del frullatore dal frullatore, prendete un bicchiere pulito e versate il frullato alla banana nel bicchiere – non preoccupatevi se, a mano a mano che versate il frullato, il bicchiere pulito non sarà più pulito –, quindi prendete il bicchiere e versate il frullato nel vostro corpo, possibilmente dalla bocca, dove è più probabile sentirne il sapore, oppure nel naso se il sapore del frullato alla banana non vi piace, o se detestate le banane, come mio nonno. In questo secondo caso attenti ad aver frullato bene tutti i pezzettini di banana altrimenti c'è il rischio di restare soffocati.

17.8.21

963.

Possedevo già un letto nuovo (e restituibile) in camera, ma non mi piaceva particolarmente. Non lo avevo desiderato abbastanza perché mi piacesse. Era effettivamente grande, ma sotto ogni altro aspetto lo trovavo ordinario e deludente, perché non stava salvando la mia relazione con R. Non conferiva al mio appartamento una sensazione di casa. Non scriveva il libro al posto mio. Peggio ancora – ed era quella la pecca che più mi feriva –, non mi permetteva di proseguire all’infinito la mia ricerca di un letto.

La vita dopo, D. Antrim

14.8.21

962.

Giorni fa il mio amico Roberto mi ha detto che è andato a una cena e non ha bevuto tanto. Quanto?, gli ho chiesto io. Bah, ha detto lui, una quindicina di birre. Mi ha fatto ridere. Volevo vedere a quanto va il tasso alcolemico se bevi quindici birre, così ho inserito tutte le informazioni in un’apposita applicazione, che però, quando ho messo 4950 ml di birra, mi ha detto, in rosso: è impossibile bere così tanto! E si è rifiutata di fare il calcolo. Ho fatto uno screenshot e l’ho mandato a Roberto. Risposta di Roberto: no no, è possibilissimo.

961.

La mia amica Carla mi ha detto che era a Bologna con la nostra amica Paola e a un certo punto le dice: Paola, perché non andiamo a mangiare al Traxler, il mio ristorante bolognese preferito? Ok, dice Paola, così vanno al Traxler, che però nel frattempo ha cambiato gestione e nome, ora si chiama Nuovo Traxler. Quando arrivano, mi ha detto Carla, Carla vede che seduto a un tavolino all’aperto del Traxler c’è un barbone. Così, mi ha detto, in pieno giorno, un barbone che mangia ravioli e beve vino come niente fosse. Pazzesco, le ho detto io. Allora Carla dice a Paola: Paola, andiamo via, guarda come è caduto in basso il mio Traxler, che ci mangia persino un barbone. Ma dove?, chiede Paola. Come dove?, dice Carla, lì lì! Quello lì?, dice Paola. Sì sì, quello lì!, dice Carla. Ma guarda che credo sia Bergonzoni, dice Paola. Silenzio. Chi?, dice Carla. Bergonzoni, il famoso calembourista, dice Paola. Il cosa?, dice Carla. Non è un barbone, dice Paola, seccata. Senti Paola, dice Carla, io in questa topaia non ci mangio, ok? Ok, dice Paola, chi se ne frega!, dice, e, senza più dire una parola, vanno via.

12.8.21

960.

Ho fatto una scoperta interessante. Quando vado a casa dei miei, non importa se all’apparenza non c’è nessuno, basta che dica «Ehi, Jisus?» e la voce di mia madre risponde, come fosse nell’aria, come Siri o Alexa. Così ho voluto testare la cosa. «Ehi Jisus?» ho detto. «Sì?» mi ha risposto la voce. «Qual è la capitale del Giappone?», ho chiesto. «Tokyo» mi ha risposto subito la voce. Mm, ho pensato. «Ehi Jisus?» ho detto. «Sì?». «E quanti abitanti ha Tokyo?». Silenzio. A-ah, ho pensato, ma, dopo una quindicina di secondi, la voce fa: «Con una popolazione di quasi 14 milioni, pari al 12% degli abitanti del Giappone, è la più popolosa e la più densamente abitata tra le prefetture del Paese» (avevo dimenticato l’accesso a internet). A quel punto ho voluto testare altre funzioni. «Ehi Jisus?». «Sì?». «Puoi scrivere un messaggio WhatsApp a Winfrey?». E la voce: «Cosa devo scrivergli?». Mm, ho pensato. Poi: «Ehi Jisus?». «Sì?». «Puoi chiamarmi questa sera alle 19?». Eccetera. Quindi sono tornato a casa e mi sono dimenticato della faccenda. Più tardi squilla il telefono, rispondo, è mia madre. «Sì?». «Scusa, sono in ritardo» dice. «Per cosa?» dico io. «Mi avevi detto di chiamarti alle 19». Mm, ho pensato.

9.8.21

959.

Ieri ero convinto che fosse sabato. Capita a tutti, no? Comunque ho fatto tutto come se lo fosse. Per esempio avevo una cena con Carla, Paola, Giorgio e Roberto, prenotata per sabato, quindi mi sono presentato al ristorante, ma non mi davano il tavolo. C’è una prenotazione a mio nome, per cinque, ho detto, ma non risultava. E comunque dove sarebbero gli altri quattro?, mi ha detto il proprietario, in un modo che ho trovato un po’ insolente. Stanno arrivando, ho detto, saranno qui tra, mm – lì ho guardato l’orologio –, ventiquattro ore e dieci minuti, ho detto. Va bene, senta, mi ha detto allora il proprietario, se vuole intanto può accomodarsi e attendere l’arrivo dei suoi amici al tavolo. Grazie!, ho detto io. Così mi sono accomodato. Le porto qualcosa, nell’attesa?, mi ha chiesto il cameriere. Sì, ho detto io, un piatto di aragostelle, una bottiglia di vino, e domattina cappuccino e brioche, per favore, a pranzo facciamo la tagliata di manzo, una merenda magari con della frutta e uno yogurt bianco, qualche caffè sparso qua e là. E per la cena?, mi ha chiesto lui. Per la cena aspetto i miei amici, se non le dispiace. Bene, signore, ha detto il cameriere segnando tutto sul suo blocchetto. Serve altro?, mi ha chiesto poi. E io: una cortesia: dov’è il bagno? In fondo a destra, signore, mi ha detto il cameriere. E c’è anche la doccia?, ho chiesto io. No, signore, non c’è la doccia, mi ha detto lui. Capisco, ho detto io tamburellando le dita sul tavolo. Sono spiacente, ha detto il cameriere. Va bene, va bene, ho detto io, senta, un’ultima cosa, ho chiesto poi. Mi dica, ha detto lui. Dove potrei schiacciare un pisolino, più tardi?, ho chiesto. Sotto il tavolo?, ha detto lui, o nella sua automobile, forse?, ha detto indicando con un cenno del capo il parcheggio, là fuori, da qualche parte alle mie spalle. Ok, grazie, ho detto, anche se sono venuto a piedi, abito a cinque minuti da qui. Ma allora, mi scusi, eh?, ha cominciato a dire il cameriere. Dica, dica, ho detto io. Se abita a cinque minuti da qui, mi perdoni, ha detto lui. Dica!, ho detto io, spazientendomi. Perché non va a casa, prende una brandina e poi torna qui a dormire?, ha detto lui. È vero, ho detto io, calmandomi, non ci avevo pensato, bravo.

7.8.21

958.

Oggi check stato mentale dei miei camuffato come al solito da pranzo per fare due chiacchiere in compagnia. Non è solo per il check, è anche per mangiare qualcosa di decente, cosa che forse è saltata all’occhio quando mia madre mi ha chiamato per dirmi: vieni a pranzo, oggi? Faccio l’astice alla catalana. Sì, cara mamma, le dico, ma certo, sono proprio contento di stare un po’ con voi e con il mio amato padre. Bene, dice lei, grande! Arrivederci!, le dico io. Dopo venti minuti richiama: scusa, non avevano l’astice, ho preso il pollo. Il pollo?!, sbotto, Ma come sarebbe ho preso il pollo?! Come siamo passati dall’astice al pollo, non capisco. Prima non dovrebbero esserci i gamberi, gli scampi, il polpo, il branzino, l’orata, le seppie e persino le sogliole, santiddio?!, grido. Eh, dice lei, ho preso il pollo, cosa vuoi che ti dica. Il pollo alla catalana?, dico. No, fa lei, che catalana, il pollo arrosto. Qui ho un mancamento. Senti, le dico, ora che ci penso oggi non ho tempo, verrò… quando ha detto che c’è l’astice? Chi?, mi fa lei. L’asticevendolo, dico io. Non lo ha detto, mi fa. Va be’, le dico, verrò appena potrò, ok? Poi metto giù. Poi mi sento in colpa, insomma, povero pollo, penso, si è sacrificato per me, e io lo snobbo. Richiamo a casa dei miei, risponde mio padre: vada per il pollo, dico. Lui: ma chi parla? Io: passami tua moglie, per favore. Quindi risponde mia madre: sì? Vada per il pollo e le patatine fritte, le dico. Non ho le patatine, mi fa lei. Sbuffo. Ok, ok, dico, quello che c’è, in fondo vengo solo per il piacere della vostra compagnia. Alla fine insomma mi presento. Mangio tutto il pollo, comprese pelle e ossa. Poi spiego brevemente a mia madre le regole degli scacchi, le preparo un quiz con re, re e regina e le dico di dare scacco matto. Non puoi perdere, le dico, il tuo avversario ha soltanto il re, devi stare attenta a una cosa sola: non dare stallo. Ok!, mi dice, entusiasta, poi comincia a muovere re e regina seguendo a tratti una parvenza di logica, quindi, arrivata a una mossa dallo scacco matto, dà stallo.

30.7.21

957.

Questa notte stavo leggendo il giornale e arrivato alla fine di un articolo sulla droga leggo il commento di un lettore che dice: risolvere il problema della droga sarebbe semplice, basterebbe togliere ai drogati certi diritti, ad esempio il diritto di voto. Mi ha fatto ridere. Certo, ho pensato, ben detto, colpiamo i drogati dove fa male! Mi sono immaginato il dialogo tra due tossici che si stanno facendo:
Ehi, bro, vuoi ancora un po’ di crack?
Mm? Sai, in una situazione normale ti direi certamente di sì, ma il mese prossimo ci sono le elezioni e sai, non dico che l’attuale governo non abbia fatto bene, ma la diminuzione dei tassi di interesse per portare il Pil reale a livello del potenziale mi sembra una mossa non dico di propaganda ma
Vantaggi immediati, guai differiti.
Esatto, bro, capisci? Quindi sarei per il cambiamento e voglio dare il mio contributo, cioè, la droga va bene, ma come
Come svago.
Come svago, cazzo, sì, ma se finisce per escludermi dalla società e dalla vita politica, allora no, grazie.
Hai ragione. Questa nuova legge è proprio un colpo basso.
Vogliono farci fuori, amico.
Pensa che io mi drogo per aprire le porte della percezione e perfezionare così la mia visione politica in vista dell’appuntamento elettorale.
Sì, quello e pisciarsi addosso.
Esatto. Allora niente, ‘sta roba la butto.
Butta, butta.
E, senti
(Qui mi sono riaddormentato).

29.7.21

956.

Due anni fa, quando Allegri è stato licenziato, ho stappato uno champagne per festeggiare. Oggi, che è stato riassunto, ho stappato uno champagne per festeggiare. L'essere umano è così.

28.7.21

955.

Vado a bere il caffè dal mio amico Roberto. Ci sono anche la moglie Abigaille e il piccolo Roberto Jr, di un’età compresa tra i due e i sei anni. Roberto Jr ha appena fatto un disegno, mi corre incontro e mostrando il disegno dice: ti piace? Io: moltissimo, lo appenderei in soggiorno! (Se la casa fosse sul punto di essere abbattuta, ndr). Poi Roberto Jr dice: non ho colorato fuori dai bordi! Io: presto, poni subito rimedio! La madre: no, guarda che non colorare fuori dai bordi è una cosa buona. Io: ahh. Ottimo lavoro, allora!

26.7.21

954.

Ieri invece ho rivisto Qualcosa è cambiato, un film che parla di uno scrittore perfettamente normale, interpretato da Jack Nicholson, che impara a voler bene a un cagnolino nonostante le interferenze di tutte le persone antipatiche e irrazionali intorno a lui. A un certo punto del film Jack e il cagnolino stanno facendo una passeggiata per New York, Jack si ferma, prende in braccio il cagnolino e comincia a dirgli cose come «Ma guardati! Ma che bel musino! Ma quanto sei bello tu? Ma quanto sei bello? La vuoi un po' di pancetta? La vuoi? Eh?», insomma il modo giusto di interagire con un cane o un gatto (o un ramarro, se vi piaccono i ramarri). In quel mentre passano due donne, assistono alla scena e una fa all'altra: «Ohh... quanto vorrei che un uomo mi trattasse così!». Mi ha fatto ridere.

25.7.21

953.

Accendo la tv sui mondiali di scacchi e sento questo dialogo tra i due commentatori:
«I can go back to e4».
«Uhm, same old trick all night long, uh?».
«That’s what she said».
Mi ha fatto ridere, per ovvi motivi.

23.7.21

952.

Altri studenti sembrano capire che l’empatia è sempre precariamente arroccata tra il dono e l’invasione. Non premono nemmeno lo stetoscopio sulla mia pelle per chiedermi se va bene. Hanno bisogno del permesso. Non vogliono presumere. La loro balbuzie onora inconsapevolmente la mia privacy: posso… potrei… ti dispiacerebbe se… ascoltassi il tuo cuore? No, dico loro. Non mi dispiace. Non dispiacermi è il mio lavoro. La loro umiltà è una sorta di compassione a sé stante. Umiltà significa che fanno domande, e fare domande significa ottenere risposte, e ottenere risposte significa che ottengono punti sulla checklist: un punto per aver scoperto che mia madre prende il Wellbutrin, un punto per avermi fatto ammettere che ho passato gli ultimi due anni a tagliarmi, un punto per aver scoperto che mio padre è morto in un silo per il grano quando avevo due anni – per aver realizzato che un sistema radicato di perdite si estende radiale e rizomatico sotto l’intero territorio della mia via.

Esami di empatia, L. Jamison

22.7.21

951.

La mia amica Paola mi ha posto un grande dilemma morale. Ieri sera ha scritto alla nostra comune amica Carla verso le 23 dicendole «sei in casa? Non riesco a dormire, passo per una camomilla?». Non è molto importante sapere che Paola va a letto alle 23 mentre Carla credo sia una vampira. Carla e Paola sono molto amiche ma sono così tanto amiche e da così tanto tempo che ormai non sono più nemmeno amiche, non si sa cosa sono, ma è perfettamente normale che Paola vada a casa di Carla a bere una camomilla per poi tornarsene a casa sua a dormire mentre Carla magari esce. Tra l’altro, la camomilla, Paola se la deve portare da casa, Carla ha solo acqua del rubinetto, caffè e vodka. Be’ insomma che cosa succede: Carla risponde: «Non sono in casa, tesoro». Voi cosa avreste fatto? Penso che nel novantanove per cento dei casi la risposta sia: sarei andato a letto. Cosa fa invece Paola? Non fatevi ingannare dalla camomilla e dal fatto che va a dormire presto, per essere amica di Carla devi avere dentro di te una piccola Carla, mentre Carla dentro di sé non ha niente, parole sue. Insomma Paola va ugualmente a casa di Carla. Non chiedetemi perché, o secondo quale tipo di logica. Sei a casa? – No. – Arrivo. Boh. Il problema è che Carla era in casa, non fuori. Qui dovremmo sapere se in pratica Paola è andata a casa di Carla anche se Carla le aveva detto di non esserci perché sono amiche da troppo tempo e quindi Paola conosce Carla come le proprie tasche. Ma il succo è che va a casa di Carla e ovviamente vede che ci sono le luci accese e vede Carla che si muove dentro la casa come niente fosse, forse vede Carla che si fa una camomilla, ora che ci penso. A quel punto le telefona. Carla non risponde. Suona il campanello. Carla non risponde. Lo so che sei in casa!, grida Paola. Esce una vicina e dal terrazzo chiede: come? E Paola: niente, signora, torni a dormire. E la vicina: non stavo dormendo. E Paola: torni a dormire! E la vicina torna dentro, e forse va veramente a dormire. Poi Paola torna a casa. A quel punto mi mandano entrambe dei vocali, quasi contemporaneamente, e ognuna mi racconta la sua versione. Ecco dunque il dilemma: rimproverare Paola perché è andata a casa di Carla nonostante Carla eccetera eccetera, o rimproverare Carla perché ha detto di non essere in casa anche se Paola eccetera eccetera? Ci ho pensato su e alla fine ho deciso di girare i vocali di Carla a Paola e i vocali di Paola a Carla, penso proprio sia stata la cosiddetta decisione salomonica, come si suol dire.

20.7.21

950.

Sul nuovo numero di Wu magazine, qui, cerco di spiegare (non è facile) come si indossa la mascherina a chi vorrebbe tanto metterla ma, per una serie di motivi, non ci riesce. (Nota: Billy the Kid portava la mascherina, ora che ci penso).

949.

Nelle ultime due settimane io e il mio amico Giorgio abbiamo stupito parenti e amici elencando i nomi delle dita dei piedi: alluce, illice, trillice, pondolo, minolo. Io sapevo trillice, mentre Giorgio sapeva anche illice. Poi abbiamo dato un’occhiata in rete e, estasiati, abbiamo scoperto pondolo e minolo. Così abbiamo cominciato a dire a tutti: sai come si chiama questo dito?, mostrando un dito di un piede in un barattolo. E tutti: mm, no. E noi: illice! E, loro, estasiati. Anche la moglie di Giorgio, esperta di corpo umano, era rimasta profondamente colpita. Questa volta mi avete stupito, ragazzi, ci ha detto una sera mentre noi, seduti sul divano, ci davamo grandi pacche sulle spalle bevendo un meritato vodka tonic. Finora credevo foste due buoni a nulla, ci ha detto, ma con questa storia di… com’è che era? E noi: Illice! Trillice! Pondolo! Minolo! Ecco, ha detto lei, con questa storia incredibile vi siete riscattati, dimostrando di avere profonde conoscenze in un campo, l’anatomia, di utilità e rilievo, e non più in campi di nessun valore come lo sport, i film, l’alcol, etc. Grazie!, abbiamo detto noi dandoci altre pacche sulle spalle. E così abbiamo fatto con tutti gli altri, raccogliendo sempre grandi complimenti. Finché oggi non mi è venuto in mente di cercare la nomenclatura completa, perché avevamo visto che il dito pondolo poteva essere anche pondulo, pinolo, anulo. Insomma com’è normale volevo approfondire le mie conoscenze e diventare ancora più esperto, forse un giorno avrei aperto uno studio o mi avrebbero dato una laurea ad honorem, chissà, avrei girato per il paese, mi avrebbero chiamato nelle scuole, ai congressi, magari anche all’estero. E così, cercando, ho scoperto (con orrore) che i nomi delle dita dei piedi sono: primo dito o alluce, secondo dito, terzo dito, quarto dito, quinto dito o mignolo, mentre i nomi illice, trillice etc. non esistono se non nel racconto per bambini Ultimo, il maialino. Faccio fatica, andando indietro con la memoria, a trovare una delusione altrettanto cocente. Ho scritto subito al mio amico Giorgio, sperando che non fosse troppo tardi e che non stesse già illustrando la falsa nomenclatura ai cittadini di San Paco Llorente, in piazza, come aveva promesso di fare, ottenendo anche il via libera dal sindaco in persona (dopo averlo sbalordito con il nostro elenco). Non mi ha ancora risposto. Poi dovremo telefonare a tutti gli altri e rettificare facendo pubblica ammenda. E, immagino, rinunciare al titolo, che sentivamo già in tasca, di sanpacollorentesi dell’anno.

18.7.21