509.

Oggi sono andato in città. Ogni tanto vado, in città. Non è una città grande, comunque, potevo anche non andarci, potevo avere le stesse cose guidando per chilometri e chilometri in mezzo alla campagna, ma non avrei poi camminato e non avrei sofferto il freddo. Credo sia giusto, se c’è freddo, ogni tanto uscire e soffrirlo, e se c’è caldo ogni tanto uscire e soffrire anche il caldo, invece di stare in casa a soffrire e basta, così come, è ovvio, se si sta bene uscire e dire «ah, come si sta bene», è giusto perché altrimenti rischi di non accorgerti del passare delle stagioni, del tempo e, alla fine, della tua vita, che però se anche non te ne accorgi passa lo stesso, abbiamo provato anche questo stratagemma e non ha funzionato, purtroppo. Mi piace ascoltare i frammenti delle conversazioni delle persone, mentre cammino in città. Mi dispiace che siano frammenti, tra l’altro, vorrei potermi accodare e ascoltare, magari poi anche intervenire, ma anche solo ascoltare. Un uomo con il cappotto ha detto a una donna senza cappotto «non si può piacere a tutti», e io volevo dirgli «neanche a nessuno, però». Poi più avanti un tizio ha detto a un altro tizio ma che brutta vigilia di lunedì in mezzo a una domenica e a un martedì, e ho pensato eh già, ma credo che un lunedì in mezzo a un sabato e a una domenica non riscuoterebbe molto successo, è per quello che lo hanno messo lì, secondo me. Poi una ragazza al telefono ha detto ma come non vieni a Natale? E io lì volevo prendere il telefono e dire al tizio al telefono: ma come non vieni? Ci sono persino io. Poi sono entrato in un negozio di vestiti e ho letto tutte le etichette delle camicie. Non perché sia pazzo, cercavo solo delle camicie cento per cento cotone, ma erano tutte ottantasei per cento cotone e quattordici per cento polvere di stelle. Chissà perché ottantasei, poi. Comunque a un certo punto mi sono arreso e ho fermato una commessa, le ho detto «mi scusi, avete delle camicie bianche cento per cento cotone?», e lei si è avvicinata a uno scaffale e ha detto «quelle lì», e io sospirando ho detto «no, mi spiace, quelle lì sono settantadue cotone, quindici poliuretano segmentato e tredici rayon». Allora lei ha attraversato il negozio, si è fermata vicino a un altro scaffale e ha detto «quelle lì», e io ho detto «no, guardi, quelle sono ottantasei cotone e quattordici spontex». «Spontex?» mi ha detto lei. «Sì, sa, i panni per asciugare» le ho detto io. «Ma allora non avete camicie cento per cento cotone?» mi ha chiesto lei. «Mi spiace,» le ho detto io «devono arrivare».

21.12.18

504.

Leggo che un turista ha avuto un malore mentre era al cospetto della Venere di Botticelli, agli Uffizi. Qualcuno ha ipotizzato che il turista settantenne sia stato sopraffatto dalla bellezza dell’opera, che io dico: magari essere tanto sensibili! E poi penso: ma no, dai, è meglio così, che quando vado in un museo dopo un po’ sono sopraffatto più che altro dalla bellezza di sedermi da qualche parte, specie d’estate, con l’aria condizionata. Sindrome di Stendhal, comunque, questa l’ipotesi di alcuni giornalisti che comprensibilmente preferiscono restare anonimi, una sindrome descritta dallo stesso Stendhal, come saprete, che però – saprete anche questo – era uno scrittore, e quindi uno che, per natura e per mestiere tende un po’ a, come posso dire?, inventarsi le cose, e la cui definizione è all’incirca: una affezione psicosomatica che colpisce soggetti messi al cospetto di opere d'arte di straordinaria bellezza. Il turista degli Uffizi, nel caso particolare che qui trattiamo, ha avuto un infarto, si è saputo poi, che mi sembra un po’ troppo serio e particolareggiato come malore, per attribuirlo a una sopraffazione di tipo estetico, ma alla fine non sono mica un medico, come ammette anche il direttore degli Uffizi, che però poi aggiunge: abbiamo avuto altri malori, sempre nella sala del Botticelli, riferendosi a un ragazzo che nel 2016 ha avuto un attacco epilettico. Un ragazzo epilettico, presumo. E altri malori in altre sale. E, immagino, anche dei malori all’ingresso, nei bagni, al bar del museo o al negozio di souvenir, tutte da attribuire alla suddetta sindrome, secondo me. Cosa che mi porta ad azzardare che la definizione più corretta della sindrome di Stendhal, definizione che se accettata porterebbe come mi sembra giusto a una ridenominazione della sindrome in sindrome di Stendhal-Zucconi, sia: qualunque malore colpisca un soggetto all’interno di un museo, o nei pressi di un museo, o anche lontano da un museo se però in quel momento ci stava andando, o anche se aveva solo intenzione di andarci, o se, pur non avendo intenzione di andarci, è un soggetto che ama andare nei musei, o che, se non lo fa, comunque, forse, potrebbe.

17.12.18

503.

Stamattina invece sono passato a casa di Giorgio e sua moglie, però sua moglie non c'era, e a un certo punto anche Giorgio è dovuto andare via e sono rimasto lì in casa loro senza sapere bene cosa fare, poi quando Giorgio è tornato gli ho detto: «Ho contato i libri di questo settore della tua libreria. Sono centottanta, ne ho letti cinquantuno e ne ho scritti cinque». Si è messo a ridere.

16.12.18

502.

Leggo spesso il taccuino elettronico di uno scrittore che quasi sempre scrive che è in treno, e siccome ieri ho preso un treno anch'io, ero proprio convinto di incontrarlo, e invece non c'era.

15.12.18

499.

Quando in uno stadio italiano viene chiesto un minuto di silenzio, dopo dieci o dodici secondi la gente comincia ad applaudire. Mi fa sbiellare. Se fossi l’annunciatore dello stadio, quando la gente comincia ad applaudire direi: il minuto di silenzio è stato interrotto dagli applausi, riproviamo. E andrei avanti così finché non ce la fanno. Possiamo stare qui anche tutto il pomeriggio, direi agli altoparlanti. Ce l’avevamo quasi fatta, ma lo spettatore del posto 91, fila F, settore B non ha ancora capito. Attenzione, ogni applauso sarà un punto in meno in classifica per la squadra per cui fate il tifo. Oppure no, li lascerei applaudire per tutto il minuto di silenzio e poi direi soltanto: e ora per favore un minuto di applausi.

10.12.18

497.

Bonpland gli chiese se non avesse almeno un pizzico di mal di mare. Non lo so. Ho scelto di ignorarlo, perciò non me ne accorgo. Certo, di tanto in tanto vomito. Ma non ci faccio più caso.

La misura del mondo, D. Kehlmann


7.12.18

496.

Oggi sono passato dai miei e li ho trovati che discutevano per un imbuto. Un imbuto di vent’anni prima, che mio padre usava sempre, lei se lo ricorda benissimo, e che lui non sa più dov’è. Che ne so di dove è finito l’imbuto?, le ha detto, magari si è rotto e l’ho buttato. Per lei questo era inaccettabile, voleva che lui facesse saltare fuori l’imbuto a ogni costo. Mentre li guardavo mi sono venuti in mente i coniugi Underwood che litigavano per la Presidenza degli Stati Uniti. I miei per un imbuto. La vita è così. Alla fine lei se n’è andata sbattendo la porta. Trovi quell’imbuto, signor vicepresidente, gli ha detto prima di andarsene, se non vuole che la stampa venga a sapere di quella volta in cui ha usato i soldi dei contribuenti per comprarsi un tavolo da biliardo. Mio padre ha fissato per un po’ la porta, quindi il sottoscritto, che nel frattempo stava cercando degli imbuti su Amazon. Ma che le prende?, mi ha chiesto. Non lo so, signor vicepresidente, gli ho detto, ma ho trovato un imbuto da nove e novantanove, con tubo flessibile, in gomma, del diametro di centosessanta millimetri, posso farglielo trovare nel suo ufficio domani mattina dopo colazione, glielo lascio sul mobiletto vicino al bidè. C’è rosso?, mi ha chiesto lui. Rosso, signore, certamente, gli ho detto io. Dovremo sporcarlo e invecchiarlo un po’, se vogliamo farle credere che è proprio quell’imbuto, mi ha detto lui. Non c’è problema, signore, gli ho detto, ci penso io. Molto bene, mi ha detto lui. Poi ci ha pensato su e, a voce bassa, mi ha chiesto: hanno anche dei fumetti, su quel coso lì?

5.12.18

495.

Li ho comprati oggi, i cracker più venduti, non potevo aspettare. Sono andato di corsa pur avendo l’automobile, sempre per la fretta, li ho presi dallo scaffale, ho aperto la confezione lì sul posto, in piedi in mezzo alla corsia, e ho cominciato a mangiarli. Un commesso mi ha visto, si è arrabbiato e mi ha detto: ma che fa?! Gli ho tirato una banconota da dieci euro in faccia, anche se, non avendola prima appallottolata, si è messa a ondeggiare tra noi con estrema lentezza, posandosi poi tra le piadine, senza che lui l’abbia identificata. A rovinare anche l’efficacia del gesto c’è che ho dovuto aprirmi la giacca, prendere il portafoglio dalla tasca interna, prendere la banconota, mettere via il portafoglio, tirargliela. È stato anche bravo perché mi ha lasciato far tutto, rispettare la teatralità è importante. Per sua informazione era un deca, gli ho detto poi. Quindi mi sono messo a cercarla febbrilmente, perché, insomma, dieci euro sono sempre dieci euro, tanto si era capito cosa volevo fare. Comunque a parte questo inconveniente, tornando ai cracker più venduti, che dire? Buonissimi, eccezionali, credo sia proprio per quel trenta per cento di grassi in più, ma soprattutto perché, mentre li mangi, senti il sapore della vittoria, che ti fa sentire a tua volta un vincente, e così ogni traguardo, anche se non ne hai, ti sembra raggiungibile.

4.12.18

493.

Oggi al supermercato un uomo molto, molto anziano ha detto al figlio, impegnato a imbustare delle zucchine, vao a pscendee lo iouu. Allora mi sono avvicinato e gli ho detto: signore, non crede di aver mangiato abbastanza iouu per oggi?

3.12.18

492.

«Stavo guardando un film con Brad Pitt e la Giolina Jolie o come si chiama e…».
«Angelina Jolie».
«Esatto».
«Ok».
«E a un certo punto c'è Nino Frassica».
«E?».
«Ho cambiato canale».
«Hai cambiato canale».
«Per forza».

2.12.18

486.

La mia testa è un caseggiato. Qualche ascensore funziona. Ci sono bucce d’arancia e rapine nei corridoi. Occupanti abusivi e doppie serrature ad alcuni piani, qualche vaso fiorito sui davanzali, scapoli semivestiti che prendono il fresco sulle scale antincendio; cadono calcinacci. A volte fa pensare a un esaurimento nervoso: intere giornate passate a dormire, lacrime, insonnia a mezzanotte e poi ancora alle quattro del mattino. Poi mi viene in mente che tanti stanno così. O anche peggio, naturalmente. C’è stato un periodo in cui avevo dei triangoli blu sui lati dei piedi. Triangoli ogni giorno più scuri, isosceli. Ho pensato: leucemia. Ho aspettato qualche giorno, tenendoli d’occhio. Mi sono accorta che quando mettevo fuori la spazzatura sul pianerottolo, scalza, tenevo aperta la porta dell’appartamento sporgendomi in avanti. La porta mi urtava contro il dorso dei piedi nudi. Tutto lì: lividi triangolari. Ho festeggiato con un sonnellino.

Mai ci eravamo annoiati, R. Adler


23.11.18

487.

Passo dai miei, mio padre è davanti al camino che legge un libro di novemila pagine che probabilmente finirà domani. È finita la stagione dell’orto ed è cominciata la stagione della lettura, penso, e non ci sono altre stagioni. Mia madre emerge dal piano inferiore, dove ha del cibo sul fuoco, per controllare il cibo che ha qui nel forno. Anni fa ha voluto una cucina nuova ma non è mai riuscita a separarsi da quella vecchia, dunque le usa entrambe e regolarmente in una delle due c’è qualcosa che brucia, ma se non altro così fa molta ginnastica. Mi chiede se mi fermo a pranzo. Sì, le dico, ma oggi mangio solo verdura. Perfetto, mi dice, poi mi chiede se ho sentito che oggi c’è il blo… ble… blu… Black Friday, le suggerisco. Ecco, dice lei, se l’ho sentito, mi chiede. Sì, le dico. Che vendono tutto in sconto, mi dice lei. Be’ non è propr…, sto per dire io, ma mi fermo. Ce li hanno i Tex?, mi chiede mio padre. I Tex, dico io. Eh, dice lui, lì, sul blu… ble… Ci devo guardare, gli dico, che cosa cerchi in particolare? Mia madre intanto torna di sotto dicendo mi bruciano le… Arretrati, dice mio padre. Tipo?, chiedo io. Allora lui solleva il sedere dalla poltrona, si inarca, prende il portafoglio e lo apre. Noto che dentro non ci sono soldi ma solo un foglietto di carta con scritti sopra dei numeri. Molti, molti numeri. Penso: se adesso mi parla del fatto che con quei numeri si possono prevedere gli eventi futuri, devo chiamare mia madre. Ma sono soltanto gli arretrati che gli servono. Sono divisi in colonne con numerazioni diverse e lui mi rivela che ha una teoria per la quale le colonne finiranno per congiungersi, ma non sa ancora quali e dove. Chiaro, gli dico io, ogni cosa che si innalza deve convergere. Non risponde. Mi siedo sul divano a controllare le sue parole crociate. Se ci sono degli errori lo vuoi sapere?, gli chiedo. No, mi dice senza staccare gli occhi dalle fiamme nel camino. All’ora di pranzo mia madre mette in tavola ravioli di carne, involtini di carne, dell’affettato e del cavolo in padella. Verdure, si era detto, le dico. Sì, dice lei. Va be’, in effetti c’è il cavolo, le dico. Ci ho messo della salsiccia, dice lei. La guardo. Mi guarda: per insaporire.

485.

Al supermercato a due passi da me una signora comincia a litigare con il marito. Una coppia sui sessanta o settanta o ottanta, difficile dirlo senza tagliarli nel mezzo e contare i cerchi. Lui indossa una giacca blu, pantaloni marroni e tiene in mano il sacchetto del pane. Lo stringe a sé come un giocatore di football americano farebbe con l’ultima palla nell’ultima mischia mentre una dozzina di bisonti idrofobi cerca di strappargliela via. Lei ce l’ha con lui per qualcosa che ha o non ha fatto mentre lei invece a suo dire faceva tutto, e il pane c’entra, anche se non capisco precisamente come, ma sembra che per lui sia importante. Incassa tutti i rimproveri senza aprire bocca, senza nemmeno guardarla. Poi, quando la tempesta finisce, mentre lei è distratta, si allontana. Mentre lo guardo imboccare la corsia dei biscotti penso: ora mia cara signora avrà una bella sorpresa quando si volterà e vedrà che il suo agnellino sacrificale se l’è svignata. Infatti a un certo punto lei ricomincia a rimproverarlo, poi si gira e quando vede lo spazio vuoto dove prima c’era il marito impreca. So che se prendessi un cestello e la schiacciassi imprigionandola come un insetto lui non sarebbe contento. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci renda la vita impossibile. Ma fino a qui, ok. Poi però il destino decide di regalarmi qualcosa. A una distanza di una decina di metri c’è un signore quasi di spalle che non è il marito della signora ma che è in tutto e per tutto simile a lui: giacca blu, pantaloni marroni, cespuglio di capelli bianchi e, dettaglio sublime che si nota appena, sacchettino del pane stretto tra le braccia. Apriti-o-cielo. La signora lo vede e dice, testuale, no ma è rimbambito. Quindi si dirige verso di lui come un piccolo furibondo aereo giapponese a Pearl Harbor. Comincia ad apostrofarlo dalla distanza e quando arriva a tiro gli strappa il sacchetto del pane dalle mani e lo appoggia rabbiosamente sul nastro della cassa urlando «e metti giù questo cazzo di pane!». Solo che, per l’appunto, il poverino non è il marito. Quando la signora se ne accorge si scusa e si mette a ridere, e così, per sua fortuna, penso, il tizio. Se la ridono per un po’, quindi la signora torna verso di me, ridacchiando e scuotendo la testa, riprende la sua posizione in coda, dove nel frattempo è tornato il marito e, dopo qualche istante di silenzio, tornando seria, gli dice: «Si può sapere perché non stai mai dove ti lascio?».

22.11.18

482.

Su Wu magazine di novembre, qui, una mia idea per un nuovo talent show per artisti che però sognano di riparare caldaie.



19.11.18

481.

Ieri sera un grosso ratto mi ha attraversato la strada in Fifty-seventh Street. È uscito da sotto lo steccato di un terreno vuoto vicino a Bendel’s, ha aspettato una pausa nel traffico, poi è filato verso il lato nord della strada, si è fermato per un po’ sul marciapiede buio ed è scomparso. Era il mio secondo ratto della settimana. Il primo è stato in un ristorante greco con le finestre dai davanzali all’altezza dei fianchi. Il ratto è sfrecciato lungo i davanzali puntando dritto verso di me, poi mi ha superata. Il secondo ratto, naturalmente, poteva anche essere il primo che si era spostato più a nord, nel qual caso o il ratto mi segue, oppure fa i miei stessi tragitti e orari. Tuttavia sono convinta che la sanità mentale sia la scelta etica più profonda del nostro tempo. Due ratti, dunque.

Mai ci eravamo annoiati, R. Adler


18.11.18

480.

Uscendo dal supermercato incrocio una madre con la sua bambina. O una rapitrice con il suo ostaggio, non lo so. Comunque mentre mi avvicino sento la bambina dire «Non voglio tornare dove ci sono le persone… non mi piacciono le persone». Allora mi fermo, le fermo, sfilo una Beck’s dal sacchetto, la porgo alla bambina e con un sorriso le dico: «Tieni, cara, questa è per te». Quindi rivolto alla donna faccio il gesto di sollevare il mio cappello immaginario, «Signora…» le dico, e me ne vado.

16.11.18

478.

La settimana scorsa mi si è rotta la lavasciuga. È proprio vero che non comprendi l’importanza di qualcuno finché non l’hai perso. Allora ho chiamato mia madre e le ho detto senti, mi potresti lavare della roba? Lei mi ha detto di sì, te la lavo, te l’asciugo e te la stiro. Ottimo, ho pensato andando verso la lavasciuga con un piccone, potremmo farlo per sempre. Così le ho portato tutto: camicie, camice, pantaloni, pullover, i Cardigans, maglie, mantelli, tende, tovaglioli, canovacci, tappeti, tappetini dell’auto, l’auto, eccetera. Dopo qualche giorno me li riporta direttamente a casa. Servizio a domicilio, penso, magnifico, speriamo che nella borsa ci siano anche delle polpette di patate, anche buttate così, insieme ai vestiti, chi se ne frega, un uomo di successo dovrebbe sempre avere una polpetta nel taschino. Purtroppo ci sono solo i vestiti, la ringrazio e le passo cinquanta euro arrotolati. No, non posso accettare, mi dice lei, li prenda, le dico io, se li è meritati, non lo faccio per i soldi, mi dice lei, e perché allora, non capisco, le dico io, lo faccio per amore, perché sono tua mad…, prova a dirmi, ma ormai l’ho spinta sul pianerottolo e ho chiuso la porta blindata provvedendo poi a sigillarla con la saldatrice. Prendo la mia borsa piena di vestiti e comincio a indossarli, però subito mi accorgo di una differenza, non profumano di fiori di montagna come quando li lavo io, con il mio detersivo e il mio ammorbidente e i miei fiori di montagna, ma sanno di, mm, penso mentre annuso la manica di una camicia, sfida interessante, ormai sono allenato con i vini, considerato quello che faccio nella vita – mi stendo sul divano davanti alla tv e mi scolo delle bottiglie finché non perdo i sensi –, vediamo se indovino l’ammorbidente che usa mia madre. Quando penso di averlo capito, le telefono. Ehi ciao, le dico, aspetta lasciami indovinare il tuo ammorbidente, annusando i vestiti ho percepito sentori di violetta, frutti di bosco, fiori di campo, frutta tropicale, pipì di gatto, no, aspetta, quella è Gateau che è andata in bagno, spezie, vaniglia e cenere. E lei: per l’odore, dici? E io: sì! E lei: ah no, è che li ho fatti asciugare vicino alla stufa, mi ha fatto fumo.

12.11.18

474.

Dai miei a pranzo osservo mia madre riempire un panino con del cotechino e addentarlo e masticarlo di gusto. Lì sul tavolo, accanto al bicchiere, c’è la pillola per la pressione. O per il cuore, non ricordo. «Tu quello puoi mangiarlo?» le chiedo. Lei, la bocca piena, scuote la testa. «Però lo mangi» le dico. Annuisce. Io sospiro: «Non riusciamo proprio a resistere ai nostri impulsi, eh?». Lei manda giù il boccone e dice: «Carenza d’affetto». Poi dà un altro morso. Affetto, penso. Allora guardo mio padre. Anche lui sta mangiando il cotechino. «Anche tu lo mangi per carenza d’affetto?» gli chiedo. Lui scuote la testa e fa: «No, sopravvivenza».

4.11.18

472.

Mio padre per non so quanto tempo mi ha detto, ogni volta che andavo a pranzo (o a cena!) e parcheggiavo la macchina sotto degli alberi nel suo cortile, «Non parcheggiare la macchina sotto quegli alberi, perché possono venire giù da un momento all’altro». Non so quante volte me l’ha ripetuto. E se ci camminavo sotto fischiettando: «Occhio che quegli alberi lì stanno su con lo sputo, vieni via!». Eccetera. L’altro giorno qui c’è stata, come in tutta Italia, la bufera di vento perfetta, con raffiche superiori alla velocità raggiunta da Micheal Schumacher sui rettilinei di Hockenheim quando partiva ultimo per colpa di qualcun altro. E, gli alberi di mio padre, neanche una piega, non è venuta già nemmeno una fogliolina. Allora il giorno dopo ha preso la motosega e li ha tirati giù tutti a uno a uno. Troppo pericolosi, mi ha detto.

1.11.18

469.

L’altro giorno stavo leggendo di un comico che è finito in rovina e poi però si è ripreso e ora dice alla gente che sì, dai, si può vivere anche con milletrecento euro, si può andare anche in pizzeria, eh, anche se magari solo una volta al mese. Poi ho letto di un politico che dice mi hanno portato via tutto, «sono costretto a prendere i mezzi pubblici» (ma forse il comico è lui). E poi, ma tutto in tre giorni, ho letto di un cantante che anche lui è finito sul lastrico e dice ho dovuto riscoprire i mezzi pubblici e mi muovo in autobus, in treno, vado a fare la spesa e scelgo i posti dove ci sono le offerte e il cibo è più conveniente, e poi mi occupo dei lavori di casa, ogni giorno è una prova, e io ho pensato: ehi, ma è la mia vita.

27.10.18

468.

In piedi in stazione testa in su a guardare i ritardi dei treni. L’altoparlante dice che il treno arriverà con dieci minuti di ritardo per «inconveniente tecnico». Immagino il macchinista che guarda l’aiutomacchinista e dice «Mi si è accesa la spia rossa di inconveniente tecnico, guarda un po’ nel retrovisore se vedi qualcosa». L’aiutomacchinista guarda nel retrovisore e poi dice: «Volano via bulloni eccetera». Il macchinista scuote la testa: «No, quella è la normale esfoliazione del treno durante la marcia».

26.10.18

462.

Giorni fa accendo il televisore e dentro c’è Renzi. In diretta. Che parla. Di politica. Chiamo il tecnico. C’è Renzi dentro il televisore, in diretta, che parla, gli dico. Parla di cosa?, mi chiede il tecnico. Di politica, gli dico. Arrivo subito, mi dice lui, e dopo cinque minuti sento la sirena per strada e poi un rumore di vetri rotti qui in casa. Vado a vedere: c’è il tecnico sul pavimento, sotto la finestra, che si rialza. Perdo sangue, dice. Poteva anche suonare, gli dico io. Non c’è tempo, dice allora lui, dov’è il televisore? Venga, gli dico, e andiamo di là. Vede?, gli faccio, indicando Renzi dentro lo schermo. Non è possibile, dice il tencico. Ha provato a spegnere e riaccendere? Gli dico di sì. Ma ha tenuto spento per almeno trenta secondi? In effetti no, gli dico. Provi, dice lui. Così proviamo, ma niente, Renzi è sempre lì, e sta ancora parlando di politica. Persino il conduttore gli dice ma come si permette di parlare di politica? Lo vede anche il conduttore, dico al tecnico, forse è un problema loro, non del televisore. Sugli altri canali c’è?, mi chiede il tecnico, e intanto gira tutti i canali, novecentosessantaquattro. No, dice alla fine, allora è un problema solo del sette, vado su a vedere l’antenna. Ci va, ma non risolve il problema. Devo portare via il televisore, dice una volta giù, e infatti lo porta via. Così non sapendo che fare leggo i giornali, e leggo che Bonolis, il presentatore televisivo, è andato a un convegno politico dove c’era anche Renzi e ha parlato anche lui di politica. Ha anche parlato di povertà, Bonolis. Però non ce l’ho fatta a leggere tutto quello che ha detto, mi tremavano le palpebre. Così ho girato subito pagina, sperando di trovare un bel caso di cronaca nera, e invece leggo: «Lorella Cuccarini è sovranista». La ballerina, eh? È sovranista. Non solo. Ha parlato del differenziale tra i tassi di interesse tra i titoli di stato tedeschi con scadenza a dieci anni e quelli italiani, dicendo che non dobbiamo avere paura. Io però ho paura, Lorella, ho pensato. E poi basta, sono tornato alle mie cose.

22.10.18

461.

Mio nonno mi terrorizzava e allo stesso tempo mi incuriosiva, questo è certo. Trovandomi per un momento solo con lui nella dispensa durante la festa per i suoi sessantatré anni, gli chiesi timidamente se gli piacesse di più la glassa al cioccolato o quella alla vaniglia. Era come chiedere a Dracula quale gruppo sanguigno preferisse. «Di cosa stai squittendo?» mi chiese guardandomi dall’alto, sprezzante. «Non importa» risposi, e per un attimo non riuscii a deglutire. Gli avevo fatto una domanda; per anni non gliene feci più.

Chiedi scusa! Chiedi scusa!, E. Kelly


21.10.18

457.

Su Wu magazine di ottobre, qui, do un modesto suggerimento a tutti i copywriter che hanno avuto difficoltà con l’esame di Logica e comunicazione alla facoltà di Copywritologia.



15.10.18

455.

Mi hanno fatto i complimenti perché ci so fare con i bambini piccoli non miei (i miei sono ancora nell'iperuranio e destinati a restarci), mi hanno chiesto qual è il mio segreto. Ho detto: è facile, fingo che siano dei micini e tolgo loro razionalità e affidabilità.

13.10.18

453.

In certi momenti di pace, quando la pura stanchezza gli impediva di lottare, gli accadeva di sentire questo peso misterioso, questa crescita o ammasso di cose senza nome che era il compito della sua vita portarsi dietro. Deve essere per questo che gli uomini vengono al mondo. Questo grosso, strano, agitato, carnoso, biondo, rude personaggio chiamato Wilhelm, o Tommy, era qui, presente, nel presente – il dottor Tamkin gli aveva messo in testa molte idee sul momento presente, il qui-e-ora –, questo Wilky, o Tommy Wilhelm, di quarantaquattro anni, padre di due ragazzi, al momento residente all’Hotel Gloriana, era destinato a essere il portatore di un peso che era il suo io, il suo caratteristico io. Il valore di questo peso non era calcolabile. Ma era probabilmente esagerato dal soggetto, T.W. Che è una specie di animale visionario. Che deve credere di poter sapere perché esiste. Sebbene non abbia mai seriamente tentato di scoprirlo.

La resa dei conti, S. Bellow


10.10.18

451.

Ho visto la pubblicità del caffè Lavazza bio, che dice «il caffè da terre incontaminate», che va benissimo, ci mancherebbe, solo che non ho capito perché fino adesso ce lo hanno dato da terre contaminate, il caffè Lavazza.

8.10.18

450.

Una volta domandai a Elizabeth se fosse vera la storia, che avevo spesso sentito raccontare, secondo la quale lei aveva letto al marito, gravemente ammalato, il proprio libro in cui aveva disegnato un suo caustico ritratto. Stando a questo aneddoto, terminata la lettura, il marito, distrutto da ciò che era stato costretto ad ascoltare, aveva voltato la testa dall’altra parte ed era spirato. Lei mi guardò con aria mite e disse: «Era molto malato. Sarebbe morto comunque».

Lo spirito errabondo, W. Somerset Maugham


7.10.18

449.

Certo andrebbe ricordato quando sono andato dal dottor Calenda convinto di avere un tumore alla tonsilla e poi dopo un attento esame è venuto fuori che invece fortunatamente non era un tumore alla tonsilla ma, cito testualmente le parole del dottor Calenda, «la tonsilla».

6.10.18

447.

È evidente che l’artista, poeta, pittore o compositore che sia, comunichi un messaggio, ma ciò basta agli autori che si occupano di estetica per dedurre che sia proprio questa la sua intenzione. Si sbagliano, a mio parere. Non hanno esaminato a sufficienza il processo creativo. Io non credo che l’artista, mettendosi al lavoro, abbia il fine che costoro gli attribuiscono. Se lo avesse, sarebbe un didatta o un propagandista, e quindi non un artista. Io so quel che accade a un autore di romanzi. Gli viene un’idea, anche se non sa da dove, e a questa egli dà l’altisonante nome di ispirazione. È una cosa sottile come il minuscolo corpo estraneo che riesce a introdursi nella conchiglia dell’ostrica creando quell’alterazione che finirà per dare origine a una perla. Per qualche ragione l’idea lo stuzzica, l’immaginazione si mette all’opera, dall’inconscio emergono pensieri e sentimenti, i personaggi si affollano nella mente e si prospettano eventi che permetteranno loro di esprimersi, perché il personaggio si esprime nell’azione, non nella descrizione, finché il romanziere non è in possesso di una grande massa informe di materiale. Questo materiale, talvolta ma non sempre, si combina in modo da indicargli un percorso da seguire nella giungla di quel confuso intreccio di sentimenti e idee, finché il groviglio diventa talmente ossessionante che, per liberare l’anima da un fardello intollerabile, il romanziere è costretto a metterlo interamente per iscritto. Fatto questo, egli riacquista la libertà. Quale messaggio il lettore ricavi da ciò non è affar suo.

Lo spirito errabondo, W. Somerset Maugham


4.10.18

441.

C’era un ciclista – con la bici da ciclista, la divisa da ciclista, il casco da ciclista, i guanti da ciclista, gli occhiali da ciclista e la faccia da ciclista – che stava in scia a un camion, e, fatta una curva, per non perdere la scia, è salito sui pedali e ha dato due o tre pedalate più convinte per riprenderla e fare, penso, meno fatica. Però, mi sono detto, io non so se li capisco i ciclisti con le bici da ciclisti, se non hai voglia di fare fatica non prendertela la bici da ciclista, te ne stai a casa come me a guardarti la partita e a berti delle birre. Altrimenti fai così, al guidatore del camion gli dai un colpo di telefono, ti metti d’accordo, a che ora passi qui davanti sabato pomeriggio? Perché ho preso la bici da ciclista ma non ho mica voglia di fare della fatica, volevo solo fare il ciclista, così se mi dici quando passi io ti aspetto e poi prendo la scia e ti sto in scia fino a dove devi andare, poi, quando torni indietro, torno indietro anche io, sempre in scia. Ma non ti conviene che ti do proprio un passaggio, invece?, gli dirà il guidatore del camion? Ho il camion che si guida da solo, mi annoio. Dov’è che devi andare? Da nessuna parte, gli dirà il ciclista, era per non stare fermo nello stesso posto tutto il sabato. Ma allora vieni con me, ti porto io in giro, gli dirà il guidatore del camion. E la bici da ciclista?, gli dirà il ciclista. Quella lì puoi lasciarla davanti a casa, gli dirà il guidatore camion, non te la tocca nessuno, non è mica un motorino. Va bene, gli dirà allora il ciclista, fammi uno squillo quando stai per passare, non sto neanche lì a vestirmi da ciclista, allora, che è scomodo, vengo e basta. Bravo, gli dirà il guidatore del camion, poi verso le sei ci fermiamo da un mio amico che ha delle birre ghiacciate e ci guardiamo la partita, per le otto sei a casa, neanche sudato. Però dicono che sudare fa bene, gli dirà il ciclista, elimini le tossine. Boh, se vuoi tengo acceso il riscaldamento del camion, gli dirà il guidatore del camion. Ok, perfetto, gli dirà il ciclista, sei un amico.

29.9.18

440.

Ero fermo a un incrocio e ho visto passare prima un’automobile con a bordo due suore che procedeva a non più di ventisette chilometri orari e, subito dietro, una fila di dieci o quindici altre automobili con a bordo degli automobilisti che procedevano anche loro a ventisette chilometri orarima, mi è parso di capire, borbottando parole oltraggiose. Mi ha fatto ridere perché non so quanto abbia senso trascorrere intere giornate a predicare bene e razzolare anche meglio con lo scopo di avvicinare l’umanità alla divinità se poi tornando a casa questa umanità la fai bestemmiare per ogni millimetro dei non-so-quanti chilometri che ti mancano per arrivare dove devi, condannandola così alle fiamme dell’inferno.

20.9.18

438.

In un liceo di Piacenza sono stati neutralizzati i cellulari degli studenti con delle custodie schermanti, un sistema basato, immagino, sul fatto che come tutti sappiamo ogni individuo, oltre a essere completamente onesto e a non cercare mai possibili scappatoie come istintiva e naturale reazione a un divieto, possiede un solo cellulare. Dopo le prime ore di lezione un giornalista ha domandato a una studentessa com’è la vita a scuola senza cellulare. Lo avessero chiesto a me, io avrei detto «Come prima. Per sua informazione, a scuola non si può usare il cellulare, e infatti io non l’ho mai usato, vorrei che lo scrivesse, lì nel suo articolo, ma se anche si potesse non lo userei, perché il motivo per cui vengo qui è apprendere, anzi lei mi sta disturbando». E il giornalista avrebbe detto «Ma è l’intervallo!». E io avrei detto «E con questo? Durante l’intervallo ripasso gli appunti, così da perfezionare e assimilare meglio quanto appena appreso». La studentessa intervistata invece ha detto «È stato qualcosa di terrificante, non lo auguro a nessuno, non so più che ore sono, devo continuamente chiedere l’ora a chi ha l’orologio, una tortura, una delle peggiori». Che mi ha fatto venire in mente questo.

18.9.18

434.

Giusto per scrupolo ho chiesto a Giorgio di chiedere a suo cugino, che è fisico, che cosa succederebbe se uno venisse lanciato dalla Terra nello spazio, verso la Luna, mancandola. Giorgio ha eseguito e mi ha detto che suo cugino ha detto che prima di tutto brucerebbe nell’atmosfera terrestre prima di uscire nello spazio, ma se ignoriamo questo troverebbe subito decine e decine di migliaia di detriti in orbita intorno alla terra: viti, bulloni, frammenti vari di satelliti morti, tutti potenziali proiettili; ma se ignoriamo anche questo allora morirebbe per soffocamento, visto che non c’è aria, ma se ignoriamo anche questo allora forse sì, esploderebbe, visto che la pressione è pari a zero, ma se ignoriamo anche questo, se resistesse a tutto, ci sarebbero comunque i raggi cosmici e la radiazione ultravioletta del sole che gli farebbero venire tutti i tumori possibili, e nello spazio non ci sono medici, ma se ignoriamo anche questo allora senza ombra di dubbio gli converrebbe mancare la Luna, perché se invece riuscisse ad atterrare sulla Luna, ha detto il cugino di Giorgio, farebbe un cratere.

15.9.18

433.

Ma sento della gente dire che le cose artistiche vanno fatte per passione, con passione, per trovare se stessi, per esprimere se stessi, per creare il bello, per comunicare, per comunicare con la gente, mettersi in contatto spiritualmente e intellettualmente ed emotivamente con gli altri, con tutti, con l’universo, e altre robe simili. Specialmente ci sono molti giovani con la testa piena di queste scemenze putrescenti, che sono putrescenti perché vengono dette da mille anni, le sentiamo da mille anni, solo che questi giovani essendo giovani le hanno appena sentite o pensate e ce le vengono a somministrare come fossero nuove e rivoluzionarie, mentre a noi viene la nausea, a risentirle, e con la stupidità che solo i giovani possono permettersi ci dicono che bisogna credere in se stessi, non mollare mai e altre baggianate, giovani che poi va da sé con il passare del tempo diventano sempre meno giovani e sempre più vecchi, e quando sono vecchi fanno un po’ ridere ormai, non ce l’hai più la tolleranza per un vecchio, specialmente se dice le stesse cose da venti o trent’anni, ancora lì a parlare di sogni e ambizioni, ma sparati, penso io quando li sento. Ho visto un giovane leggere Molloy, l’altra sera al parco, gliel’ho spazzato via con uno schiaffo, ma cosa leggi, imbecille?, gli ho detto, voglio fare lo scrittore, mi ha detto lui, è il mio sogno, devo sempre credere nel mio sogno, mira alla luna e male che vada atterrerai tra le stelle, mi ha detto, non atterrerai, imbecille, gli ho detto io, sei nello spazio, non atterrerai mai, coglione, prima ti esploderanno gli occhi e la testa e poi ti cagherai addosso e la tua carcassa fluttuerà nello spazio finché non verrai mangiato dai corvi interstellari, testa di cazzo che non sei altro, gli ho detto, buffone, vai a lavorare invece, trovati una cosa che abbia un senso, gli ho detto mentre lo inseguivo con una scarpa e mentre lui fuggiva. Io le cose artistiche non le voglio neanche fare, tra l’altro, ho pensato mentre mi rimettevo la scarpa, scrivo delle parole, è vero, le metto insieme, ma lo faccio solo per ammazzare il tempo, il mio vero sogno è fare il pizzaiolo, aprire la mia pizzeria al trancio, ma sono un vigliacco e non l’aprirò mai la mia pizzeria al trancio, sono un vigliacco e allora scrivo dei libri, gli scrittori di libri, i musicisti, i poeti, sono tutti solo dei gran vigliacchi, secondo me, tranne Stephen King, ovviamente, lui lo ammiro, ho pensato mentre me ne tornavo a casa, dal parco.

14.9.18

432.

Per chi non lo sapesse un pleonasmo è, dice la Treccani, «un’espressione sovrabbondante». La Treccani è un famoso dizionario. Un dizionario è una raccolta delle parole di una determinata lingua accompagnate dalle definizioni dei loro significati. I significati (ovvero ciò che le parole vogliono dire o ancora meglio ciò che noi vorremmo dire per mezzo delle parole, visto che secondo me le parole non vogliono dire un bel niente, siamo noi a importunarle), delle parole: «albero», «zappa», «sole», «terra» e tante altre ancora, tra cui «e», «tante», «altre» e «ancora». So che sembra stupido spiegare cose tanto ovvie ma in fondo la situazione è più o meno questa: qui nessuno sa niente, e chi sa qualcosa è guardato con sospetto, e comunque è considerato un perditempo. Su questo sono anche d’accordo, se vogliamo: tutto è una perdita di tempo, compreso il tempo. E chi si affanna per ottenere un risultato è un isterico o un maniaco. Ma non sono il tipo che si compiace del proprio nichilismo. Non è neanche nichilismo, tra l’altro. È proprio il niente nel modo più assoluto.

13.9.18

428.

Stamattina Giorgio mi ha detto che ieri sera mentre mangiava lo spezzatino preparato da sua moglie gli è venuto in mente un terribile pensiero, e che poi quando si sono messi sul divano a guardare la tv questo pensiero non lo ha abbandonato, e che poi quando sono andati a dormire non lo ha abbandonato neanche lì, però lui ha chiuso gli occhi, per non destare sospetti in sua moglie, e ha anche fatto finta di russare, visto che sua moglie gli dice che russa sempre, e mentre era lì al buio con gli occhi chiusi ha pensato anche al fatto che suo padre, che di lavoro quando lavorava faceva l’impiegato, amava lo spezzatino sopra ogni cosa, lo spezzatino era l’apice della giornata di mio padre, mi ha detto Giorgio, che quando sua madre la mattina diceva a suo padre stasera ti faccio lo spezzatino, se in quel momento fosse arrivato uno con un pulsante e avesse detto al padre di Giorgio se premi questo pulsante salti tutta la giornata e vai direttamente a stasera, il padre di Giorgio lo avrebbe premuto, che secondo Giorgio è una cosa assurda e tremenda, perché non mangiarlo a colazione e togliersi il pensiero? E allora stanotte, mentre era lì con gli occhi chiusi e faceva finta di russare per non destare sospetti, ha pensato che lo spezzatino forse è un sedativo, e dire a uno che russa è invece un modo per farlo sentire inadeguato, per fargli credere che la vita che sta vivendo è meglio della vita che in realtà si meriterebbe, e che insomma sono tutti dei mezzi per soggiogarlo, e si sta convincendo del fatto che sua moglie potrebbe in realtà appartenere a una razza aliena che tiene imprigionati gli esseri umani con una vita domestica e ordinaria al fine di cibarsi della loro noia, o di usarla come carburante per far volare grosse navi spaziali da guerra con le quali conquistare la galassia.

10.9.18

426.

Ho letto che un nostro (più vostro, a dirla tutta) ministro ha dato rassicurazioni sulla manovra e lo spread è sceso. Giorni fa invece rassicurazioni non ce n’erano e lo spread era salito. È molto sensibile questo spread, ho pensato, uno non se lo aspetterebbe da un indicatore economico mezzo tedesco. Uno, da un indicatore economico mezzo tedesco, si aspetterebbe che tu dici «tranquilli per la manovra, eh?», e quello sale, tu allora dici «no, ma siamo obbligati a rispettare certe direttive socio-economiche, lo sappiamo», e quello sale, tu allora dici «faremo tutto il possibile per manovrare responsabilmente pensando non solo a noi ma anche agli altri membri della nostra grande e amata comunità europea», e quello sale, allora tu dici «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli! Beati gli afflitti, perché saranno consolati! Beati i miti, perché erediteranno la Terra!», e quello sale, allora tu dici «se l’Italia può cambiare, e la Germania può cambiare… tutto il mondo può cambiare!», e quello sale, allora tu dici «Se è destino che si muoia, siamo già in numero più che sufficiente; e se viviamo, meno siamo e più grande sarà la nostra parte di gloria. In nome di Dio, ti prego, non desiderare un solo uomo di più. Anzi, fai pure proclamare a tutto l'esercito che chi non si sente l'animo di battersi oggi, se ne vada a casa: gli daremo il lasciapassare e gli metteremo anche in borsa i denari per il viaggio. Non vorremmo morire in compagnia di alcuno che temesse di esserci compagno nella morte», e quello sale, tu dici « Il grande momento è appena cominciato. La Germania si è svegliata! Siamo andati al potere in Germania e ora domineremo il popolo tedesco. Lo so, camerati, a volte può essere difficile, quando si desidera un cambiamento che non giunge, e più e più volte occorre ripetere l'appello a continuare la lotta. Ma non dovete agire da soli, dovete obbedire, dovete cedere e sottomettervi alla schiacciante necessità dell'obbedienza», e quello sale, ti aspetteresti questo, da un indicatore economico per di più mezzo tedesco, e invece no, è sensibilissimo.

4.9.18

425.

Le sigarette uccidono, chi è che non lo sa? Ma ce le hanno in bocca tutti, per via del fumo sexy che emettono.

Avverbi, D. Handler


3.9.18

420.

Ieri a Milano sui Navigli c’erano la Ferrari, i tifosi della Ferrari e persino Sebastian Vettel, il pilota della Ferrari che in teoria dovrebbe vincere il mondiale con la Ferrari però finora ogni volta che era in testa al mondiale è andato a sbattere e ciao. Comunque ieri c’era, Vettel, e siccome domenica si corre il gran premio di Monza, e tutti i tifosi erano lì a incitarlo, lui ha detto «Con questa Ferrari si può vincere!», poi ci è salito, sulla Ferrari, è partito, ha fatto due curve ed è andato a sbattere.

30.8.18

414.

La veterinaria di Gateau mi ha detto che la settimana scorsa un uomo si è presentato in clinica con un pollo, vivo, da far curare, anche se poi, ha detto l’uomo, quando sarà guarito me lo mangio.

22.8.18

413.

Mi ha intervistato un giornalista di un quotidiano. Mi ha telefonato e mi ha chiesto se fossi disponibile a essere intervistato lunedì alle quindici, gli ho detto aspetti che guardo la mia agenda mentre pettinavo la gatta, ho continuato a pettinare la gatta per una trentina di secondi, poi ho detto sì, lunedì alle quindici va bene, quindici e trenta andrebbe meglio, se per lei non è un problema, e non lo era. Lunedì ci siamo incontrati, siamo andati in un bar, ci siamo seduti, abbiamo preso un caffè. Io non prendo mai il caffè, non mi piace, però di solito in queste situazioni si prende un caffè, allora prendo un caffè, ma dovrei essere me stesso, penso, e quando l’altro ordina un caffè dire al cameriere per me un calice di blanc de blancs, pas dosè, millesimè, grazie, e il cameriere mi direbbe di cosa?, e io champagne, champagne, e il cameriere mi direbbe non ce lo abbiamo mica lo champagne, e io va bene una birra, purché non sia calda come il piscio, e il cameriere direbbe le porto un caffè, e io: grazie. Comunque ci sediamo, prendiamo il caffè e comincia l’intervista, il giornalista mi fa le domande e io rispondo e il giornalista si appunta cose su un taccuino, rispondo seriamente, l’intervista è molto seria, non faccio neanche una battuta e quando arrivo al punto in cui dico che in tutti i miei libri la componente umoristica è essenziale perché sono una persona che ama fare battute di continuo, anche nella vita reale, sono un tipo molto, molto spiritoso, dico con la massima serietà, specialmente durante le interviste, dico, il giornalista alza un sopracciglio e scrive qualcosa sul taccuino, poi sembra tracciare un cerchio, poi riprende a guardarmi e mi sorride e mi fa altre domande. Dopo un’ora l’intervista finisce, lo intuisco dal fatto che il giornalista si alza all’improvviso e comincia a correre, lo inseguo fino in strada, aspetti!, grido zigzagando tra le automobili, intanto ci insegue anche il cameriere, aspettate!, grida zigzagando anche lui, alla fine lo acciuffo, e il cameriere noi, il giornalista è senza fiato, si piega sulle ginocchia, sputa e un filo di bava gli resta attaccato alla bocca, io mi siedo sul marciapiede, il cameriere ci porge due calici di blanc de blancs, ne ho rovesciato un po’ correndo, dice, non importa, dico io, mi scolo entrambi i calici e il giornalista mi dice ma che cosa vuole?, e io gli porgo il taccuino, il suo taccuino, dico, con la nostra intervista, allora lui lo guarda, poi guarda me e mi dice lo tenga pure.

21.8.18

411.

Perché credo realmente che questo scritto sia quello di cui posso dire che è il mio più riuscito, o ancor meglio, il meno mancato. Certo che penso alla sua pubblicazione! Ma prima di poterlo pubblicare devo scriverlo, pensai e a questo pensiero sono scoppiato a ridere, in una di quelle che definisco autorisate, a cui nel corso degli anni ho fatto l'abitudine in seguito al mio perenne essere solo.

Cemento, T. Bernhard


17.8.18

410.

Giorgio mi ha raccontato di aver elaborato un sistema per vivere più a lungo partendo da alcune considerazioni sull’adagio «il tempo vola quando ti diverti». Il sistema si basa dunque sulla noia come mezzo per rallentare la percezione del tempo e dunque il tempo stesso. «Annoiandoti,» mi ha spiegato, «le giornate sembreranno lunghissime, e siccome la percezione soggettiva del tempo è, per il soggetto, il tempo, le giornate non solo sembreranno ma di fatto saranno lunghissime, e così, sommandole tra loro una dopo l’altra, l’intera vita». Perciò adesso guarda solo film impegnati che trattano temi molto importanti, segue le corse ciclistiche, parla con le persone che incontra e fa loro molte domande su lavoro e figli, chiedendo anche di vedere i video e le foto che hanno sul telefono, oppure «più banalmente» se ne sta sul divano a fissare il soffitto. «Molto interessante,» gli ho detto io. «Ti ringrazio» mi ha detto lui. «Sì,» gli ho detto io, «molto interessante soprattutto quanto questa idea somigli in modo incredibile al racconto che sto scrivendo e di cui ti ho parlato la settimana scorsa. «Davvero?» mi ha detto lui, «Be, sai, come dico sempre, l’artista non esista a rapinare, prendere in prestito, elemosinare o rubare da tutto e da tutti pur di completare la propria opera». «Come dice Faulkner, intendi» gli ho detto io. «Mm, sì, come no» mi ha detto lui. «E poi, scusa, quale opera?» gli ho chiesto. «L’opera della mia vita,» mi ha detto lui, «bisogna vivere la vita come un’opera d’arte, caro mio». «Come dici sempre» ho aggiunto.

16.8.18

409.

Oggi è tutto il giorno che da quando mi sono svegliato, intorno alle sei e zero cinque, ho una domanda in testa: ma se è vero che non tutto il male viene per nuocere, che è una cosa che pensano tutti, non sarà anche vero che non tutto il bene viene per giovare, che è una cosa che non pensa nessuno?

13.8.18

408.

«Sharon Lipschutz dice che l’hai lasciata sedere sullo sgabello del piano vicino a te» disse Sybil.
«Sharon Lipschutz ha detto questo?».
Sybil annuì vigorosamente.
Il giovanotto le lasciò andare le caviglie, ritirò le mani e appoggiò una guancia sull’avambraccio destro.
«Be’,» disse, «lo sai come vanno queste cose, Sybil. Ero là seduto che stavo suonando. E tu chissà dov’eri, in quel momento. E Sharon Lipschutz è venuta lì e a un certo punto si è messa a sedere vicino a me. Non potevo mica spingerla via, ti pare?».
«Sì, che potevi».
«Oh no. No. Non potevo fare una cosa simile» disse il giovanotto. «Ma sai cosa ho fatto, invece?».
«Cosa?».
«Ho fatto finta che fossi tu».

Nove racconti, J.D. Salinger


11.8.18

407.

Ieri, in un giorno ideale per i pescibanana, un tizio ha rubato un aereo e poi mentre volava ha detto alla torre di controllo «Molte persone si preoccupano per me, non vorrei deluderle ma sono semplicemente un ragazzo guasto, con qualche vite allentata, credo». Poi si è chiesto se, nel caso fosse riuscito ad atterrare, la compagnia lo avrebbe assunto. Poi si è schiantato.

10.8.18

405.

A proposito di opinioni, leggo sul giornale che due americani, i quali avevano lasciato il lavoro per girare il mondo in bici – io l’avrei fatto in carro armato, ma ok, in bici – e scrivevano sul proprio blog «I media ti raccontano che il mondo è un posto grande e spaventoso, pieno di persone cattive di cui non fidarsi, persone malvagie, di assassini. Io non me la bevo. Il male è un concetto inventato. Gli esseri umani sono generosi e meravigliosi. Questa è la più grande rivelazione che il nostro viaggio ci sta regalando», sono stati uccisi in Tagikistan dai terroristi.

9.8.18

404.

In merito alla diatriba sui vaccini, ho scoperto che un consigliere di un noto movimento politico, sprovvisto di laurea e che, secondo quanto riportato dalla sua scheda sul sito del movimento, di lavoro fa l’impiegato, ha detto che «la scienza deve ascoltare tutte le opinioni» (se ho capito bene viene pagato ottomila euro al mese per dirlo, e lui ne restituisce, invece di ottomila, cinquemila). Mi è sembrato strano perché già nel quarto secolo avanti Cristo avevano capito che una cosa è la conoscenza e un’altra è l’opinione, e che alla seconda «si ferma chi non si preoccupa di cercare l’essere vero», però io che ne so, ho solo una miserabile laurea in filosofia, magari alla facoltà di impiegatologia li spiegano meglio questi complicati concetti. Sembra poi, tra le altre cose, che abbia anche detto «allora mettiamo medici e scienziati a scrivere le leggi», e credo lo abbia detto come ragionando per assurdo, e che la frase completa fosse «allora mettiamo medici e scienziati a scrivere le leggi, invece degli impiegati!», ma è solo una mia interpretazione. A ogni modo per sicurezza ho chiesto a mia cognata, che è scienziata, e lei mi ha detto che non è vero, la scienza non deve ascoltare le opinioni, specialmente quelle degli impiegati, anzi mi ha pure detto che un metodo alternativo al metodo scientifico ma altrettanto valido e consolidato e usato nei laboratori di tutto il mondo è, quando si ha un dubbio, prendere il telefono, chiamare un impiegato a caso e chiedere la sua opinione, poi fare il contrario. Così sono state scoperte la penicillina, la pastorizzazione e la mietitrebbiatrice, tanto per fare solo alcuni esempi.

8.8.18

403.

Mi hanno detto che oggi è la giornata mondiale dei gattini. Buona giornata mondiale dei gattini, Gateau.


401.

A pagina 64 di Retabloid (qui), la rassegna culturale di Oblique, Michele Tutone è stato così gentile da farmi delle domande sui miei libri e sulla mia scrittura.

6.8.18

397.

Vorrei non essere accusata di vaghezza se mi piace solo leggere e scrivere.

Maestoso è l’abbandono, S. Gamberini


2.8.18

390.

Ho letto che Cristiano Ronaldo ha comprato una «supervilla» (le persone super non comprano cose ma supercose) e, per non essere disturbato, anche la supervilla di fianco alla sua supervilla. Mi ha ricordato un po’ il mio amico Giorgio, che, nel suo piccolo, quando va al cinema prende sempre tre biglietti, il posto per sé e i due adiacenti, così da avere la certezza che nessuno gli si sieda accanto.

30.7.18

384.

Oggi apro il Corriere online e come prima notizia vedo Beppe Severgnini che, nel suo intervento chiamato «L’analisi» (sic), prende spunto dalla recente morte di quel manager della nota industria automobilistica per chiedersi: «Usiamo bene la nostra vita?». La risposta è no, Beppe.

27.7.18

382.

Giorgio oggi mi ha detto: «Mi è venuta in mente una frase che potresti usare in un libro. Se scrivessi dei libri la userei io, ma siccome non ne scrivo non so cosa farmene». Mi ha fatto ridere.

25.7.18

371.

«Mi sento alta».
Non lo era e non lo sarebbe mai stata.

La lezione di anatomia, P. Roth


19.7.18

365.

Il mio amico Giorgio, che come me è sensibile alla bellezza ma in un modo più estremo, dopo aver visto Camila Giorgi perdere contro Serena Williams ha detto che, secondo lui, nel tennis dovrebbe vincere chi è più bello. Gli ho detto che una cosa del genere esiste già e si chiama concorso di bellezza. Lui ha detto «sì, ma non giocano a tennis». Gli ho allora fatto notare che non sarebbe giusto (solo per sostenere momentaneamente la parte della controparte, non do quasi nessun tipo di significato a un’affermazione del genere), che se una tennista, per quanto di aspetto meno gradevole e simmetrico, vince la partita, deve passare il turno. Lui ci ha pensato su e poi ha detto: «Ok, ma potremmo almeno far partire chi è più bello da 6-0, 5-0, e servizio».

12.7.18

364.

Ieri io e Giorgio abbiamo guardato i quarti di Wimbledon, lui a casa sua e io a casa mia (a nessuno dei due piace avere qualcuno in casa), lui Djokovic, io Federer. Siamo entrambi arrivati alla conclusione che il tennis è molto più noioso che divertente e che non appena finito Wilmbledon non lo guarderemo più, che non ci piace chi fa più di trenta ace a partita, che le donne dovrebbero giocare contro i maschi perché fare due categorie diverse è discriminatorio, che non ci dovrebbero essere due tentativi per la battuta, così quelli che fanno trenta ace a partita farebbero anche venti falli e questo li porterebbe sui dieci ace a partita e non batterebbero mai gente come Federer, che Federer ormai purtroppo è vecchio, che tutto purtroppo invecchia e finisce prima o dopo e che quando succede è molto triste. Poi ci siamo chiesti quante banane vengano consumate durante il torneo, abbiamo cercato la risposta, senza trovarla.

11.7.18

363.

Camila Giorgi, tennista italiana numero cinquantadue del mondo che oggi giocherà i quarti di finale di Wimbledon contro Serena Williams, che di Wimbledon ne ha vinti sette, alla domanda su cosa le piacesse di più della Williams e del suo modo di giocare ha risposto «non la seguo particolarmente, in realtà non seguo il tennis».

10.7.18

360.

Helena come prima cosa si era trasferita a New York. Pensava di restarci e lavorare a un nuovo libro finché non finiva i soldi. Finì i soldi in nove giorni.

Avverbi, D. Handler


8.7.18

357.

Ogni tanto penso ancora a quella nave di gattini, soli in mezzo al mare, e mi si stringe il cuore.

29.6.18

356.

«Bruce» comincio. «Gliel’hai detto?».
Ci sediamo su una panchina. Il cielo è coperto, ma fa ancora caldo e tira vento; Bruce fuma un’altra sigaretta in silenzio.
«Devo parlarti», esclamo, afferrandogli le mani e stringendogliele. Le sue mani, però, restano molli e senza vita sul suo grembo.
«Perché a certi animali assegnano grandi gabbie e ad altri no?» chiede.
«Bruce. Ti prego». Comincio a piangere. La panchina, all’improvviso, è divenuta per me il centro dell’universo.
«Gli animali mi ricordano qualcosa che non so spiegare» aggiunge lui.
«Bruce». Mi sento soffocare.
Porto angosciata una mano sul suo volto, sfiorandogli una guancia con delicatezza e poi premendo forte.
Allora, mi prende la mano, la scosta, la tiene tra noi sulla panchina e in fretta si mette a raccontare: «Stammi a sentire, il mio nome è Yocnor, provengo dal pianeta Arachanoid che è situato in una galassia che la terra non ha ancora scoperto e probabilmente mai scoprirà. Sono sul tuo pianeta da quattrocentomila anni, secondo il vostro calcolo del tempo, e sono stato mandato qui per raccogliere dati che ci permetteranno di conquistare e distruggere tutte le altre galassie esistenti, compresa la vostra. Sarà un periodo terribile, perché la terra verrà distrutta progressivamente e gli uomini dovranno soffrire atrocemente per ragioni che la loro mente non sarà mai in grado di comprendere. Ma tu non sarai testimone diretta di questa fine perché si verificherà durante il ventiquattresimo secolo terrestre, quando tu sarai morta già da un bel pezzo. So che ti riuscirà difficile crederlo ma, per una volta, ti sto dicendo la verità. Non ne parleremo più». Mi bacia la mano e torna a guardare la zebra.

Acqua dal sole, B. Easton Ellis


353.

Ho letto che Francesca Archibugi, regista, ha detto che se invece di esseri umani ci fossero dei gattini, su quelle navi, non li lasceremmo mai là in mezzo al mare. Ma che discorsi, ho pensato, che ovvietà, non c’è nessun paragone tra un gattino e un essere umano, se uno venisse da me e mi dicesse lo vuoi un bel gattino?, io, se non avessi già Gateau, ci penserei su, ma se uno venisse da me e mi dicesse lo vuoi un bell’essere umano, io gli direi «fossi matto!», per me il ragionamento dell’Archibugi suona come: se invece di esseri umani ci fossero delle banconote, su quelle navi, non le lasceremmo mai là in mezzo al mare. O delle bottiglie di champagne, che con il caldo, si sa, si rovina, e con le oscillazioni si sgaserebbe tutto. Non ci voglio neanche pensare.

27.6.18

347.

Una cosa che mi è piaciuta tantissimo del mare è la piscina sul tetto dell’hotel.

21.6.18

346.

Ho il martello, spaccherò la faccia a chiunque minacci, in qualunque modo, lo stile di vita aziendale. Sappiamo cosa stiamo facendo. Le razioni di vodka sono abbondanti. La nostra eccellente reputazione ha un’eccellente reputazione, in ogni angolo del mondo. E sarà mantenuta fino a quando la nostra arte sarà distrutta da chissà quale altra arte che sarà di certo altrettanto buona ma che, mi fa piacere dirlo, non è ancora stata inventata.

Dilettanti, D. Barthelme


20.6.18

342.

Leggendo i primi racconti di Acqua dal sole di B. Easton Ellis mi è venuto a un certo punto da girare il libro e leggere la descrizione in quarta di copertina, che, dopo il classico elenco di brevi sintesi dei racconti stessi, dice: «Come in una galleria – in cui il decennio maledetto che ha travolto ogni certezza viene catturato nella sua posa venefica – questi ritratti spettrali, freddi e precisi come un videoclip, ricostruiscono l’iconografia di una umanità assediata dall’indifferenza, tra droghe, sesso e abusi a non finire. Lo sguardo tagliente di Bret Easton Ellis ci presenta una commedia umana degli orrori che si cristallizza in una rigorosa limpidezza formale, fra dialoghi indimenticabili e una descrizione spietata della disgregazione sociale attorno a cui emerge un’intera generazione, risucchiata dal crollo di tutti i valori». Mi ha fatto ridere, specialmente dalle parti di «posa venefica», che non so cosa voglia dire, e «limpidezza formale», che è un bel tentativo di abbellire – non che non sia bella – la scrittura minimalista (anche Bukowski era limpidamente formale, ora che ci penso). Da lì sono andato a prendere la copia di Meno di zero, scritto anche quello ai tempi del college e molto simile ai racconti, e ho letto la descrizione, che dice: «In un mondo illuminato dai bagliori spettrali dei videoclip e svuotato di ogni sentimento, Clay, Blair, Daniel e Julian, biondi e abbronzati, esplorano le pieghe infernali del paradiso californiano in un crescendo di moralità e devastazione che presto sconfina nell’orrore». Anche qui il videoclip, ho pensato. Chissà perché. Comunque sono andato infine a prendere la copia di Lunar Park e ho riletto la parte in cui Ellis racconta di quando, dopo aver scritto Meno di zero «di getto in otto settimane di iperattività amfetaminica sul pavimento della mia stanza a L.A.», lo dà al suo agente, che lo dà all’editore, che lo accetta dopo che un membro del comitato di lettura lo descrive come «un romanzo che parla di zombie che tirano coca e sparano pompini», che è anche una bellissima descrizione per una quarta di copertina come si deve, secondo me.

14.6.18

341.

Gli dico anche che Madison si è rasata i capelli e che Cloris, credendo stesse sottoponendosi a chemioterapia, ha mandato tutti i suoi racconti ai caporedattori che conosce a Esquire, al The New Yorker e a Harper’s, e che tutti li hanno trovati molto stupidi.

Acqua dal sole, B. Easton Ellis


13.6.18

340.

Su Wu magazine di giugno, qui, spiego in modo come sempre impeccabile la correlazione tra uscire dall’Euro e cibarsi di scarafaggi.


12.6.18

338.

Secondo Giorgio uno scrittore non può avere: i riccioli, i baffi, i muscoli, un’altezza sotto il metro e sessanta, un’altezza sopra il metro e novanta, la gobba, l’ipertelorismo, l’ipotelorismo, l’ipertricosi, i piedi piatti, la vagina. «È la tua descrizione sputata,» gli ho detto. «Pura casualità» mi ha detto lui.

11.6.18

337.

Stavi leggendo Byron. Hai sottolineato i passi che sembravano concordare meglio col tuo carattere. Trovo segnate tutte le frasi che alludono a una natura sardonica, ma appassionata; l’impetuosità di una falena che si avventa contro il vetro. Mentre con la matita sottolineavi hai pensato: «Anch’io mi tolgo il mantello così. Anch’io schiocco le dita in faccia al destino». Ma Byron non faceva il tè come te, che riempi così tanto la teiera che quando ci metti sopra il tappo, il tè trabocca. C’è una pozza marrone sul tavolo – il tè si versa tra le carte e tra i libri. Ora la asciughi, goffamente, col fazzoletto. Poi ti rimetti il fazzoletto in tasca – no, così non sei più Byron, ora sei tu. Sei così tu, che se ti penserò tra vent’anni, quando saremo entrambi famosi, malati di gotta e insopportabili, sarà per questa scena; e se sarai morto piangerò.

Le onde, V. Woolf


10.6.18

335.

Stavo pensando che se uno fa una cosa insignificante per un tempo incredibile, quella cosa insignificante può diventare a sua volta incredibile. Per esempio se uno scatta una foto della sua faccia la mattina alle nove è una cosa insignificante, ma se uno scatta una foto della sua faccia la mattina alle nove per novantadue anni, allora ecco che diventa incredibile. E se non proprio incredibile almeno interessante. Allo stesso modo, stavo pensando, se io scrivo un appunto è una cosa insignificante, ma se ne scrivessi uno ogni mattina alle nove per novantadue anni sarebbe interessante, specialmente perché vorrebbe dire che sono arrivato intorno a centotrent’anni, che sarebbe un record.

9.6.18

334.

Tutte le più gravi malattie erano state debellate. Così la morte era volontaria, e il governo, per incoraggiare quelli che volevano morire, aveva eretto a ogni incrocio delle strade principali un Salone del Suicidio Etico, col tetto viola, proprio accanto al tetto arancione di uno Howard Johnson. Nel salone c’erano delle hostess molto graziose, e delle comode poltrone, e un sottofondo musicale, e una scelta tra quattordici sistemi indolori per morire. I saloni del suicidio erano posti affollatissimi, perché tanta gente si sentiva sciocca e inutile, e perché morire era ritenuta una cosa patriottica e disinteressata. Gli aspiranti suicidi avevano anche diritto a un ultimo pasto gratis nell’attiguo ristorante. E così via. Trout aveva una fervida immaginazione. Uno dei suoi personaggi chiedeva a una hostess della morte se sarebbe andato in paradiso, e lei gli rispondeva che ci sarebbe andato di sicuro. Lui le chiedeva se avrebbe visto Dio, e lei diceva: «Certo, tesoro». E lui diceva: «Lo spero proprio. Voglio chiederGli una cosa che quaggiù non sono mai riuscito a scoprire». «Cosa?» diceva lei, assicurandolo con le cinghie della poltrona. «A che diavolo serve la gente?».

Perle ai porci, K. Vonnegut


8.6.18

333.

Ci sono degli scrittori che secondo me dovrebbero piacermi, compro anche i loro libri, in casa magari ne ho tre o quattro, che averne uno potrei capire, ma tre o quattro è strano, e provo e riprovo a leggerli e a farmeli piacere ma poi alla fine per qualche ragione mi distraggo e interrompo, uno per esempio è Vonnegut, e sospetto che il motivo sia che un giorno ho visto la sua faccia, che era tutta diversa dalla faccia che mi sarei aspettato da uno scrittore con un nome così, Kurt Vonnegut, che nome stupendo, pensi la prima volta che lo senti, e poi vedi la sua faccia e pensi no, non c’entra niente, è tutta sbagliata. Se non avesse avuto i baffi, forse, non so. Non penso che gli scrittori dovrebbero avere i baffi, onestamente.

7.6.18

329.

Tutto è difficile. Anche bere un bicchiere d’acqua.

3.6.18

325.

Stanotte ho subìto il primo attacco dell’anno da parte di un dittero nematocero della famiglia psicodidi, detto anche flebotomo, un insetto ematofago e cosmopolita che per amore di quieto vivere, o per pusillanimità, secondo me per pusillanimità, non certo per amore di quieto vivere, considerato che dopo la puntura mi sveglio, gli do la caccia e non mi arrendo finché non l’ho stanato e polverizzato, pensa a mangiare e a fare i propri interessi senza reagire a umiliazioni, sempre che si possa definire umiliazione essere schiacciati con una copia de Il sostituto, di D. Nicholls, ma sospetto di sì.

27.5.18

322.

A volte, mentre Gateau mi guarda, mi metto vicino all’interruttore della luce e le dico «Gateau, guarda bene cosa so fare», e poi con una mano schiocco le dita e con l’altra, senza farmi vedere, in corrispondenza di ogni schiocco accendo e spengo la luce e dico «Giorno! Notte! Giorno! Notte! Giorno! Notte!», sperando nella sua ammirazione.

24.5.18

319.

«Non vorresti riconsiderare quello di cui ti ho già parlato?». «No,» disse Peterson, «proprio non voglio riconsiderarlo». «Due pezzi piccoli si venderebbero molto più in fretta di uno solo enorme» disse Jean-Claude, guardando da un’altra parte. «Segarlo a metà sarebbe molto semplice». «Si suppone che sia un’opera d’arte» disse Peterson più calmo che poteva. «Non si può andare in giro a segare le opere d’arte a metà, te lo sei scordato?». «Segarlo in quel punto,» disse Jean-Claude, «non è molto difficile. È così sottile che riesco a stringerlo tra due mani» Fece un cerchio con le mani per dimostrarlo. «Ogni volta che guardo quel pezzo ne vedo due. Sei assolutamente sicuro di non averlo concepito sbagliato dall’inizio?».

Ritorna, dottor Caligari, D. Barthelme


18.5.18

316.

Ho l’impressione che la scuola si sforzi di equalizzare gli studenti: vede un bullo e si chiede “come posso trasformare questo bullo in uno studente normale?”. Vede uno studente intelligente e si chiede “come posso trasformarlo in uno normale?”. Ne vede uno alto e si chiede “come posso abbassarlo”? È un modo di procedere scorretto e destinato a rendere tutti infelici.
Su Wu magazine di maggio, qui, ho risolto anche il problema dei bulli. Quando qualcuno mi vuole consultare per un contratto di governo, sa dove trovarmi.


17.5.18

317.

A proposito di contratto di governo: un politico di quelli che vogliono che il popolo decida più o meno tutto qualche giorno fa ha detto «è il momento del coraggio o della paura». Ho pensato: per me della paura, grazie. E per la signora?, mi ha chiesto il politico. Paura anche per lei, con ghiaccio.

318.

Un altro politico che ha fatto parte dello stesso partito che vuol far decidere tutto al popolo ha detto: «Ascoltate la gente nei bar, non le banche», cosa che immediatamente mi ha ricordato la celebre affermazione di Umberto Eco: «Internet? Ha dato diritto di parola agli imbecilli: prima parlavano solo al bar». Il che, all’orecchio di uno che la pensa come Umberto Eco, trasforma la frase del politico di prima in «Ascoltate gli imbecilli, non le banche». Naturalmente per queste persone io, adesso, mentre dico questa cosa sul mio taccuino elettronico, precipito nella categoria degli imbecilli. Ma cosa volete mai, mi sacrifico volentieri, e poi da quando c’è internet al bar non ci vado più.

312.

Oggi, per la sua festa, sono andato da mia madre e le ho regalato la cosa che le piace di più al mondo: un panino con la coppa.

13.5.18

310.

Il signor Tamburini, l’idraulico, arriva per un sopralluogo appena prima di pranzo.
Indossa dei vestiti macchiati di calcinacci, olio, segatura e sangue.
Lo accolgo con un sorriso.
«Buongiorno».
«Ciao» mi dice. «Dove?».
«Per di qua».
Gli faccio strada. Quando arriviamo al muro del corridoio gli indico la macchia di umidità.
«Vede?».
Lui si sdraia sul pavimento e annusa la macchia, la tocca, la lecca. Poi si tira su e apre la porta del bagno. Entra, io lo seguo. Osserva le piastrelle che rivestono il muro in corrispondenza della macchia nel corridoio. Sembrano normali piastrelle.
«Mmm».
«Grave?».
«Non so».
Comincia ad annusare le piastrelle. Dà dei colpetti con il pugno, colpetti abbastanza forti. Pugni, in pratica. Poi, sempre annusando e ispezionando, si sposta lungo il muro fino alla doccia, un metro più in là. Apre la porta della doccia, entra, chiude la porta.
Resto lì così, senza dire niente, finché sento l’acqua scorrere. Dopo un paio di minuti l’acqua viene chiusa, la porta si apre e il signor Tamburini esce, completamente asciutto. Si dirige al lavandino e apre l’acqua, poi va ai sanitari, tira l’acqua del water, apre quella del bidè, apre la finestra, alza la zanzariera, spalanca gli scuri, si arrampica sul davanzale ed esce. Sento il traffico in strada, i clacson delle automobili.
Qualche minuto più tardi il signor Tamburini rientra. In mano ha una tegola, il nostro appartamento è al primo piano di tre.
«Le tegole sono vecchie» dice, mostrandomela.
«La perdita è causata dalle tegole?» chiedo io.
«La perdita?» dice lui, consegnandomi la tegola, «No».

9.5.18

306.

Ieri una signora mi ha detto che ho un umorismo molto yiddish. Grazie, le ho detto io, è un bellissimo complimento. Sì, mi ha detto lei, ma devo capire se yiddish dell’est o dell’ovest.

6.5.18

295.

A settembre, quando mi trovavo a New York, io e la mia agente abbiamo chiesto a Selby quanto volevano vedere del romanzo prima di poter chiedere un contratto e un anticipo. Risposta: circa sei capitoli. Così a febbraio mando nove capitoli (108 pagine, cioè tutto quello che ho fatto) e la mia agente chiede un anticipo e il giudizio editoriale. Giudizio che si è fatto attendere perché ovviamente non avevano una grande opinione delle 108 pagine e non sapevano cosa dire. Quando finalmente è arrivato, era molto vago e dimostrava che non avevano capito un accidenti del tipo di romanzo che sto scrivendo. Mi sa tanto che vogliono un romanzo convenzionale.

Sola a presidiare la fortezza, F. O’Connor


19.4.18

291.

Mi hanno detto che il Papa ha detto che un ateo può andare in Paradiso, se buono. Che è quello che ho sempre pensato anch’io: perché mai Dio dovrebbe mandare all’Inferno o comunque escludere dal Paradiso un uomo buono solo perché non crede in Lui e non ha seguito un solo precetto cristiano durante la permanenza terrena e anzi ha sempre ritenuto la Religione un’illusoria superstizione, la Chiesa un’ambigua, anacronistica e grottesca istituzione contro il vero sapere e il progresso umano e Dio stesso un’invenzione dell’uomo di cui l’uomo è nient’altro che il patetico ventriloquo? Dai, è assurdo.

17.4.18

290.

Perché ci sono anche i giorni in cui non hai nessuna opinione, su Wu magazine di aprile, qui.


16.4.18

289.

Tutti quelli che hanno letto La saggezza nel cuore mi credono una zoticona nichilista, mentre in televisione vorrei dare l'impressione di essere una zoticona tomista, ma vedrai che non mi verrà niente di meglio da dire al signor Harvey Breit che «Eh?» e «Ah boh». Mi sa tanto che al rientro mi toccherà stare tre mesi giorno e notte nello stazzo del pollame per neutralizzare gli influssi negativi.

Sola a presidiare la fortezza, F. O'Connor


15.4.18

282.

Ho letto che dei ricercatori volevano capire come uccidono i serpenti costrittori. A me sembrava non ci fossero molti dubbi, visto il nome, ma i ricercatori, lì in piedi con il camice bianco al centro del laboratorio in mezzo a decine di gabbie con dei topolini, si chiedevano: ti soffocano o ti bloccano la circolazione o ti frantumano le ossa provocandoti emorragie? I topolini a quel punto si guardavano l’un l’altro. «Questo test lo fai tu» ha detto uno. «Eh mi piacerebbe, ma alle undici ho quello per i cerotti contro la cervicalgia» gli ha risposto l’altro toccandosi con la zampa appena dietro la testa e producendosi in una smorfia. Allora il primo, rivolto ai ricercatori: «Ragazzi, potremmo fingere di averlo fatto, il test, dire a tutti che uccidono per soffocamento e buonanotte, no? Chi mai lo ripeterà? Chi mai lo leggerà?!». Ma un serpente costrittore nella gabbia lì a fianco: «No, ma a me interessa, me lo sono sempre chiesto». Insomma alla fine hanno preso il serpente, hanno preso un topolino e gliel’hanno fatto stritolare, poi hanno analizzato il topolino stritolato e hanno concluso che fosse morto per arresto circolatorio. «Proviamo per sicurezza con un altro topolino» ha detto un ricercatore. «Lo sai che non devi chiamarli così» gli ha risposto l’altro.

9.4.18

279.

L’altro giorno invece una signora doveva firmare lo scontrino della carta di credito, credo, o un autografo, non so, la cassiera le ha dato una penna, la signora ha firmato, poi ha reso la penna e dove io avrei detto «grazie, ecco la penna» o «grazie, le restituisco la penna che mi ha gentilmente prestato» o «grazie, le restituisco la penna con una cortesia che solo nei miei sogni più arditi si può paragonare alla misericordiosa generosità con cui lei mi ha prestato una penna nel momento del bisogno» lei ha detto «tieni, non me ne faccio niente io di questa».

4.4.18

278.

Oggi al supermercato una vecchietta mentre infilava una mezza dozzina di confezioni di petto di pollo nella busta ha borbottato «cosa mangiamo oggi? Pollo, pollo, pollo…», quindi ha chiesto alla cassiera «a lei le piace il pollo?», la cassiera ha sorriso e ha detto «ma sì, certo», e la vecchietta allora ha detto «io invece non lo sopporto».

274.

Ho letto che i tizi arrestati perché in procinto di organizzare un attentato a Roma dicevano “tagliagli i genitali”. Non so come si fa a dire una cosa simile. Tagliagli. Boh.

30.3.18

272.

A volte guardo la casa, vedo una tazza nel lavandino, un pelo di gatto sul tavolo e mi chiedo se non sia il caso di mettere in ordine, poi ripenso a quando mia zia mi ha raccontato che nel loro quartiere la gente si lamentava perché un’abitazione emanava un cattivo odore, sono arrivati i vigili, sono entrati e hanno trovato settantanove chihuahua.

28.3.18

270.

Questa notte ho letto un articolo su quell’uomo che hanno trovato mummificato nella sua casa a Venezia, il professor Baschetti. Al di là del fatto in sé, che uno muore e nessuno se ne accorge per sette anni; al di là del modo in cui forse è morto, cioè nel sonno, come quel calciatore per il quale ci sono state una commozione e una partecipazione e un’attenzione incredibili a livello nazionale e internazionale, e al di là del ritrovamento, di un vicino, sì, ma grazie al primo che è entrato in casa del professor Baschetti, cioè un ladro che però alla vista del corpo mummificato se la sarebbe data a gambe senza neanche prendere i soldi che erano lì nel portafoglio; al di là di tutti questi dettagli, dico, la storia del professor Baschetti mi ha colpito per una frase, che è l’ultima frase che ho letto ieri prima di addormentarmi, una frase riportata da una sua alunna, detta dal professor Baschetti al rientro dalle vacanze, e che è: «Scusate se faccio fatica a parlare, ma non ho parlato con nessuno per tutta l’estate».

23.3.18

265.

Perché tutto ciò che viene pensato è superfluo. La natura non ha bisogno del pensiero, dice Oehler, è solo la presunzione umana a voler proiettare ininterrottamente nella natura il proprio pensiero.

Camminare, T. Bernhard


18.3.18

256.

È morto Gillo Dorfles, centosette anni. Il 10 febbraio il Corriere gli aveva dedicato un articolo intitolato Gillo Dorfles, la mia vita infinita.

2.3.18

253.

Ieri stavo mangiando un kiwi e ho pensato: pensa il primo uomo che ha mangiato un kiwi, che giornata incredibile deve essere stata.

1.3.18

250.

L’altro giorno sono stato dal carrozziere, una persona estremamente piacevole e garbata, che se fosse un ristoratore diresti ci andrò sempre nel suo ristorante, ma essendo un carrozziere non lo puoi dire. Comunque abbiamo parlato cinque minuti della carrozzeria della macchina e venti minuti di musica, libri, cinema e scrittura. L’impressione è quella di parlare con un diplomatico o un rettore universitario. Non che abbia mai parlato con un diplomatico, io. Né con un rettore universitario. Alla fine gli ho detto che tra poco esce il mio nuovo libro. Mi ha chiesto di cosa parla. Mi ha chiesto come nasce un libro. Io ho cercato di rispondere meglio che potevo, ma sono sempre domande difficili dove nel rispondere è facilissimo fare la figura dello scemo, secondo me. Comunque alla fine ha sfilato una penna dal taschino della tuta, si è avvicinato al banco dove c’era un bloc-notes e mi ha detto: «Mi dice il titolo, che lo annoto? Vorrei leggerlo».

27.2.18

249.

Ci sono le persone che arrivano sempre in ritardo, ma ci sono anche le persone che arrivano sempre in anticipo. Io arrivo sempre in anticipo. Cinque minuti, dieci, molto più spesso venti o trenta. In aeroporto arrivo tre ore prima se devo andare dall’Italia all’estero, sei o sette ore prima se devo andare dall’estero all’Italia. Se il periodo di permanenza è breve non esco neanche dall’aeroporto: arrivo, mi faccio un giro, leggo un libro, guardo gli aerei che decollano pensando “questo qui adesso esplode”. Poi torno a casa.

25.2.18

242.

Il mio film preferito di Woody Allen, su Wu magazine di febbraio, qui.


19.2.18

238.

Un tizio mi ha detto: «Sai qual è l’unico errore che ha fatto Hitler?». «No, quale?» gli ho detto io.

13.2.18

232.

Ieri sono andato dal medico e in sala d’aspetto c’era della musica jazz, anche abbastanza alta, ti veniva proprio voglia di un bel Martini, magari abbassando un po’ le luci e, saperlo, vestirsi un po’ meglio, poi dei tavolini davanti alle sedie, posacenere e sigarette, e farlo il sabato sera, non il lunedì mattina, l’orario delle visite. C’è stato anche uno che ha detto: «C’è più musica e gente qui che al mio bar».

6.2.18

230.

Così come Dedalo e Icaro, le penne che si staccano dal figlio per fusione della cera e quello perde il remeggio e precipita in mare, il padre che volando basso sul mare non scorge altro che penne sparpagliate, Leopardi aveva opposto un’obiezione inesorabile, come fa la cera a sciogliersi se a mano a mano che si sale la temperatura scende? Questo era proprio di Leopardi, l’adesione al mito e insieme al gradiente termico verticale.

Staccando l’ombra da terra, D. Del Giudice


4.2.18