678.

Oggi ho: lavato le lenzuola. Spazzolato Gateau. Scritto dieci cartelle. Portato la macchina dal meccanico. Sbrigato la corrispondenza. Ritrovato un dvd che mi avevano prestato quattro anni fa e che credevo, giuro, di aver restituito. Impacchettato dunque il sudvdetto dvd per Natale, al fine di restituirlo al legittimo, così si dice, proprietario (benché l’usucapione, eh eh). Immaginato la felicità del proprietario nel momento in cui scartando il pacchetto si ritrova un oggetto che aveva già invece di uno che non aveva, però sappiamo come si dice, comprendi l’importanza di una cosa solo quando l’hai persa, che sarà anche ciò che scriverò nel bigliettino e sulla mia lapide. Poi. (ho) Goduto (ma chissà se la maiuscola andava lì) della bontà della mia buona azione. Immaginato di andare in paradiso, non subito. Immaginato il paradiso, Gesù che mi fa le fusa, Dio che catechizza un esercito di angeli tenendomi una mano sulla spalla e dicendo: prendete esempio! Immaginato gli angeli che mi guardano storto (i secchioni non piacciono a nessuno), io che sorrido ma ovviamente li assolvo. Ripreso la macchina dal meccanico, non abbiamo trovato niente che non funzioni, sono zero euro. Benedetto l’autofficina con aspersorio e tutto. Pensato a Virginia Woolf. Scritto una letterina a Babbo Natale in cui chiedevo di credere ancora in Babbo Natale. Pensato: troppo vento, niente pizza. Buttato le dieci cartelle.

20.12.19

677.

Mi ha chiamato la mia amica Carla per parlarmi male della mia amica Paola perché le ha parlato male del nostro amico Giorgio. Le ho detto: tu stai parlando male di Paola, però. Silenzio. Poi ha detto: touché. E ha messo giù.

19.12.19

676.

Sul nuovo numero di Wu magazine, qui, parlo del populismo coessenziale di Matteo Sardini, portavoce del sardinismo.


17.12.19

675.

«Ma di cosa è fatto, il rivestimento dell’utero?». Immaginavo qualcosa di dolce e viscoso.
«Tipo quello di cui sono fatti gli acini d’uva».
«Cioè di uva» ha risposto Amy. «L’uva è fatta di uva».
«Invece è un’ottima domanda» ha detto Lisa. «Di cos’è fatto il rivestimento dell’utero? Vasi sanguigni? Nervi?».
«Che famiglia» ha detto Hugh. «Io non mi capacito dei discorsi che riuscite a fare».
Più tardi gli ho ricordato della volta in cui sua sorella Ann è venuta a farci visita in Normandia. Un pomeriggio, tornando da un giro in bicicletta, l’avevo trovata in salotto che diceva alla madre, Joan, anche lei nostra ospite: «A te non piace da morire toccare le iguane?».
Ma chi siete?, ricordo di aver pensato. Quella sera, dopo essermi fatto il bagno, l’avevo sentita dire: «Ma scusa, non posso farlo col burro di cammello?».
Avevo pensato di chiedere ragguagli – «non puoi fare cosa con il burro di cammello?» – ma decisi che preferivo il mistero. In compagnia mi succede spesso. Non smetterò mai di domandarmi cosa intendesse l’ospite venuta da Parigi quando una sera, uscendo in giardino, l’ho sentita dire: «Magari delle mini-capre».

Calypso, D. Sedaris


13.12.19

674.

A mio padre quest’anno regalo un e-reader. Lo compro, mi arriva, al momento della configurazione mi chiede i miei libri e autori preferiti. Chiamo mia madre.
«Devi rispondere a tre domande sui gusti letterari di tuo marito, aka mio padre» le dico.
«Vai» mi dice lei.
«Allora, ti leggo le domande che mi fa qui: Qual è il tuo libro preferito?».
«Ah, sì, quello di Ken Follett sull’assassinio di Kennedy, con la data nel titolo».
«22-11-63?».
«Sì».
«È di Stephen King».
«Sì».
«Ok. Poi: Qual è l’ultimo libro che hai letto tutto d’un fiato?».
«Mettine uno di Ken Follett».
«La caduta dei giganti va bene?».
«Oh sì, quello gli è piaciuto moltissimo».
«Bene. Ultima domanda».
«Vai».
«Qual è il tuo autore preferito, dando per scontato che, essendo questa l’ultima domanda a tua disposizione, e avendo tu un figlio che scrive dei libri, sarebbe non dico obbligatorio ma quanto meno cortese, in ispecie nel periodo natalizio, dire “mio figlio”?».
Silenzio.
«Dice proprio così» aggiungo.
«Sono mortificata, Mauro».
«Non importa, mamma».
«Che figuraccia».
«Ma no».
«Sai quanto bene ti vuole tuo padre».
«Sì, lo so, lo so».
«Come ho fatto a non pensarci?».
«Dai, non fa niente».
«È imperdonabile».
«Allora, questo autore preferito?».
«Metti John Grisham».

12.12.19

673.

Questa notte ho letto del caso di un tizio che è andato in ospedale con febbre, vomito e mal di collo, all’ospedale gli hanno detto tranquillo, è una banale influenza, il tizio ha detto ah, meno male, quelli dell’ospedale gli hanno rimboccato le coperte, la mattina dopo era morto per meningite. Ho pensato: ma come si fa? Qualunque patofobico avrebbe pensato alla meningite. Così questa mattina scrivo un messaggio alla mia amica Paola, patofobica come me. Le scrivo: «Scusa, mi presento in ospedale con febbre alta, vomito, mal di collo. Cosa sospetti?». Risposta di Paola: «Meningite. Via con le manovre di Brudzinski». Mi ha fatto ridere.

7.12.19

672.

Ho portato Gateau dal veterinario per il vaccino ed ero così teso che a ogni cosa che faceva continuavo a dirgli «tu sei bravo» e «tu c’hai il bernoccolo» come Robert De Niro a Billy Crystal in Terapia e pallottole.

3.12.19

670.

Ero a pranzo dai miei, ieri. I miei è da tre mesi che danno da mangiare a un gatto grigio sbucato dal nulla, ci si sono affezionati e lo hanno chiamato Gatto Grigio, o Il Gatto Grigio, non so. Comunque. È venuto Il Gatto Grigio? Ha mangiato Il Gatto Grigio? Guarda, c’è Il Gatto Grigio. Bene, viva i gatti, grigi e no. Ieri sono lì, guardo fuori e dico: c’è Il Gatto Grigio. E i miei, tutti contenti: ah, il nostro amato Gatto Grigio! Cosa faremmo senza il nostro amato Gatto Grigio? Il Gatto Grigio è unico, lo riconosceremmo in mezzo a mille. In mezzo a mille gatti grigi. Hanno detto proprio così. Poi però guardo meglio: c’è un secondo gatto grigio, identico al primo. Sta mangiando le crocchette del Gatto Grigio, oppure è il Gatto Grigio che sta mangiando le sue crocchette e c’è un secondo gatto grigio che lo osserva. Allora dico: ma guardate che i gatti grigi sono due. I miei, impietriti. Poi: ma costa stai dicendo? Ma tu sei pazzo. Hai le traveggole. Imbecille! E io: madre, padre, vi giuro che sono due.E loro: giuralo sul Gatto Grigio, l’Unico e il Solo. E io: lo giuro. Così sbuffano, si guardano come a dire te l’avevo detto che hai un figlio deficiente, si alzano e vengono a vedere, e i gatti grigi sono senza ombra di dubbio due. E sono indistinguibili. Silenzio. Cioè, dico, per tre mesi avete avuto due gatti pensando che fosse uno solo? Silenzio. E adesso non sapete chi è Il Gatto Grigio? Silenzio. Sono tornati a sedere e non hanno parlato per un po’. Mi è venuto in mente quel film di Cronenberg, Inseparabili, che parla di due gemelli che vanno a pranzo da un uomo e una donna, tutti i giorni, a turno, così, per farli diventare scemi, il classico film di Cronenberg, insomma. Devo rivederlo.

1.12.19

669.

Stavo leggendo le domande che ci sono su Amazon relative a una stampante. Un tizio domanda: meglio la stampante laser o a getto di inchiostro? Un altro tizio risponde: Meglio un panino o un gelato? Sono domande a cui è impossibile dare una risposta intelligente. Mi ha fatto ridere.

27.11.19

667.

Ormai quando scorro le sinossi dei film che danno in tv, il mio cervello verso metà prende il comando e le completa come vuole lui. Stasera quindi in tv c’è, per esempio: Pezzi unici, con Sergio Castellitto: Vanni Bandinelli è un falegname che ha da poco perso il figlio e, come se non bastasse, la moglie lo ha lasciato. In seguito, però, gli viene un tumore, lui pensa meno male, così almeno muoio, ma il dottore gli dice: eh no! Il tumore le è venuto agli alluci, è del tipo corrosivo inarrestabile, la mangerà vivo un centimetro dopo l’altro, caro Vanni, dal piede alla caviglia, dalla caviglia al ginocchio e poi su su fino al collo, al mento, al naso, forse smetterà di provare dolore dopo il cervello. Ma non si può amputare il piede prima che tutto questo avvenga?, chiede Vanni, sconsolato (l’ha presa bene, però). Eh no!, dice il dottore, il tumore corrosivo inarrestabile è furbo, furbissimo, se tagliamo il piede riparte dalla caviglia, se tagliamo la caviglia dal ginocchio, e così via. Non potete ammazzarmi, allora?, chiede Vanni, poverino. Eh no!, dice il dottore. Perché?, chiede Vanni. Troppo comoda, caro mio. Troppo. Comoda.

24.11.19

664.

Chissà se sono l’unico che, quando guarda film di zombie, pensa che una buona soluzione per risolvere il problema degli zombie sia farsi mordere da uno zombie e diventare uno zombie.

18.11.19

662.

Stamattina prendo in mano un libro, lo giro e leggo: Un libro sui giovani, perché i giovani, anche se non sempre lo sanno, stanno male. Mi ha fatto ridere. Mi sono immaginato di essere un giovane che sta male ma non sa di stare male, poi arriva uno scrittore e mi dice: guarda che stai male. E io: grazie.

14.11.19

660.

Ieri sono uscito con Giorgio, Carla, Paola e Roberto. Abbiamo bevuto, mangiato, bevuto, bevuto. Poi siamo finiti a casa di Giorgio a guardare dei video astronomici. Ci ho pensato tutta la notte, ai video astronomici. Forse li ho sognati, prima o dopo. Quindi me li sono dimenticati. Poi oggi mi stavo chiedendo se bermi una birra o no, e, se sì, se piccola o media, mi sembravano scelte della massima importanza. Finché non mi è tornato in mente questo:


10.11.19

659.

Mia madre mi ha chiamato per dirmi che è andata al cinema a vedere l'ultimo film di Scorzese e le è piaciuto.

8.11.19

658.

A volte bevi un rosso pregiato invecchiato in una certa situazione con certe persone (tu che lo bevi, non il vino che invecchia. Ma farebbe ridere se il vino invecchiasse in salotto, su una poltrona, in compagnia di artisti e intellettuali, un po’ come quel mosto austriaco che ascolta Mozart, o le vigne toscane che ascoltano Vivaldi) e dici a te stesso di non aver mai bevuto niente di così delizioso. Lo ricompri, lo conservi inclinato al buio a temperatura e umidità costanti (rispettivamente dodici gradi e sessantaquattro per cento), in attesa di un’occasione speciale. Nel frattempo lo idealizzi, ne parli a tutti, lo ricordi, lo sogni. L'occasione speciale non arriva mai. Un giorno allora capisci che sarebbe tragico morire senza averlo più bevuto. Sarebbe tragico morire. Figuriamoci senza averlo più bevuto. Così lo apri, lo filtri, lo lasci respirare nove ore in un sanatorio sulle Alpi salisburghesi ascoltando nel frattempo la sinfonia n°41 (si sa mai), lo versi in un tulipano di alessandrite, chiudi gli occhi, lo assaggi e pensi: boh.

7.11.19

657.

Ogni padre e ogni madre sa che è sbagliato, che non bisogna contrastare il tempo che passa, ma ugualmente non resiste alla tentazione di chiedere una spanna dell’affetto che gli spettava fino a pochi anni prima. Affetto che era abbondante e incontestabile, pareva eterno. In fondo somiglia alla tentazione del ritocco di chirurgia estetica: un modo, anche quello, di combattere a mani nude contro il tempo. Quando è toccato a me, di essere padre e vedermi sgusciare via un figlio, ho cercato di fare il disinvolto. Una volta, lasciandolo a scuola e vedendolo ritrarsi al mio tentativo di bacio di fronte ai compagni, gli ho detto: «I tuoi amici cosa credono, che a scuola ti accompagni uno dei servizi sociali?».

L’estate del ’78, R. Alajmo


4.11.19

656.

Ieri con i miei amici Carla, Paola e Giorgio – o le mie amiche Carla, Paola e Giorgio – sono andato al cinema a vedere Il mio folle amore, di Gabriele Salvatores, il regista noto per aver vinto un Oscar nel MCMXCII. Il film racconta la storia di una persona con dei problemi mentali che intraprende un viaggio che le farà capire – o lo farà capire a quelli che le stanno intorno, o agli spettatori – tante cose, cose che però io purtroppo non ho capito, non sono nemmeno sicuro di aver capito chi, dei quattro personaggi, fosse la persona con i problemi mentali, e di conseguenza chi aiutava chi a capire cosa e quando e, be’, e se. Detto così sembra un film complesso ma in realtà potete andarci se siete o conoscete persone standard, è, diciamo, una versione ipersemplificata di Rain man, solo che: non c’è Tom Cruise, non c’è Dustin Hoffman, la persona problematica non ha qualità matematiche e dunque non farà vincere a Tom Cruise un mucchio di soldi al casinò (al di là del fatto che non c’è Tom). Curiosamente, però, in entrambi c’è Valeria Golino. Sei bella e brava, Valeria, voto 9 solo per questo (su 100).

2.11.19

655.

Sul nuovo numero di Wu magazine, qui, elogio una piccola ambientalista e le sue neanche troppo sofisticate tattiche per marinare la scuola.


31.10.19

654.

Ho notato che non importa quanta pizza mangi e quanta birra beva, resto magro. Anzi tendo a perdere un decimo di chilogrammo ogni tre settimane, quindi forse ho una malattia, non sto peccando di hỳbris, non intenzionalmente almeno. Vorrei ingrassare, mi sentirei più tranquillo. Poi faccio così: la sera mi riprometto: porca puttana, domani insalata, verdure, jogging, preghiere, buone azioni. Il giorno dopo mi sveglio e va tutto bene fino più o meno all’ora dell’aperitivo, quando mi scrivono sempre un messaggio Carla o Paola o Giorgio che mi dicono: birretta? Sono corrompibilissimo. Chiudo gli occhi e mi connetto con Gesù. Gli dico: Gesù, dammi la forza di rifiutare. Non me la dà. Così scrivo: arrivo. E dopo sei minuti stiamo ordinando dodici medie alla volta come se avessimo vinto Le Mans. Poi pizza. Prosciutto, würstel, funghi, acciughe, la mia preferita, innaffiata da un blanc de blancs del 2008 di cui non sentiamo praticamente nulla. Molto delicato, conveniamo, visto il prezzo. La serata termina a casa di qualcuno a guardare fino alle due del mattino obesi che mangiano quattro chilogrammi di Macine e bevono mezzo litro di Svelto all’aceto su YouTube. Poi un salto in chiesa, buoni propositi, una briscola col prete, quindi a nanna.

28.10.19

653.

«Perché Moira non è venuta?» ho chiesto piano, in modo che mio fratello non sentisse.
«Non vuole vivere in un villaggio» ha detto nostra madre.
«Come mai?» ho chiesto.
«Evidentemente non è stupida quanto sembra».

Un uomo al timone, N. Stibbe


26.10.19

652.

Questa notte invece ho corretto un articolo del Corriere. Correggere gli articoli è uno dei miei passatempi preferiti. L’articolo originale era zeppo di sentimentalismi, poetismi e narrativismi poco adatti all’argomento: l’uccisione di una persona. Originariamente era di 952 parole, dopo il mio intervento è di 245, ma volendo si poteva scendere a 30, forse a 6. Tra le altre cose, ho tolto: C’è il sangue sulle strisce e la vita tutta attorno. Morte e vita non andrebbero mischiate. Dunque si può morire sentendosi vivi come non mai. Chiacchiericcio indolente. Autunno così dolce da passeggiare, da farci l’amore. Morte assurda. Spazio-tempo diverso, dove il male comanda (troppi film degli Avengers?). Antropologo delle voragini cittadine. Mondo di là, quello dei mostri. Le vocine e le risate di cristallo dei bambini. Usciti fuori. Poi mi sono addormentato.

25.10.19

651.

Questa notte ho letto un’intervista a Brad Pitt (sono lunghe, le notti) in cui diceva di aver dovuto rinunciare «al privilegio del bere» e che per farlo ha frequentato per diciotto mesi gli alcolisti anonimi. Mi sono immaginato Brad che dice: salve, mi chiamo John e sono un alcolista anonimo. E tutti che che dicono: ciao John. E poi lui racconta le sue storie e tutti pensano: povero John. E poi tocca a un altro.

24.10.19

650.

Ho dovuto ammettere che la solitudine è una delle dieci peggiori cose immaginabili e si può trasformare facilmente in infelicità e scrittura drammaturgica, e questo bisognava assolutamente evitarlo.

Un uomo al timone, N. Stibbe


22.10.19

649.

Mio padre ha preso una stufa. È orgogliosissimo della sua stufa, ci butta dentro tutta la legna o il carbone o il combustibile che trova, fa delle fiamme incredibili, la stufa, che escono da tutte le fessure rendendola luminescente e conferendole un caratteristico aspetto infernale. In casa dei miei oggi c’erano trentuno gradi, secondo il termostato. Sono entrato e ho cominciato a spogliarmi. Fa caldo, ho detto. Mio padre era sul divano con un Tex. Credo stia cercando di ricreare il clima che c’è nella Death Valley. Non sarebbe strano se un giorno arrivasse un camion e scaricasse una tonnellata di sabbia in salotto, poi mancherebbero soltanto gli scorpioni. Secondo me è a tanto così dal prendersi un cavallo. Ho messo su un legnetto stamattina alle sette, mi ha detto. È molto potente la tua stufa, gli ho detto asciugandomi il sudore con un fazzoletto e bevendo un sorso di whisky. Era contentissimo. Faceva così caldo che mi è venuta la blefarite. Sono sceso di sotto, dove mia madre stava cucinando. Di sotto tutte le finestre erano aperte, anche il freezer, c’erano diciotto gradi. Nella pentola c’era del montone. Credo che la questione stufa gli sia sfuggita di mano, le ho detto. Lei, tutta sudata, mi ha guardato e mi ha detto: ascolta, se impazzisco mettimi al ricovero, ok?

18.10.19

648.

Poi la felicità finì.

Vicino al cuore selvaggio, C. Lispector


17.10.19

647.

Oggi, nella cartella 2019, sono incappato in un documento Word intitolato Idee. Ah, ho pensato, vediamo un po’. Lo apro. Vuoto.

15.10.19

645.

Che sciocco che sono, giacere qui, in segrete puzzolenti, quando potrei andarmene in giro in libertà. Ho una chiave nel mio cuore, chiamata promessa. Che aprirà, ne sono persuaso, ogni serratura del castello del dubbio. Sebbene in uno stato oscuro e tetro, egli muta l’ombra di morte in aurora.

Knight of cups, T. Malick


13.10.19

642.

È diventato virale un video di un polpo che sogna. «Gli scienziati hanno detto di andarci cauti prima di dire che i polpi sognano come noi» dice il giornale. Invece sembra che gli scienziati dei polpi stiano festeggiando: «Sogniamo esattamente come loro, ragazzi, se non meglio! Infatti mentre dormiamo cambiamo pure colore». Gli scienziati umani: «Piano prima di dire che è un reale cambiamento di colore, e poi lo facciamo anche noi umani quando arrossiamo o quando ce la facciamo addosso». Sempre così. Anni fa, lo ricorderete, c’era un polpo che ha azzeccato tutti i pronostici del mondiale di calcio. Anche lì, gli scienziati: «Piano a dire che è in grado di prevedere il futuro». Ma il polpo: «Ehi, dove sono i miei soldi? La Polonia pagava nove a uno». Poi è misteriosamente morto. «Fatto sparire!» titolavano i quotidiani polpeschi (sanno anche scrivere, ovviamente, essendo dei calamai ambulanti). Vedremo.

9.10.19

641.

Ieri ho catturato una cimice con il metodo della bottiglia. Il metodo della bottiglia, che mi hanno insegnato tempo fa, è infallibile e permette di catturare la cimice senza ucciderla e senza che appesti l’ambiente. La cimice, dopo ventiquattro ore nella bottiglia che le sono servite per riflettere su quanto aveva fatto (ma cosa aveva fatto, poi? Voleva solo starsene al caldo, poverina), andava liberata. Avete mai guardato una cimice negli occhi? Sembra quasi umana, benché non molto intelligente. Purtroppo pare che sia un problema per i gatti, quindi o la bottiglia o la schiaccio con la suola della scarpa. Bottiglia, dunque. Quando dovevo uscire, allora, sono uscito con la bottiglia con dentro la cimice. Ovviamente ho incontrato tutti quelli che non dovevo incontrare: la barista che mi piace, la tizia che mi piaceva al liceo, una persona che aveva una sete incredibile, il camion della raccolta della plastica, una mantide religiosa. Tutti attratti dalla bottiglia. Che hai lì dentro? Aria, ho detto io. Be’, alla fine salgo in macchina e metto la bottiglia sul sedile del passeggero dicendo alla cimice: adesso ti libero, ok? La cimice muove le antenne, credo siano antenne, come a dire: gracias. Vuoi che metta qualcosa, durante il viaggio? Portishead, por favor, mi fa. Ok. Tutto liscio finché: mi ferma la polizia. Butto la bottiglia dietro, non volevo pensassero (scoprissero?) che sono pazzo. Buongiorno agente, tutto ok? No, tutto ok lo devo verificare io, se permette, mi fa l’agente. Mamma mia, che caratterino!, gli dico. Intanto presentiamoci, io sono… lì arriva il collega. Qualche problema?, chiede. Eh, sapesse… dico io. Questo è scemo, fa l’altro. Nel caso specifico, intendo, chiede il secondo. Lo guardo fingendo di non capire. Nell’abitacolo, qui, ora, dice lui spazientendosi. No no, dico io. Mi fissa. Sono in arresto?, chiedo. Dipende, mi fa lui, ha qualcosa da dichiarare? Sì, dico, secondo me le dinamiche… Intendo se ha commesso dei reati, mi interrompe l’agente. Lo guardo senza dire nulla. C’è solo lei in questo veicolo, signore?, mi chiede. Gelo. Sono l’unico sopra il chilogrammo, dico alla fine. Sopra l’ettogrammo, mi correggo. Errore, mai parlare di ettogrammi e chilogrammi in presenza di agenti delle forze dell’ordine. Scenda dal veicolo, per favore, mi fa, puntandomi la pistola in faccia. Non so come ne sono uscito, onestamente, ma dieci minuti dopo stavo liberando la cimice in un prato, quello di casa dei miei. Porca troia, Mauro!, mi fa mio padre.

8.10.19

640.

Un tempo avevo un attore che fu condannato all’impiccagione per aver rubato una pecora – o un agnello, non ricordo – così ottenni il permesso di farlo impiccare nel bel mezzo di una tragedia. Dovetti cambiare un po’ la trama, ma pensavo che sarebbe stato d’effetto, capite… eppure, voi non ci crederete, ma non era convincente! Non si poteva non essere increduli, non faceva altro che gridare, completamente fuori dal personaggio, se ne stava lì in piedi e gridava. Mai più. Il pubblico sa cosa aspettarsi e non è disposto a credere ad altro.

Rosencrantz e Guildenstern sono morti, T. Stoppard


6.10.19

639.

Oggi ho: lavato le lenzuola, pulito mezza finestra con un pezzo di carta assorbente, raccolto la farfallina morta a cui ieri avevo detto «non ti uccido, mi fai compagnia», cambiato la sabbia a Gateau – mi spiace sempre un po’ quando poi ci caga, per dieci minuti è stato il mio piccolo giardino zen –, sognato di scrivere, parlato con Siri in spagnolo, letto Guadalupe Nettel, ricevuto per errore un messaggio di mia madre che diceva «apparizioni madonna», bevuto birra, pensato a Amy Winehouse, immaginato un mondo migliore.

5.10.19

638.

Ieri sera ho visto The mule – Il corriere, in cui un novantenne denutrito e razzista somigliante a Clint Eastwood interpretato da Clint Eastwood accetta di fare il corriere della droga per un cartello messicano (mai che sia un cartello svedese o svizzero), ma dopo molte vicissitudini tutte piuttosto noiose viene infine fortunatamente arrestato dagli stupidi (nei film di Clint Eastwood è intelligente solo lui) agenti della DEA Bradley Cooper e Lady Gaga. Non mi è piaciuto, ma almeno ho smentito chi dice che imparare lo spagnolo sia inutile: capivo tutto quello che dicevano i narcotrafficanti: finocchio, ti uccido, muoviti, capo, per favore (solo quando stanno per essere ammazzati da narcotrafficanti più cattivi).

4.10.19

637.

Stasera giovedì, quindi film. Anche domani, comunque. Sabato invece no: cardiologo. No, scherzo. Film anche sabato. Domenica vado da Giorgio a vedere Juventus-Inter, se nel frattempo la moglie di Giorgio si trasforma da donna che odia il calcio compreso il calcio femminile a donna che ama o anche solo tollera il calcio. Ma forse è una scusa e alla parola calcio dobbiamo mettere la parola “Mauro” (e togliere l’articolo, e aggiungere il cognome per sicurezza, meglio il codice fiscale). O se nel frattempo si lasciano. Spero sempre che i miei amici si lascino, così posso aumentare le mie serate al pub e nel frattempo provarci con tutte le loro ex fidanzate e mogli nelle sere in cui appioppano agli ex fidanzati e mariti i figli, speriamo non leggano questo taccuino, altrimenti scherzo, amici. Oppure, domenica, viene Giorgio da me. Più realisticamente Giorgio mi bidonerà con una scusa tipo: il calcio non mi interessa più così tanto, preferisco Temptation island o, che so, costruire delle sedie con le mollette. Lunedì film. Perché scrivi dei libri e non dedichi mai una serata alla lettura?, mi ha chiesto una volta una vecchietta, mia fan, al Basko. Perché leggo già tutto il giorno, cara signora, le ho risposto. Se non avessi l’osteoporosi ti spingerei via dicendo «ma va’ là!», ma ce l’ho, le ho detto poi. Comunque quando mi annoio moltissimo metto una maglietta verde e vado al Basko, mi chiedono tutti dove sono le cose, e il bello è che lo so. Oggi ho chiesto al mio amico Roberto, che ci lavora, se mi posso mettere un adesivo con la scritta Basko, lui ha detto sì. Mi è simpatico Roberto, mi chiede sempre a che punto è il nuovo libro e come sta la gatta, penso sia una persona altruista, io non gli chiedo mai a che punto è il suo supermercato e come stanno i suoi gatti, forse sono egoista, devo cambiare, così quando muoio se mi ritrovo al cospetto di Dio e lui mi dice sei stato egoista io gli dico ma per favore. Martedì film, ovviamente. Mercoledì coppe europee o Chi l’ha visto, dipende. Vorrei approfittare per chiedere alla Rai di ricominciare a trasmettere Telefono giallo, quando ero piccolo ero stupido e non capivo quanto fosse bello. A che giorno ero? Ah sì, Giovedì. Giovedì film.

3.10.19

636.

Ieri notte invece, sempre alle 4, tra le altre cose sono finito su un forum di pizzaioli. A un certo punto uno ha detto: «La consistenza dell’impasto deve essere quella del seno di una ragazza». Ci ho pensato tutta la notte, finché non mi sono riaddormentato, e il giorno dopo, mentre osservavo il braccio dell’impastatrice che rivoltava la massa appiccicosa di acqua, farina e lievito, ho pensato: boh, chissà che ragazze ha avuto, quello là.

2.10.19

635.

Questa notte alle 4 ero sveglio e mi sembra di aver letto un’intervista a Rovazzi. Ha detto: penso di avere una delicatezza verso le cose. Poi ha detto: faccio stories. Poi ha detto: non me ne frega nulla dei like. Poi ha detto: gestisco la creatività delle campagne pubblicitarie. Poi ha detto: l’obiettivo è tirare fuori un prodotto che sia il più bello possibile. Poi ha anche detto che lo share può essere un modo di comunicare con l’aldilà, precisando: sono serio. Poi ha detto: sto lavorando a un progetto impegnativo e ambizioso (e chi non ci sta lavorando, Rovazzi?) ma non ancora concreto (quindi stai giocando alla Play). Poi ho cercato le istruzioni per far lievitare l’impasto della pizza in frigo. Poi mi sono riaddormentato.

30.9.19

631.

Due blogger che nel 2017 avevano lasciato il lavoro e cominciato a girare il mondo «per provare che le nazioni considerate off limits sono sicure per i turisti», leggo stamattina sul giornale, sono stati arrestati dalla polizia iraniana mentre «facevano volare il loro drone» e sono ora rinchiusi «nel terribile carcere di Evin».

12.9.19

630.

Su questo numero di Wu magazine, qui, consiglio a Leonardo DiCaprio di lasciar perdere l’Amazzonia: sono solo alberi.


11.9.19

627.

Dopo tanti film inutili con delle trame ridicole, finalmente stasera trovo il film con quella perfetta:

John Wick: Dei tizi uccidono il cane a Keanu Reaves e allora lui li ammazza tutti (72 morti).

6.9.19

626.

Oggi mia madre è passata a bere il caffè.
«Allora, mamma, traduci questa… yo trabajo en una oficina».
«Be’, io lavoro in una officina».
«Ah!» faccio io battendo la mano sul tavolo. «Tranello!».
«Ma…».
«Io lavoro in un ufficio» dico alzando l’indice.
«Ahh… sembrava proprio…».
«Sì, scusa, erano molto simili. Proviamo questa: yo trabajo para un negocio».
«Io lavoro per un…» comincia a dire, poi si ferma.
Le sorrido.
«Dai, non avere paura» la incoraggio. Poi la guardo cercando di trasmetterle un senso di protezione, focolare domestico, profumo di torta alle mele appena sfornata, cioccolata calda e vecchie puntate dei Jefferson.
«Io lavoro per un…».
«Negocio» dico allargando le braccia. «Negocio» ripeto mostrando i palmi. «Negocio» sussurro.
«Io lavoro per un… negozio?».
«Ah!» dico battendo la mano sul tavolo.
«Tranello» dice lei, sconsolata.
«Io lavoro per un affare».
«Difficile, lo spagnolo».
«Eh sì. Ultima?».
«Devo andare».
«Ultima, dai».
«Va bene. Basta tranelli, però».
«Ok».
«Facile, eh?».
«Facilissima, guarda: me duele una gamba».
Lei mi guarda, impassibile.
«Dai, più facile di così. Me duele una gamba» le dico toccandomi una gamba e facendo delle smorfie di acuta sofferenza.
«Mauro, se gamba non vuol dire gamba mi arrabbio».
«Ma secondo te?».
«Mi fa male una gamba».
«Ah ah ah,» rido scuotendo la testa «non ci posso credere» le dico.
«Non vuol dire gamba».
«Ah ah, no… vuol dire gamberetto, mi dispiace. La traduzione corretta era: mi fa male un gamberetto».
«Vado» dice, alzandosi.
«Ah ah. Non te la prendere, dai!» le dico, ma lei se ne va.
Per adesso non ho trovato altri modi interessanti di utilizzare lo spagnolo.

5.9.19

625.

Ieri sono uscito a bere una birra con la mia amica Carla. A un certo punto le squilla il cellulare, lì sul tavolino. Noto che gli dà un’occhiata ma niente più. Il cellulare suona per un po’, io continuo a dire quello che stavo dicendo, Carla continua ad ascoltare. Il telefono continua a squillare e qualcuno degli altri tavoli ci lancia occhiate insofferenti. Carla intercetta lo sguardo di un tizio col cappellino e porgendogli il cellulare gli fa: vuoi rispondere tu? Il tizio col cappellino si gira e finge che la cosa non sia mai accaduta, ma è accaduta. Alla fine Carla risponde. Sì, dice, sì, ok, sì, bravo, adesso però sto facendo l’aperitivo. Eh? Con un amico. No che non lo dico per farti ingelosire. Mi porge il cellulare e fa: di’ ciao. Io mi avvicino al cellulare e nel modo più gioioso e irritante possibile dico: ciaooo. Visto?, riprende Carla. Mm. Mi hai chiamato per questo? Bravo. Adesso se non ti dispiace torno al mio aperitivo, ok? Sì, sì. Ciao. E mette giù. Nuovo amichetto?, le chiedo. Lei sorride. Se lo tratti così però mi sa che ti molla. Qui si mette proprio a ridere. Poi torna seria e mi fa: purtroppo con certa gente bisogna usare il bastone e la carota, caro mio, e la carota ti serve solo nel caso ti venga fame mentre usi il bastone. Amen, le dico sollevando il bicchiere. Amen, risponde Carla sollevando il suo.

3.9.19

624.

Dovrebbe essere proibito prendere in giro chi si avventura in una lingua straniera. Una mattina, mentre per sbaglio ero sceso dalla metro in una stazione azzurra uguale alla sua, con un nome che somigliava alla stazione vicino a casa sua, le telefonai dalla strada e le dissi: arrivando lì sto quasi. Mi resi conto immediatamente di aver detto una stupidaggine, perché la professoressa mi chiese di ripetere la frase. Arrivando lì sto quasi… C’era forse qualche problema con la parola quasi. Solo che, invece di farmi notare l’errore, me lo fece ripetere, ripetere, ripetere, e poi scoppiò in una risata che mi fece sbattere giù il telefono. Quando mi vide alla porta di casa sua la colse un altro attacco, e più tentava di trattenere le risate nella bocca chiusa, più le tremava il corpo intero. Alla fine mi disse di aver capito che sarei arrivato a poco a poco, prima il naso, poi un orecchio, poi un ginocchio.

Budapest, C. Buarque


30.8.19

622.

Stavo scegliendo un film da guardare. Ecco le sinossi che ho valutato e il punto esatto in cui ho smesso di leggerle, scartando il film:

Il ragazzo che catturò il vento: Ispirandosi a un libro di scienze, il tredicenne William Kamkwamba

The last summer: Adolescen

Lazzaro felice: Quella di Lazzaro, un contadin

Alaska: Fausto e Nadine si incontrano per la prima volta in un grande albergo di Parigi, scoprendosi fragili

Room: Il film racconta la straordinaria storia di Jack, un bambin

Punto di non ritorno: Un documentario del 2016 diretto da Fisher Stevens sul cambiamento clim

Il racconto dei racconti (basterebbe il titolo): Nel 1600

Perfect day: I protagonisti di questa movimentata avventura sono quattro operatori umanitari

Good time: Connie, deciso a ritrovare il fratello finito in carcere per una rapina in banca andata male – ah, pensavo fosse andata bene –, inizia una scellerata odissea nel sottobosco criminale di New York, nel disperato tentativo di tirare fuori il ragazzo handicapp

The Words: Bradely Cooper al fianco di Jeremy Irons e Dennis Quaid in un avvincente dramma sull’arte della narrazione. Un aspirante romanzier

A casa nostra: Il mondo della politic

A star is born: Bradley Cooper al fianco di Lady Gaga e Dennis Quaid in un avvincente dramma sull’arte della canzone. Un’aspirante cantant

Badla: Una giovane donna accusata di aver ucciso il marito ingaggia un noto avvocato, affinché scopra la verità. Ma più l'uomo avanza nelle indagini, più le cose si complicano. (Qui penso: «Questo va bene, dai, lo guardo». Lingue disponibili: Sanscrito).

Alla fine ho scelto di guardare per la nona volta Gli spietati (Sinossi: Ancora una volta, sembra incredibile ma è così, qualcuno commette lo stupido errore di far incazzare Clint Eastwood).

23.8.19

621.

Oggi ho usato un metro che mio padre mi ha prestato nove anni fa. Sul metro, con il pennarello, c’è scritto: PIETRO.

22.8.19

620.

«Ha portato il suo blocco degli incubi?» chiese la dottoressa Tuttle, sedendosi alla sua scrivania.
«L’ho dimenticato a casa» risposi. «Gli incubi sono peggiorati, però» mentii. In realtà erano diventati meno intensi.
«Me ne racconti uno, così posso aggiornare il file» disse la dottoressa Tuttle, estraendo un faldone. Sembrava sfatta e accaldata, ma non disorganizzata.
«Be’…». Scavai nel mio cervello in cerca di qualcosa di inquietante. Mi venivano in mente solo le trame dei film orrendi che avevo visto di recente. «Ho avuto un incubo in cui mi trasferivo a Las Vegas e conoscevo una sarta e facevo lap dance. Poi incontravo un vecchio amico che mi dava un dischetto pieno di segreti governativi e venivo sospettata di omicidio e l’NSA mi inseguiva e invece di regalarmi una Porsche per Natale, una squadra di football mi lasciava in mezzo al deserto».
La dottoressa Tuttle annotò tutto coscienziosamente, poi alzò la testa, in attesa che proseguissi.
«Così mi ero messa a mangiare sabbia per cercare di uccidermi invece di morire di disidratazione. Era terribile».
«Inquietante» disse la dottoressa Tuttle.

Il mio anno di riposo e oblio, O. Moshfegh


19.8.19

618.

Sono andato a una cena con delle persone. Coppie. Avevano tutte dei bambini. Uno, due, tre, quattro bambini almeno. Centinaia di bambini. I bambini ronzavano allegri intorno a noi come zanzare. Anche le zanzare ronzavano allegre intorno a noi come zanzare. Alcuni bambini cavalcavano alcune zanzare. Altri volavano trasportati da centinaia di zanzare, poi venivano sganciati da qualche parte. Cadevano urlando e facendo esplodere tutto. A un certo punto un adulto ha tirato fuori delle salviettine antizanzare e le ha distribuite a tutti i presenti. Abbiamo cominciato a strofinarci nella speranza che le zanzare ci lasciassero in pace. Ho detto a un padre: «Non sarebbe male se facessero delle salviettine antibambini». Lui mi ha guardato e mi ha detto: «Come?». Allora io: «Salviettine antibambini». Lui: «Perché?». Allora io: «Per non farci pungere dai bambini». Lui: «Scusa, non capisco». Allora io: «Salviettine antibambini per non essere infastiditi dai bambini». Poi è arrivato il dolce.

16.8.19

616.

Ho seguito la conferenza stampa di presentazione del difensore brasiliano Danilo, nuovo acquisto della Juventus, squadra per la quale io e Gateau facciamo il tifo. Alla domanda «perché hai scelto la maglia numero 13?», Danilo ha risposto «credo molto nella numerologia e il 13 parla della morte».

14.8.19

615.

Non li seguii, preferendo fermarmi in uno dei bar sulla Riva degli Schiavoni, dove bevvi il primo caffè della giornata, lessi a fondo «Il Gazzettino», presi qualche appunto per un saggio su re Ludwig a Venezia e sfogliai il Diario del viaggio in Italia di Grillparzer, relativo all’anno 1819. L’avevo comprato ancora a Vienna perché, viaggiando, non di rado provo sensazioni analoghe a quelle di Grillparzer. Come a lui, anche a me nulla procura piacere, sono immensamente deluso da qualsiasi attrattiva, e – mi dico spesso – avrei fatto meglio a rimanere a casa con le mie carte geografiche e i miei orari ferroviari. Perfino a Palazzo Ducale Grillparzer tributa un’assai scarsa considerazione. Nonostante la grazia artistica di merli e arcate, così scrive, Palazzo Ducale ha un corpo informe e gli rammenta un coccodrillo. Come giunga a questo paragone, non sa dire.

Vertigini, W.G. Sebald


13.8.19

614.

Sono andato dal dottore, gli ho detto che mi faceva male una gamba, gli ho indicato dove. Mm, ha detto lui, poi ha aperto Google e ha digitato qualcosa. Sullo schermo sono apparse diverse immagini anatomiche della gamba, il dottore ne ha aperta una, molto elementare, stilizzata. Mm, ha detto osservandola con attenzione, vediamo un po’.

12.8.19

613.

Ieri sera cercavo dei video di jet che sbagliano ad atterrare su una portaerei e si schiantano, esplodono o finiscono in mare o tutte e tre le cose. Purtroppo la prima volta che vedi atterrare un jet su una portaerei pensi wow, la seconda volta pensi mm, la terza pensi: schiantati. L’essere umano è così.

11.8.19

612.

Leggo invece che Alessia Marcuzzi, nota ufologa, ha rivelato all’importante rivista scientifica Oggi di aver visto, da bambina, un disco volante. Allarmato, ma anche un po’ eccitato (forse però questo solo a causa della foto delle gambe della Marcuzzi a corredo dell’articolo), ho contattato telepaticamente il cugino del mio amico Giorgio, che è uno scienziato che di lavoro studia le galassie, lo stesso che mi aveva aiutato a fare chiarezza sulle rivelazioni del noto rivelazionologo Marco Columbro, sempre in merito all’avvistamento di ufo, extraterrestri e, se non ricordo male, del participio passato del verbo prudere nel deserto di Acatama, e gli ho chiesto: «Scusa, ma Alessia Marcuzzi sostiene di aver avvistato un disco volante. È possibile?».
«No» mi ha risposto.

7.8.19

611.

Mia madre mi ha detto che una volta ha scritto al Gabibbo. E che lui le ha risposto. Benché abbia provato a raccontarmi tutta la faccenda, non ho voluto sapere altro: so già quando una storia è perfetta. «Giusto una cosa» le ho detto. «Come si è firmato?». Lei mi ha guardato come se non capisse il senso della domanda e poi, alzando leggermente le spalle, ha detto: «Gabibbo».

6.8.19

610.

Volevo dire alle persone che abbandonano i gattini che no, belli, non finisce mica qui. E anche voi, che abbandonate cagnolini, è inutile che tiriate un sospiro di sollievo dicendo ah per fortuna che ha detto gattini e non cagnolini. Non finisce qui nemmeno per voi. Adesso siete in vacanza e vi sembra che tutto fili per il verso giusto, senza quel tenero gattino pulcioso forse giusto un po’ vivace che voleva solo essere amato e che aveva l’unica colpa di aver scelto, per essere amato, dei catarri umani come voi, ma poi il tempo passa e un giorno sarete in un letto d’ospedale pensando sono troppo giovane per morire, e a quel punto arriverà il dottore, un gattino (forse quello stesso gattino?!) travestito da uomo, con il camice lo stetoscopio e tutto, e reggendo una cartella medica vi dirà: no, lei non è affatto troppo giovane per morire, anzi lei è dell’età perfetta, l’età che cercavamo, anche se, be’, miao, certo, ops, mi scusi, certo, dicevo, lei è in un certo senso troppo giovane, infatti morirà tra trentanove giorni, dopo atroci sofferenze, prrr, prrr, prrr, mi scusi, atroci sofferenze, dicevo, peccato, no? La saluto. Voglio un secondo parere!, griderete voi, straziati dal dolore, e allora arriverà un secondo medico, un cagnolino travestito da uomo, con il camice e le biro nel taschino e tutto, e dirà bau bau, è un peccato che lei debba morire lasciando qui i suoi cari, no?! Eppure è proprio così che andrà! Addio!

5.8.19

609.

Ho appena scoperto che esiste una malattia che si chiama Insonnia fatale. Sembra il titolo di un brutto film di Hollywood: «Lei soffre di Insonnia fatale, con Bruce Willis e Jennifer Lawrence». Tra l'altro non lascia molto spazio all'immaginazione, né alla speranza: «Lei soffre di insonnia fatale». «Oddio, mi devo preoccupare?». «Solo se ama dormire e vivere». Comunque funziona così: a un certo punto non riesci più a dormire, poi, in un periodo che va dai sette ai settantatré mesi, muori.

2.8.19

606.

Ilan mi chiamava spesso la sua bibliotecaria polverosa. E una volta mi chiamò la sua Svevia Interiore, gli sembrava divertentissimo, e nemmeno Jacob parve capire perché. Ilan faceva un sacco di battute che mi sfuggivano. Ma aveva quel viso bello, e i pantaloni gli cadevano così bene, e gli piaceva pontificare con Jacob su quanto io fossi intelligente dopo che, magari, per il nervoso avevo piegato il tovagliolo in un modo che trovava speciale. Nel periodo che frequentai quei due non combinai davvero un bel niente, né con lo studio né con le letture. Quello che voglio dire è che furono i giorni più felici della mia vita.

Innovazioni americane, R. Galchen


31.7.19

605.

Ho letto che in ottobre uscirà un libro di Sandro Veronesi che si intitola Il colibrì. Mi ha fatto ridere. Mi sono venuti in mente Il cardellino, di Donna Tartt e L’astore di Terence Harbury White. Ho pensato che forse allora potrei scrivere, non so, La cinciallegra. Mi sono poi chiesto se esistessero altri romanzi con nomi di uccelli e ho trovato: La cinciallegra (!), di Aldo Cervo (chissà se esiste Il cervo, di Alda Cinciallegra), e La cinciallegra (!), di Nella Mariani; L’airone, di Giorgio Bassani; Colomba, di Prosper Mérimée; Il pettirosso, di Jo Nesbø e, be’, poi mi sono stufato. Per non parlare di tutte le variazioni, da il Pappagallo di Flaubert, di Julian Barnes (ma speravo di Flaubert) al Diario di rondine, di Amelie Nothomb. Alla fine non ne sono rimasti molti disponibili, di uccelli. Chissà se qualcuno ha scritto qualcosa sul beccamoschino, mi sono chiesto. Non ci crederete, ma sì, c’è Il beccamoschino, di John McPhee. Ma no, scherzo, povero McPhee. Va bene, mi sono detto, allora scriverò Il beccamoschino, è deciso. Forse Il beccamoschino di Julian Barnes, ora che ci penso.

30.7.19

604.

Stavo leggendo le recensioni online a Colazione da Tiffany di Capote. Una tizia dice: «Partiamo dal titolo: Colazione da Tiffany. Perché? Come apprendiamo dalla lettura del libro, Tiffany non è un posto in cui si fa colazione». Non fa una piega, ho pensato.

29.7.19

603.

Ho visto First man, la versione noiosa e sentimentalistica del primo allunaggio (da parte dell’uomo). Per pochi istanti, nella parte del classico coglione che considera sprecati i soldi delle missioni spaziali, c’è, sorprendentemente, Kurt Vonnegut. Il vero Kurt Vonnegut, con baffi e tutto. Sostiene che avrebbe usato quei soldi per rendere New York più vivibile. Mi ha fatto ridere. (Lo avevo detto che non mi convinceva).

28.7.19

602

Ricordo la volta che sei andata a passeggio senza scarpe, che serata! Portavi, mi ricordo, il tuo vestito di seta grigio colomba, un cappellino coi fiori, e scendesti lungo il viale con la grazia di una vera signora. Credo che ci fossero delle castagne per terra: tu ti lamentavi che sotto i piedi sembravano pietre. Io mi misi a quattro zampe e strisciai davanti a te, spazzando via con le mani le castagne dal marciapiede. Che serata! Tu dicevi che ero uno spettacolo assurdo, e un signore che passava nella direzione opposta, ricordo che portava ghette gialle e scarpe gialle, sorrise. La signora che lo accompagnava allungò la mano per darmi un buffetto sulla testa, ma lui le afferrò il braccio e glielo impedì, e i miei pantaloni si strapparono sulle ginocchia per via di una crepa del marciapiede. Quando tornammo a casa, quella sera, stavano accendendosi le luci per le strade, e proprio allora cominciavano a venir fuori gli insetti. E tu dicesti che la prossima volta, se ci fosse stata una prossima volta, ti saresti messa le scarpe. Anche se ti avessero fatto male da morire, dicesti. E io dissi che sarei stato sempre là pronto a spazzar via le castagne, qualunque cosa accadesse, ma anche se non fosse accaduto nulla. E tu molto probabilmente dicesti che andava bene. Io ero sempre stato là pronto, tu dicesti. Bello da parte tua essertene accorta. Allora pensai che probabilmente non c’era nessuna meglio di te al mondo, in nessun posto. E volevo dirtelo, ma non lo feci.

Ritorna, dottor Caligari, D. Barthelme


24.7.19

601.

L’altro giorno mentre ero al supermercato vedo una donna bellissima. In cinque minuti mi immagino tutta la nostra storia. Lei che viene da me e mi dice: ti ho notato, mentre sceglievi le albicocche. Io che le dico: anch’io ti ho notato, mentre sceglievi le fragole. Allora lei: e cosa hai notato? Allora io: che sei bella. E lei: tu sembri molto intelligente, invece. E io: mm. E lei: e bello. E io: per fortuna… a cosa serve l’intelligenza quando hai la bellezza? E lei: ah ah. Senti, perché non prendiamo una bottiglia di champagne e andiamo a casa tua. E io: perché non a casa tua? (Non avevo passato l’aspirapolvere). E lei: non ce l’ho una casa, vivo in una scatola di cartone alla stazione degli autobus. (Mm. No). E lei: ma certo. E io: però dovremmo andare in enoteca a prendere lo champagne, qui hanno solo del Veuve. E lei: voglio solo scopare, lascia perdere lo champagne. E io: ahh… Comunque, mentre sono lì nelle mie fantasticherie, d’un tratto vedo un bambino sbucare a tutta velocità dalla corsia dei biscotti e correre verso la donna bellissima. Attenta, penso, quel bambino sembra stia per investirti! Potrebbe macchiarti di sugo, marmellata, deiezioni o altro! Ma lei, invece di scostarsi e lasciare che il bambino si schianti contro lo scaffale delle mele, finendo poi ricoperto da una montagna di mele e dimenticato per sempre o almeno fino ad avvenuta decomposizione, lei, dicevo, la mia meravigliosa donna dalle meravigliose forme e dalla merav… ma no, basta così, lei, insomma, invece di spostarsi che fa? Sorride, si china e accoglie il bambino in un abbraccio. A quel punto penso: un figlio? Addio! E tiro un sospiro di sollievo per il pericolo scampato. Il bambino intanto abbraccia la donna e mi guarda come a dire: bevitelo da solo il Veuve. Al che io lo guardo come a dire: avrei comunque spinto per prendere un Philipponnat. Ma niente, altra storia d’amore sfumata. Stamattina, però, torno al supermercato e, guarda un po’ il caso, trovo di nuovo la donna bellissima. Lei mi vede e, strano ma dopotutto, se vogliamo, anche logico, rompe i cosiddetti indugi e viene verso di me. Nei pochi secondi che ci separano dal nostro primo vero incontro, mi chiedo cosa dovrei fare. Forse dovrei dirle: lascia tuo figlio per me! Poi penso: ma forse non era suo figlio. Quindi forse ecco che cosa dovrei dirle: ti ho vista, con il tuo nipotino, l’altro giorno. E lei: ma non era il mio nipotino. E io allora: addio! E lei: era il mio fratellino. E io: amore! E lei: mio figlio era a casa. E io: addio! E lei: è un tenero gattino. E io: amore! E lei: si chiama Bruno. E io: strano nome per un felino! E lei: ma no, gattino era per dire, è un bambino ovviamente. E io: addio! E lei: non so di chi sia, tra l’altro, l’ho trovato lì quando mi sono trasferita, tre giorni fa. E io: amore! E lei: ma ho deciso di adottarlo, poverino. E io: addio! E lei: a distanza. E io: amore! E lei: dopotutto tra otto mesi nascerà il mio. E io: addio! E lei… be’, niente, nel frattempo è arrivata proprio accanto a me, mi ha sorriso, ha detto «scusa», si è tuffata tra le mele ed è scomparsa.

23.7.19

600.

Stasera ho detto: oggi niente alcol. Poi ho stappato una birra. Allora mentre la bevevo ho detto: solo una, però. Quindi ho stappato la seconda. Poi mentre stappavo la terza ho detto: Ich glaube ich liebe dich! Stamattina avevo detto: oggi scrivo. Ho passato la giornata sdraiato a testa in giù sul divano a guardare la libreria chiedendomi quale fosse il romanzo con il titolo più bello. Non sono bravo con i propositi. (Il titolo più bello è, secondo me, Mentre morivo. Il titolo più bello di un racconto è Sono io il ragazzo la cui unica gioia è amarti).

21.7.19

599.

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Decido di disdire uno di quei servizi che offrono film, serie tv e quei programmi dove ci sono cuochi che si comportano come se fossero, che so, Pablo Picasso o Roland Barthes. Così entro nel sito e apro la chat di assistenza per avere informazioni su come procedere. Quando dico all’operatore cosa intendo fare, mi chiede il motivo della disdetta. Gli rispondo che il motivo è semplice: non guardo la tv. L’operatore allora mi chiede: «Non vuole che proviamo a trovare insieme una soluzione al problema?». Mi ha fatto ridere.

16.7.19

598.

Ieri a Wimbledon, durante la semifinale tra Federer e Nadal, hanno inquadrato un bambino che, invece di seguire l’incontro, stava leggendo un libro: I segreti del tennis.

13.7.19

596.

Stasera mi sono detto: guarderò un bel film. Così ho cominciato a leggere le sinossi di quelli che per qualche ragione – locandina, titolo, mal di vivere – mi sembravano interessanti. Riporto qui le suddette sinossi e il punto esatto in cui ho smesso di leggerle, scartando il film.

The spectacular now: Miles Teller, premiato al Sundance Festival, e Shailene Woodley in una folgorante commedia romant

The best man: Commedia sentiment

Unsane: il premio Oscar Steven Soderbergh firma un horror girato interamente con un iPho

Blackkklansman: Gran Premio della Giuria a Cannes per Spike Lee che tratteggia i tumulti socia

Il dubbio: Gara di bravura per una formidabile coppia di protagonisti, formata dai premi Oscar Meryl Streep e Philip Seymour Hoffman, in un dramma ambientato nel Bronx. Una suora, preside di un istituto cattolico, sospetta di ped

211 – Rapina in corso: Nicolas Cag

Revenge: Matilda Lutz nel primo revenge movie diretto da una don

In viaggio con Adele: Alessandro Hab

Chiamami col tuo nome: Delicata

L’immortale: Si rinnova la tradizione del poliziesco frances

Cani sciolti: Action senza tregu

La truffa dei Logan: Steven Soderbergh riunisce un cast d’eccezione e mette in scena una scatenata action comedy piena di personaggi pazzes

Recount: Kevin Spacey e Laura Dern, premiata con il Golden Globe, nell’appassionante cronaca della concitata sfida alle elezio

(Alla fine ho deciso di riguardare Io e Annie).

7.7.19

595.

Durante un incontro di tennis ho sentito i due telecronisti parlare della difficoltà di essere mamma e tennista professionista plurimilionaria, perché da un lato, se giochi, ti senti in colpa perché trascuri tuo figlio, dall’altro, se stai con tuo figlio, ti senti in colpa perché trascuri il tuo lavoro (soluzione: assumi tuo figlio come raccattapalle). In realtà era la telecronista donna che cercava di spiegare al telecronista uomo quanto sia difficile una vita del genere, e il telecronista uomo ha ascoltato (se credete alle favole) senza fiatare. Io però ho pensato a mia nonna Rachele. Mia nonna Rachele era una contadina, ha avuto dodici figli, era così povera che due ha dovuto venderli a una casa farmaceutica, non ha mai smesso di lavorare nei campi (partoriva in un secchio mentre raccoglieva i pomodori), non si è mai lamentata un secondo e, oltre a tutto questo, nel 1953, a cinquantatré anni suonati, è arrivata agli ottavi di Wimbledon, perdendo con Maureen Catherine Connolly Brinker, poi vincitrice del torneo, in tre set.

5.7.19

593.

Sono come un carcerato che tenta di evadere dalla parte sbagliata.

Una specie di solitudine, J. Cheever


22.6.19

592.

Anche oggi sono uscito di casa per fare compere e mi sono innamorato. Lei era in piedi vicino al banco informazioni e indossava un vestito blu di Persia (ah ah, no, non lo so, era blu e basta) e, be’, delle scarpe? Il suo viso era, cioè, ricordava… era molto bella, comunque. Di solito in questi casi cerco di far innamorare di me la ragazza con la forza dello sguardo o del pensiero – una volta ha funzionato –, ma giorni fa la mia amica Paola mi ha detto che se sta facendo la spesa e qualcuno la fissa, lei pensa: uh che palle, ma lasciami perdere.
«Credevo facesse comunque piacere ammonticchiare spasimanti qua e là» le ho detto.
«Non se sto facendo la spesa,» mi ha detto lei «che magari non mi sono neanche pettinata. Ricorda che alle ragazze non interessa piacere, ma essere belle».
Così, per evitare di infastidirla, non ho guardato la ragazza col vestito blu di Prussia, anche se era pettinata magnificamente, guardavo sopra la sua testa o ai lati. Si è anche girata, a un certo punto, per vedere che cosa ci fosse di tanto interessante alle sue spalle. Mentre uscivo mi sono fermato al banco informazioni proprio accanto a lei e ho detto alla commessa «vorrei prendere le solite dodici casse di champagne».
«Vendiamo solo prodotti per animali, signore» mi ha risposto.
Così me ne sono andato, sperando che la ragazza mi fermasse e mi dicesse: «Ehi, aspetta un attimo, di che tipo di blu è il mio vestito?». Non so perché mi metto nei guai da solo, quando immagino dei dialoghi. Non poteva dirmi semplicemente «ti prego, portami con te», anche se lì per correttezza avrei dovuto dirle «sto andando da Mediaworld, però». Facciamo allora: «Dimmi di che colore ho gli occhi e puoi avermi».
«Blu di Persia, come il tuo vestito».
«Il mio vestito non è blu di Persia».
Mm… ok, no: «Blu di Persia!», allora.
Leggera pausa.
«Dimmi altri cinque tipi di blu».
«Blu di Prussia – eh eh –, blu egiziano, blu pavone, blu Dodger e…».
«Ok, sono tua».

21.6.19

591.

Aveva appena finito di nuotare e ora respirava profondamente, come se volesse mandar giù nei polmoni tutte le componenti di quel momento, il calore del sole e l'intensità del suo piacere; sembrava che tutte venissero aspirate dentro il suo petto. Abitava a Bullet Park, una quindicina di chilometri a sud, dove le sue quattro splendide figlie dovevano aver terminato di pranzare e stavano forse giocando a tennis. In quel momento gli venne l'idea che, seguendo un percorso ad angolo in direzione sud ovest, sarebbe potuto arrivare a casa sua a nuoto. La sua vita non era condizionata, e il piacere che gli dava questa constatazione non poteva essere spiegato con un complesso di fuga. Gli sembrava di vedere, con un occhio da cartografo, quella catena di piscine, quel corso d'acqua quasi sotterraneo che si snodava attraverso la contea. Aveva fatto una scoperta, aveva dato un contributo alla geografia moderna, e quel corso d'acqua l'avrebbe chiamato Lucinda, col nome di sua moglie. Non era uno che amava particolarmente gli scherzi, né era un buffone, ma era volutamente originale, e si considerava in generale, e modestamente, un personaggio leggendario.

Il nuotatore, J. Cheever


20.6.19

588.

Eugene Linden descrive gli esperimenti di Diana Reiss su una giovane femmina [di delfino] in cattività di nome Circe. L’addestratrice indicava di essere scontenta quando Circe non riusciva a eseguire un comando facendo alcuni passi indietro e restando immobile per qualche secondo – cioè decretando un «time-out», come potrebbe fare una madre con un bambino indisciplinato. Se invece il lavoro di Circe era soddisfacente, la premiava con un pezzo di pesce. Era noto però che Circe non gradiva la parte posteriore del pesce se non venivano staccate le pinne. Una volta l’addestratrice le lanciò per errore una coda non pulita: Circe nuotò fino al capo opposto della piscina drizzandosi poi in verticale e rimanendo immobile nella medesima posizione di «time-out». Si era appropriata del segnale, e adesso stava addestrando l’addestratrice.

Il libro degli esseri a malapena immaginabili, C. Henderson


13.6.19

587.

Marco Columbro – l’ex presentatore televisivo nonché ex televenditore di condizionatori – ha detto al Corriere della Sera (anche il Corriere della Sera che sta ad ascoltare Marco Columbro, però…) che «Ci sono prove evidenti che non siamo gli unici nelle galassie e che gli extraterrestri ci inviano messaggi contro le bombe nucleari». Allarmato (sto costruendo una piccola bomba atomica), ho fatto una telefonata al cugino del mio amico Giorgio, che è uno scienziato che di lavoro studia le galassie, e gli ho chiesto: «Scusa, ma è vero che ci sono prove evidenti che non siamo gli unici nelle galassie e che gli extraterrestri ci inviano messaggi contro le bombe atomiche?».
«No» mi ha risposto.

7.6.19

585.

Forse è questo il segreto della felicità: apprezzare il disprezzabile.

3.6.19

583.

Ieri mi arriva un messaggio di mia madre: «Tuo padre ha il mal di gola e trentasette e tre di febbre». Di temperatura corporea, credo volesse dire. Penso di risponderle: «Stai tu al capezzale?». Penso di risponderle: «Trentasette e tre precisi o…». Penso di risponderle: «Io ieri ho avuto mal di stomaco». Le rispondo: «Ok». Dopodiché mi dimentico della cosa. Questa mattina mi arriva un altro suo messaggio: «Se la tua gatta ha un pelo fuori posto ti preoccupi, se tuo padre è malato non ti interessa». Rileggo il messaggio per essere sicuro di aver capito bene, poi vado al portatile, scrivo tre cartelle di bestemmie in Comic Sans, le stampo in due copie, le imbusto, sulla prima busta scrivo «Alla cortese attenzione di Sua Santità il Papa», poi l’indirizzo: «Città del Vaticano»; sulla seconda scrivo «Dio», «Paradiso». Le chiudo, vado in posta e le spedisco come raccomandate A/R. Poi, una volta tornato a casa, di nuovo calmo, chiamo mia madre. Lei risponde tranquilla, come se ci fossimo sentiti cinque minuti prima.
«Sì?».
«Allora,» le chiedo «come sta il nostro malato?».
«Eh? Ah no,» mi dice «gli è passata».

24.5.19

582.

Tra l’altro mi ricordo che quando ho visto The Karate Kid per la prima volta, andavo alle elementari, poi il giorno dopo sono andato a scuola e ho cominciato a fare la mossa della gru in faccia a tutti gli altri bambini, non so quanti denti ho fatto saltare quel giorno, e mi ricordo che i bidelli e le maestre battevano le mani cantandomi You’re the best around! e poi i bambini sconfitti raccoglievano i loro dentini e venivano a consegnarmeli dicendo «sei il migliore, hai vinto tu!». Che nostalgia.

21.5.19

581.


Ieri sera ho visto The Karate Kid – Per vincere domani, per la centesima volta, credo. Non mi stanca mai. The Karate Kid è probabilmente un film perfetto, questa la ragione. Quasi perfetto, dai. Per esempio quando il sensei dei Cobra Kai dice a un allievo di mettere fuori combattimento Daniel, lui fallisce. E quando dice allora a Johnny di spezzargli una gamba, lui fallisce. E quando poi Daniel vince, Johnny, che fino a un secondo prima voleva ucciderlo eccetera eccetera, gli consegna il trofeo dicendogli «Sei il più forte, Larusso, hai vinto tu!», che è assurdo, infatti nella versione originale gli dice «sei in gamba, Larusso, bell’incontro!», che è assurdo comunque. A ogni modo è da stamattina che ascolto la bellissima canzone You’re the best around! dedicandola a me stesso, a volte chiudendo gli occhi e immaginandomi mentre esco in strada e ballo mentre tutti intorno a me ballano anche loro e anche loro mi celebrano cantando You’re the best around!

20.5.19

580.

Mio padre mi aveva forse salvato la vita quella notte, ma era chiaro che il mio benessere non gli interessava granché. Non era capace di tanto, lo sapevo. L'unica volta che avevo osato chiedergli di non tormentarmi era scoppiato a ridere, e il mattino dopo aveva fatto finta di avere un infarto. Quando era arrivata l'ambulanza, era seduto sul divano a fumare una sigaretta. Disse che stava bene. «Ha le sue cose o roba del genere» aveva detto ai paramedici. Si erano stretti la mano.

Eileen, O. Moshfegh


18.5.19

579.

Oggi pomeriggio invece mi ha chiamato Fabio Volo e mi ha detto: «Ormai tutti sanno tracciare sulla carta o su altra superficie adatta i segni grafici appartenenti a un dato sistema di scrittura e che convenzionalmente rappresentano fonemi, parole, idee, pensieri, numeri, in modo che possano poi essere interpretati mediante la lettura da chi quel sistema conosca, il tutto finalizzato a comporre un’opera letteraria, ma noi cerchiamo qualcuno che sappia scrivere!».
«Noi chi?» gli ho chiesto, ma ha riattaccato.

17.5.19

577.

Ho visto in tv Oliviero Toscani, il fotografo, che diceva: «Ormai tutti sanno fare una foto. Noi cerchiamo qualcuno che sappia fotografare». Sono rimasto un attimo così. Ma è la stessa cosa, Signor Toscani, fotografare significa fare delle foto. Qualcuno glielo dica. (Mi sa che è l'età).

16.5.19

576.

Un amico è colui che ti aiuta a nascondere il cadavere.

Eileen, O. Moshfegh


14.5.19

575.

Ieri sono andato a vedere la partita di Federer. Scrittori più bravi e intelligenti di me – però morti – hanno già scritto di lui meglio di quanto potrei fare io (non lo penso davvero, è solo una formula di rito che si usa prima di appioppare a qualcuno un punto di vista), perciò mi limito a dire che è molto bravo, anche se, lo ricordo, stiamo pur sempre parlando di colpire una pallina con una racchetta, oltre al fatto che, come dice la mia amica Paola, «sembra un gioco un po’ troppo facile, con una rete così bassa».
E a proposito delle mie amiche Paola e Carla, sono andato, sì, ma da solo.
«Basta tennis» ha detto Carla.
«Non ce la facciamo più» ha detto Paola.
Erano entrambe nude, a letto. Nello stesso letto, intendo. Me ne sono accorto grazie all’assenza di un lenzuolo.
«Non preferisci restare qui in albergo a fare sesso con noi, invece di andare a vedere una stupida partita di tennis?» ha detto Carla.
«Scusate, ragazze,» ho detto loro infilando nello zaino il cappellino, la crema solare e un succo di frutta all’albicocca nel caso mi fosse venuta sete lungo la strada «ma ho fatto sesso milioni di volte nella mia vita, mentre non ho mai, e sottolineo mai, visto Federer giocare dal vivo. E sottolineo anche Federer, già che ci sono».
Allora Carla mi ha detto: «Hai fatto sesso milioni di volte con due donne mezze sbronze, senza freni inibitori e dunque disposte a tutto?».
Allora io: «Dai, Carla, quanto potrà essere diverso dal farlo con una? La pizza mi piace, ma se me ne portano due non diventa più buona».
«Che bell’esempio, si vede che sei uno scrittore» ha detto Paola.
«Grazie, Paola».
«Tecnicamente non è proprio così» ha detto Carla. «Se la prima è allo speck» ha detto indicando se stessa «e la seconda al brie,» ha detto indicando Paola «insieme saranno più buone» ha detto abbracciandola.
«Io non voglio essere un formaggio molliccio» ha detto Paola, imbronciata.
Carla le ha dato un bacio sulla fronte.
«Be’, comunque ho un pene solo» ho tagliato corto. «Per caso avete visto il mio ombrellino?».
«No,» ha detto Carla «ma prendi anche i fazzolettini e una merendina, nel caso ti colasse il naso o ti brontolasse lo stomaco».
«Grazie, ottimo consiglio» ho detto prendendo dal tavolino un pacchetto di fazzoletti. «Ma… le merendine?».
«Dicevo per dire» ha detto Carla.
«Ah, ok. Be’, a dopo allora» ho detto uscendo.
«Divertiti!» ha urlato lei.
«Grazie!» ho risposto io dal corridoio.
Ma, a parte questo, sapevo che era solo una trappola o se vogliamo la classica azione di disturbo dettata dalla noia. Così sono andato a vedere Federer senza pensieri (Federer ha perso, non è poi così bravo).

11.5.19

574.

Poi oggi, sempre con le mie amiche Paola e Carla a vedere il Master di Madrid, durante un’altra partita ho detto a Carla: «Mi è venuto in mente un motivo per cui ai tennisti serve silenzio».
«Sarebbe?» mi ha detto lei mettendosi in bocca delle arachidi salate, succhiandole e poi sputandole in un bicchiere di carta.
«Gli serve perché… scusa, ma perché le sputi?» le ho chiesto.
«Fanno ingrassare».
«Il sale fa venire l’ipertensione, però».
«L’ipertensione fa ingrassare?».
«No».
«E allora…» ha detto Carla infilandosi in bocca un altro paio di arachidi, succhiandole e sputandole nel bicchiere.
«Perché non ti prendi solo un sacchetto di sale?» le ho chiesto.
«Perché poi dovrei prendere un sacchetto di arachidi» mi ha risposto.
«Perché non le mangi e poi le vomiti?».
«Lo faccio» ha detto lei «ma adesso non ho voglia di alzarmi».
«Capisco».
«Tu non capisci niente di donne, Mauro» è intervenuta Paola scuotendo la testa. Poi ha teso la mano verso Carla, che le ha versato nel palmo qualche arachide. Paola se le è infilate in bocca, le ha succhiate e le ha sputate nel bicchiere di Carla.
«Be’, questo motivo?» mi ha chiesto Carla.
«Ah, giusto. Perché se il pubblico facesse rumore durante il gioco, non si sentirebbero le urla dei giudici di linea».
Carla ha tenuto lo sguardo fisso davanti a sé per qualche secondo.
«Ah, ecco perché quei tipi ogni tanto urlano».
«Sì, se la pallina è oltre la linea, urlano».
«Mmm. E perché non usano delle fotocellule, invece?».
«Ci sono. Cioè, non sono proprio delle…».
«Mi fido».
«Ok. Comunque vengono usate solo in certi tornei e per un numero limitato di volte».
«Mi sembra stupido. Perché non le usano sempre? Io le userei sempre. Tu non le useresti sempre, Paola?».
«Sempre» ha detto Paola schiacciandosi un punto nero sulla spalla.
«Perché le partite durerebbero troppo» ho spiegato io.
«Durano già troppo» ha detto Paola.
«Durerebbero ancora di più» le ho detto. Paola ha sgranato gli occhi come se non riuscisse a immaginarlo.
«Be’,» ha detto Carla infilandosi in bocca un altro po’ di arachidi «non mi pare che la gente che guarda il tennis abbia tutti questi impegni». Poi, rivolgendosi alla signora seduta accanto a lei: «Senora, disculpeme. Tiene que trabajar mañana
«Sono italiana. Comunque no» ha detto la signora.
«Visto?».
«Ma probabilmente devono guardare altri tornei di tennis» ha detto Paola.
«Mi sa anche a me» ha detto Carla.

9.5.19

573.

Con le mie amiche Paola e Carla siamo a Madrid a vedere il Master di tennis. Paola e Carla non sanno niente di tennis: Paola guarda solo un lato del campo se no le viene il torcicollo e crede che i corridoi valgano anche nel singolo; Carla ci ha messo venti minuti ad accettare l’idea che i giocatori siano solo due e che quei bambini in divisa che si lanciano le palline non facciano parte del gioco. Paola si è anche lamentata della possibilità di ripetere il servizio («troppo comodo»). Carla, dopo un rimprovero del giudice di sedia e di alcuni spettatori, ha detto di non capire perché tutti gli sportivi del mondo possono giocare nel casino, «mentre questi qui hanno bisogno di silenzio assoluto». Le ho detto che la stessa cosa avviene nel golf e nel biliardo, lei mi ha detto «non so di cosa parli», poi si è fatta un selfie. Comunque penso si siano divertite. Alla fine dell’incontro il tennista che ha vinto (Paola applaudiva l’altro perché lo vedeva triste) è tornato verso la panchina asciugandosi il sudore con il telo di spugna («adesso vomito» ha commentato Carla), quindi si è sfilato i polsini e la fascia e li ha lanciati al pubblico, poi ha lanciato anche il telo, che è atterrato proprio accanto a Carla, che lo ha evitato con un rapido movimento del corpo, per poi raccoglierlo pinzandolo con l’indice e il pollice e, schifata, rilanciarlo in campo.

7.5.19

572.

Sto leggendo il secondo libro della trilogia di Rachel Cusk, Transiti. In quarta di copertina la casa editrice ha pensato di scrivere «torna l’autrice che sta rivoluzionando il romanzo contemporaneo». Mi ha fatto ridere. Se non hai mai letto un libro, ho pensato.

3.5.19

571.

Oggi finalmente è una giornata con un tempo bellissimo, il sole, il cielo azzurro, niente vento, mi sembra quasi di sentire il profumo del mare, anche se siamo in pianura. Mi sembra di sentire anche un po’ il profumo della montagna, quel buon odore di ghiaccio, neve, dita mozzate e bombole dell’ossigeno, profumo che tra l’altro mi ricorda i tempi in cui io e il mio amico Giorgio e le mie amiche Paola e Carla andavamo su per il K2, ma così, con le mani in tasca, la t-shirt e i jeans e le Superga, e vedevamo queste cordate di alpinisti tutti intabarrati, attrezzati e impegnati e pensavamo: boh. Comunque, dicevo, finalmente una giornata bellissima, qui a San Paco Llorente, era da un pezzo che non si vedeva una giornata così, e allora, mentre spalancavo le finestre e respiravo a pieni polmoni lasciando che la luce del sole mi riscaldasse il viso, ho pensato: ahh, giornata ideale per scrivere, questa.

30.4.19

570.

Ieri sera ho riguardato Shining e onestamente devo dire una cosa: credo che Shining sia stato completamente frainteso e sovrainterpretato: è la storia di uno scrittore che deve scrivere il suo libro e per riuscirci va in un hotel fantasma ma la moglie annoiata e soprattutto quel piccolo bastardo epilettico col caschetto lo seguono e continuano a stargli tra i piedi, così lui che fa? Quello che farebbe ogni scrittore: cerca di farli a pezzi con un’accetta. Immagino che prima della partenza, anche se nel libro e nel film non ve n’è traccia, in famiglia si sia svolto questo dialogo:
«Potrei andare alcuni mesi su all’Overlook a fare il custode, così potrei scrivere».
«Sì, ma noi?».
«Voi?».
«Sì. Che facciamo io e Danny “alcuni mesi” all’Overlook mentre tu giochi a fare lo scrittore invece di, che so, la butto lì, trovarti un vero lavoro? Ci annoieremo a morte».
«È quello che dico anch’io, Wendy. È esattamente quello che dico anch'io. Forse fareste meglio a restare qui, no?».
«Restare qui? No, scordatelo. Veniamo con te».
«Oh. Be’, ok. Vado a fare la valigia, allora».
«Mmm».
«E… Wendy?».
«Che c'è?».
«Per caso ti ricordi dove ho messo la mia accetta?».

28.4.19

569.

«Ciao. Che cosa vi porto?».
«Per me un 5, speck e funghi trifolati».
«Benissimo. E per te?».
«Per me, mmm, vediamo… mi incuriosisce questo, con molluschi e derivati».
«…».
«Il 12».
«Quella è la pagina degli allergeni, temo».
«Ahh…».

23.4.19

568.

Misi gli auricolari e tenni la mente occupata con la solita richiesta: Caro Dio, rendimi ricco e famoso. Amen.

Nostalgia di un altro mondo, O. Moshfegh


21.4.19

567.

Oggi al supermercato vicino a me alle casse automatiche c’era una ragazza di quelle forse oggettivamente non belle ma che a me piacciono, e infatti lei mi piaceva. Non ci siamo scambiati una parola però ci siamo guardati ben due volte, lei non sapeva come funzionasse il sistema delle casse automatiche e chiedeva continuamente aiuto all’inserviente, cosa che mi è dispiaciuta, poteva infatti chiedere a me, invece mi chiedono aiuto solo i vecchi catorci, ma ok. Ovviamente lei era troppo gentile e timida per chiedere a uno sconosciuto, per quanto affascinante e completamente a proprio agio con il succitato sistema automatico, oltre che con certe altre cose di cui al momento è meglio tacere. Poi anch’io ho chiamato l’inserviente per un problema, ma così, solo per non fare sentire la ragazza una completa imbranata, cosa che in effetti era. Quando sono uscito è suonato l’allarme. Mi sono voltato ed ecco la seconda occhiata. «Vai, è l’affettato» mi ha detto l’inserviente, ma io volevo dire alla ragazza «no, è l’allarme del mio cuore che suona per te». Sono uscito e mi sono incamminato verso la mia automobile, sperando che lei mi rincorresse e mi dicesse «ehi, aspetta!», e poi non so. «Dimmi» le avrei detto. «No, niente,» mi avrebbe detto lei «volevo solo fermarti». A quel punto ho sentito «ehi, aspetta!», mi sono voltato ma era solo il clandestino che voleva scucirmi una moneta. «Ho del cibo, se vuoi» gli ho detto. «Non so cosa farmene, mi servono i soldi per la droga» ha risposto lui. «Ho della droga» gli ho detto allora. «Non puoi darmi i soldi e basta?» mi ha detto lui. «Ho solo la carta di credito» gli ho detto io. «L’accetto» mi ha detto lui, e così gli ho fatto un versamento contactless di un euro. Arrivato a casa, mentre salivo tristemente le scale del mio palazzo, ho simulato il dialogo tra me e la ragazza ad alta voce.
«Scusa, puoi darmi una mano? Sono sola e imbranata, bella, come vedi, anche se non in modo tradizionale, e tu mi sembri saperci fare, non solo con le macchine, dico, ma con le donne e tutto quanto».
«Certo, volentieri, aiuto sempre una bella ragazza, anche se in effetti non bella in modo tradizionale, in difficoltà» (occhiolino?).
«Grazie,» (arrossisce) «non so come avrei fatto, altrimenti».
«Lo immagino».
Poi avrei raccolto la mia spesa e avrei fatto per uscire, ma lei mi avrebbe fermato, naturalmente.
«Ehi, aspetta!».
«Sì?».
«Scusa, non vorrei sembrarti importuna ma…».
«Sembralo».
«Non pensi che sarebbe un peccato non incontrarsi mai più?».
«In effetti sì».
«Che ne diresti allora di…» e a quel punto ho incontrato la mia vicina, la signora Angela, l’ho salutata, si è fermata a parlarmi del tempo, e quando sono riuscito a liberarmene la ragazza delle casse automatiche non c’era più.

20.4.19

565.

C’erano uccelli dappertutto, che becchettavano la spazzatura, occupavano i balconi, facevano le fusa come gatti tra le succulente. Ne guardai uno zampettare verso di me con un incarto di caramella in bocca. Me lo mise ai piedi e poi mi fece una specie di inchino prima di allargare le ali e mostrarmi il bellissimo bagliore arcobaleno del petto nero pece. Sbatté le ali gentilmente, con delicatezza, e si staccò da terra. Forse stava cercando di sedurmi. Mi alzai e cominciai a incamminarmi, mentre lui continuava a librarsi, sospeso come una marionetta. Niente mi rendeva felice. Andai alla piscina e carezzai la superficie dell’acqua azzurra con la mano pregando perché uno di noi due morisse, il mio ragazzo oppure io.

Nostalgia di un altro mondo, O. Moshfegh


18.4.19

564.

Un giorno mi sveglio con un dolore al fianco. Penso: utilizzerò la mia solita strategia, attendo una settimana e, se non è passato, vado dal medico. Sono passati cinque mesi, è ancora lì. Allora ho cominciato a dirlo alle persone che conosco, che è lo stadio prima di andare dal medico. Poi c’è lo stadio in cui vado dal medico ma senza parlargli del problema.
«Dimmi».
«No, niente, sono passato giusto per un saluto».
«E hai fatto tre ore di attesa per un saluto?».
«Ah, ma ho letto».
«Non potevi leggere a casa?».
«Sì, miss Marple, ma qui ci sono tutti quei vecchi catorci pieni di malattie e, non so, mi fa sentire così vivo».
Comunque se è un vero medico e non un ciarlatano dovrebbe capirlo a occhio se ho qualcosa, no? A farselo dire dal paziente sono bravi tutti. Posso farlo anch’io il medico, così.
«Mi dica, brav’uomo».
«Perdo sangue dal naso da una settimana».
«Epistassi». (Rivolto alla porta) «Il prossimo!».
No, un vero medico ti guarda e, senza che tu gli fornisca alcun indizio, capisce.
«Per caso ti fa male il fianco?».
«Perché me lo chiede?!».
«Stai piegato su un lato, fai molte smorfie, sei pallido, sudi e in quella zona hai un cuscino sporco di sangue legato con del nastro adesivo».
L’ultimo stadio è andare dal medico e vuotare il sacco.
«Ho un dolore al fianco da nove anni».
«Be’, se è da nove anni che ce l’hai non mi sembra tanto grave».
«Le ho mentito, dottore, ce l’ho da cinque mesi».
«Be’, è comunque un period…».
«Mi è venuto stamattina, doc».
«Facciamo una lastra e ci togliamo il dubbio?».
«Solo se la fa anche lei».
«Mmm».
«Comunque se lo scordi. Deve indovinarlo da lì, eh eh».
Prima, però, il secondo stadio. Lo dico alla mia amica Carla.
«Cambia materasso».
«Ma se neanche lo uso».

17.4.19

563.

Oggi io e mio padre abbiamo cercato di spiegarci a vicenda la storia del buco nero. Nessuno dei due ci capisce niente. Lui ancora meno di me, comunque, perciò alla fine ha avuto la meglio e mi ha detto com’è andata. Ha poi aggiunto che, «dicono», forse è solo una montatura. «Dicono, chi?» gli ho chiesto. «Eh,» mi fa lui «sentivo che ne parlavano da Landini». Landini è il macellaio.

12.4.19

562.

Nemmeno quest’anno sono nella classifica degli scrittori più ricchi del mondo. Bene, anzi benissimo!, ho pensato, e questo perché, come diceva mio nonno Raymond, è solo nella povertà che si può produrre la vera arte. Ne gioisco sull’ultimo numero di Wu magazine, qui.


11.4.19

561.

Leggo sul giornale: «Bambina costretta dalla scuola a mangiare tonno e cracker». Ma in che senso costretta? È la mia cena tipo.

9.4.19

560.

L’altra sera siamo usciti io, Paola e un’amica di Paola. Giorni fa Paola ha dato alla sua amica l’indirizzo del mio taccuino elettronico e l’amica mi ha detto: è come se ti conoscessi, in pratica. E io le ho detto: come se mi conoscessi in pratica cosa? E lei: no, cioè, leggo quello che ti succede sul taccuino elettronico e allora… e io le ho detto: tu quello che mi succede non lo puoi neanche lontanamente immaginare, amica di Paola. Lei è sembrata restarci male. Ma cosa pensi, ho continuato io, che se mi succede una cosa vengo qui a scriverla? Ma sei completamente scema? No, cioè, scusa, mi ha detto lei. Eh, scusa, ho detto io, almeno ti piace la vodka?, le ho chiesto. E ho ordinato sei vodke flambé. Poi siamo andati tutti e tre a casa mia e abbiamo fatto sesso. Poi basta. Del corpo si è occupata Paola, come sempre.

5.4.19

559.

E per gli psichiatri dilettanti che si chiedono cosa mi fa gridare nelle mie poesie: quando ero piccolo il mio vecchio mi comprò un costume da pellerossa con il copricapo di penne quando si rese conto che tutti i bambini del vicinato erano vestiti da cowboy.

Taccuino di un allegro ubriacone, C. Bukowski


4.4.19

555.

«Quando la nave non governa più, il posto del pilota è accanto a quelli che stanno per morire».

Nei mari della Groenlandia e il naufragio, J. Charcot


25.3.19

550.

Mentre ero al supermercato – e dove se no (che tra l’altro è un bellissimo nome per luoghi per abitudinari, E dove se no, va bene anche per un locale, il pub E dove se no, senti come suona, se state per aprire un pub e pensate di chiamarlo così, fatemelo sapere, vengo a tagliare il nastro il giorno dell’inaugurazione) – due tizie parlavano e una ha detto all’altra:
«Sai da cosa si capisce se la tua vita è bella?».
«Dal fatto che stai leggendo La Recherche per la sesta volta, battendo il record del noto Rechercheista Massimo Rechalchati?».
«Eh? No».
«Da cosa, allora? Dimmi, sono tutta orecchi».
«Da…».
«Scusa».
«Dimmi».
«Posso dirti una cosa, prima?».
«Ma certo! Se non ci si dicono le cose tra amiche all’E dove se no…».
«Giusto. Il tuo corpo mi sembra immutato, dalla prima volta che ti ho visto».
«Cioè cinque minuti fa?».
«Mmm?».
«Intendevo dire: davvero?!».
«Giuro».
«Ma se sono appena uscita dalla parrucchiera…».
«Be’, ma i capelli non sono proprio corpo, no?».
«Non più di quanto i moscerini siano automobile».
«Ma mi stavi dicendo da cosa si capisce che la tua vita è bella, fremo all’idea di saperlo».
«Ah, giusto. Ebbene: da qual è l’apice della tua giornata! L’ho letto su Aut Aut!».
«Nientemeno».
«Sì, giuro. Per esempio il mio è quando torno a casa e i miei figli mi corrono incontro».
«Ma tu non hai figli, Monica».
«Come no? Tom e Sawyer».
«Ma sono…».
«Sono?».
«Be’».
«Dillo, avanti».
«Cani?».
«Ah!».
«Cagnolini?».
«Sono come figli, per me, Luciana».
«Fabrizia. Ok. Quindi l’apice della tua giornata è quando torni nella tua casa vuota dopo che tuo marito ti ha lasciato e il tuo unico figlio vero si è suicidato e due cani ti corrono incontro sbavando perché hanno fame. Bello!».
«Be’… perché, la tua?».
«Non saprei. Quando mi masturbo la mattina pensando a Emma Stone?».
«Ma che tristezza!».
«Quando i miei cani mi masturbano la mattina pensando a Emma Stone?».
Be’, insomma, a quel punto me ne sono andato, si stava facendo troppo intimo. Comunque mentre prendevo una dozzina di Asahi ho pensato: l’apice della mia giornata è quando, dopo una dura giornata a battagliare alla macchina da scrivere, mi metto a guardare la tv bevendo birra e mangiando patatine (pensando a Emma Stone).

21.3.19

549.

Ho sentito che Massimo Recalcati, lo psicoanalista, ha detto che il corpo dell’amata o dell’amato (o delle amate o degli amati, immagino), anche se sempre lo stesso (se stai con Dorian Gray, Massimo), grazie al miracolo dell’amore lo si riscopre sempre nuovo, proprio come succede con un libro che amiamo, per esempio, ha detto Massimo, la Recherche di Proust, che «uno ha letto una, due, tre… cinque volte» ma trovandolo sempre, be’, non ricordo più trovandolo come, «lungo», penso. Però a parte questo volevo dire: cinque volte. La Recherche. Massimo. Come on.

19.3.19

548.

Oggi al supermercato stavo scegliendo dei pomodori quando un bambino che avrà avuto sì e no dieci anni si è avvicinato e mi ha chiesto se Green book fosse arte. I bambini sono incredibili, con il massimo candore ti sottopongono i quesiti più complessi.
«Che cos’è Green book?» gli ho chiesto.
«Un film».
«Trama?».
«Un bianco omofobo accompagna un omosessuale nero».
«Dove lo accompagna?».
«Non so dove, non l’ho ancora visto».
«Comunque stai attento, perché se c’è un nero il tema potrebbe essere il razzismo, e se il nero è gay il tema potrebbe essere il razzismo omofobo. Ricorda che l’arte non ha mai un tema, né un messaggio. Per caso il nero è anche ebreo?».
«Non saprei».
«Donna?».
«No, non mi sembra».
«Be’ comunque sembra più un servizio delle Iene che un’opera d’arte, ti pare?».
«Penso di sì».
«Che altro danno?».
«Momenti di trascurabile felicità».
«Ah. Con chi è?».
«Pif».
«Mmm».
«Pif è arte?».
«Ah ah. No, figliolo. Poi?».
«Un film di Veltroni».
«Veltroni sembra una brava persona, ma non credo basti per fare arte».
«Temo di no».
«Poi?».
«Una commedia sulle unioni gay».
«Ancora?».
«Ma è una commedia».
«Non importa, è lo stesso film di prima. Gay e basta?».
«Credo di sì».
«Vabbè. Poi?».
«Asterix».
«Uhh, forte Asterix».
«Sì».
«Be’, allora direi che non ci sono più dubbi, vai a vedere quello.».
«Ok! Grazie mille, signore».
«E di che? È stato un piacere».

18.3.19